Un articolo sul comunismo dalla rivista dei gesuiti americani

Un articolo sul comunismo dalla rivista dei gesuiti americani

La rivista dei gesuiti degli Stati Uniti – America – ha pubblicato un lungo articolo di un giovane membro dell’istituto di Studi Cristiani e corrispondente da Toronto della rivista stessa, il cui titolo è traducibile con: “le ragioni cattoliche in favore del comunismo”. Il direttore della rivista, padre Matt Malone, chiarisce che l’intervento è stato pubblicato per alimentare il dibattito, non perché esprima l’opinione dei gesuiti. Resta il fatto che ha suscitato molti mal di pancia nella parte più reazionaria del mondo cattolico nordamericano. Il testo è troppo articolato per farne una sintesi. Per questo mi limito a citarne un passaggio: “Quello che i comunisti desiderano è un’autentica vita comune, e pensano che essa si possa ottenere relativizzando la proprietà alla luce del bene di tutti. Visione radicale infatti ma non così scioccante per chi ricorda che la Vergine Maria ha cantato che Dio ha colmato di beni gli affamati e ha rimandato i ricchi a mani vuote.” Si tratta quest’ultima di una citazione dal versetto 1:53 del Vangelo di Luca. È interessante ricordare che secondo gli studiosi Luca scrisse il suo Vangelo “intervistando”, per dir così, la madre di Gesù. Infatti è l’unico evangelista che riferisce notizie sull’infanzia di Gesù che avrebbero potuto provenire solo da quella fonte. La frase citata è, si direbbe oggi, virgolettata e quindi attribuita direttamente a Maria di Nazareth. Insomma è proprio lei a ricordare che il messaggio evangelico è un messaggio sovversivo dal punto di vista sociale. Un messaggio ben diverso da quello costruito secoli dopo con le varie Madonne di Fatima, Lourdes, o Medjugorje. (Franco Ferrari)
Le ragioni cattoliche in favore del comunismo
di Dean Dettloff
 
“E’ quando i comunisti sono buoni che sono pericolosi”
 
È così che Dorothy Day comincia un articolo su America, pubblicato poco prima del lancio del Catholic Worker il Primo maggio del 1933. Contrariamente alle reazioni di molti cattolici del tempo, la Day tracciò un quadro comprensivo, sebbene critico, dei comunisti che aveva incontrato a New York, nell’epoca della depressione. Il suo profondo personalismo le aveva permesso di intravedere le storie umane attraverso la lotta ideologica; e, tuttavia, concluse che il cattolicesimo e il comunismo non solo erano incompatibili, ma anche reciproche minacce. Dal tempo della sua riflessione è passata un’intera Guerra fredda, e vale oggi la pena chiarire alcuni punti.
 
I comunisti sono attratti dal comunismo per via della loro bontà, sosteneva la Day, quell’incancellabile qualità del bene che può essere trovata, in egual misura, all’interno e al di fuori della Chiesa, intrecciata nella nostra stessa natura. Deve essere stata una cosa semplice da dire nel 1933, quando i comunisti americani erano ben noti all’opinione pubblica per essersi esposti in prima persona a favore dei lavoratori in sciopero, ma era anche quel tipo di cosa che poteva metterti in gravi difficoltà, anche all’interno della Chiesa cattolica.
 
Affermando che la bontà guida molti comunisti di ieri e di oggi, la Day mirava ad ammorbidire la percezione dei cattolici, i quali si trovavano più a loro agio con le perfide caricature dei comunisti della loro epoca, rispetto alle più impegnative rappresentazioni che li ritraevano come lavoratori per la pace e per la giustizia economica. La maggior parte delle persone che aderiscono ai partiti e ai movimenti comunisti, rilevava giustamente la Day, non sono motivate da una qualche forma di odio profondo nei confronti di Dio o da uno spumeggiante anti-teismo, ma dall’aspirazione a un mondo libero da un’economia politica che esige lo sfruttamento di molti per il benessere di pochi.
 
Ma nel tentativo di suscitare simpatia per le persone attratte dal comunismo e sconfiggere un istintivo pregiudizio nei loro confronti, la Day non fece altro che perpetuare inutilmente altri due pregiudizi contro il comunismo. Innanzitutto, affermò che al di sotto di tutta la bontà che attrae le persone verso il comunismo, il movimento è, in ultima analisi, “un programma distintamente orientato alla demolizione della Chiesa.”
 
In secondo luogo, riferendosi all’uccisione nel suo quartiere di un giovane comunista colpito dal lancio di un mattone da parte di un trotskista, concluse constatando che i giovani che seguono la bontà dei loro cuori approdando al comunismo, non sono del tutto consapevoli di ciò a cui stanno aderendo – inclusi i rischi per la loro incolumità. In altre parole, dovremmo odiare il comunismo, ma amare i comunisti. 
 
Sebbene la comprensiva critica della Day nei confronti del comunismo sia lodevole sotto molti punti di vista, quasi un secolo di storia ci dimostra che, al di là di quanto suggeriscono questi due giudizi, c’è ben altro da aggiungere. I movimenti politici comunisti di tutto il mondo sono stati densi di personaggi sorprendenti, di strani sviluppi e di motivazioni più complesse rispetto al semplice voler disfare la Chiesa; e persino attraverso le sfide del 20° secolo, cattolici e comunisti hanno trovato ragioni naturali per offrirsi reciprocamente un segno di pace.
 
Una storia complicata
 
Ovviamente, il Cristianesimo e il comunismo hanno intrattenuto un rapporto complicato. L’aggettivo “complicato” sicuramente farà alzare gli occhi a molti lettori. Gli stati e i movimenti comunisti hanno infatti perseguitato i fedeli in svariati momenti della storia. Al tempo stesso, i cristiani sono stati con passione presenti nei movimenti comunisti e socialisti di tutto il mondo. E questi cristiani, così come i loro compagni atei, sono comunisti non perché hanno frainteso gli obiettivi finali del comunismo, ma perché hanno compreso in modo autentico l’ambizione comunista di una società senza classi. 
 
“Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”, riassume Marx nella “Critica del programma di Gotha”, quasi un’eco della descrizione, fornita da Luca negli Atti 4:35 e 11:29, della Chiesa primitiva. Forse è stata la Day, e non il suo giovane vicino comunista, ad aver frainteso il comunismo. 
 
È vero che Marx, Engels, Lenin e altri grandi comunisti erano convinti pensatori illuministi, atei che talvolta ritenevano che la religione si sarebbe dissolta nella luce splendente della ragione scientifica, e altre volte ne caldeggiavano una propaganda contraria (tuttavia non, come argomentò Lenin, in modo tale da dividere il movimento contro il capitalismo, vero nemico). Non dovrebbe risultare così scandaloso di per sé. Da atei moderni, non sono affatto soli, e il loro ateismo è comprensibile dato che spesso il Cristianesimo è stata una forza alleata con i poteri dominanti che sfruttavano i poveri. I cattolici hanno trovato un mucchio di risorse filosofiche nelle fonti non cristiane del passato; perché non nei moderni?
 
Nonostante e al di là delle differenze teoriche, preti come Herbert McCabe, O.P., Ernesto e Fernando Cardenal, S.J., Frei Betto, O.P., Camilo Torres e molti altri cattolici – membri del clero, religiosi e laici – sono stati ispirati dai comunisti e, in numerose circostanze, hanno fornito il loro contribuito in qualità di membri ai movimenti comunisti e affini. Alcuni lo fanno tutt’ora – nelle Filippine, ad esempio, dove il “Christians for National Liberation”, un gruppo di attivisti dapprima organizzato da suore, preti e cristiani sfruttati, si colloca politicamente all’interno del Fronte nazionale democratico, una coalizione di movimenti con all’interno un filone fortemente comunista che, al momento, sta lottando contro il leader autoritario di estrema destra Rodrigo Duterte. 
 
Più vicini a casa e al di fuori delle lotte armate, oggi i cristiani sono presenti anche nei movimenti comunisti degli Stati Uniti e del Canada. Qualunque ostilità possa essere esistita in passato, alcuni di questi movimenti sono ora abbastanza aperti alla partecipazione cristiana. Molti dei miei amici del Partito per il socialismo e la liberazione, ad esempio, un partito marxista-leninista, sono cristiani che vanno in chiesa o persone senza rancore contro la loro educazione cristiana, così come lo sono molte persone nell’ala radicale dei Democratic  Socialisti of America.
 
Il Partito Comunista degli Stati Uniti d’America ha pubblicato saggi che confermano le connessioni tra cristianesimo e comunismo e che incoraggiano i marxisti a non considerare i cristiani come irrimediabilmente persi a vantaggio della destra (il giornale CPUSA, People’s World, ha persino fornito un resoconto su suor Simone Campbell e la campagna del network Nuns on the Bus, finalizzata a fare pressione per la riforma dell’immigrazione). In Canada, Dave McKee, ex leader del Partito comunista canadese in Ontario, una volta era uno studente di teologia anglicana in un seminario cattolico, radicalizzato in parte dal suo contatto con le comunità di base in Nicaragua. Da parte mia, ho parlato più di Karl Rahner, SJ, di St. Óscar Romero e della teologia della liberazione durante le celebrazioni del Primo Maggio e gli incontri comunisti che non nella mia parrocchia cattolica.
 
In altre parole, sebbene alcuni comunisti preferirebbero senza dubbio un mondo senza Cristianesimo, il comunismo non è semplicemente un programma per distruggere la Chiesa. Molti di coloro che hanno dedicato la propria vita alla Chiesa si sono sentiti in dovere di lavorare al fianco dei comunisti come parte della loro vocazione cristiana. La storia del comunismo, qualunque altra cosa possa essere, conterrà sempre una storia del Cristianesimo e viceversa, che piaccia o meno ai membri di entrambe le fazioni.
 
Il comunismo nella sua espressione sociopolitica ha talvolta causato grandi sofferenze umane ed ecologiche. Qualsiasi buon comunista lo ammette con facilità, anche perché il comunismo è un progetto incompiuto che dipende dal riconoscimento dei suoi errori reali e tragici.
 
Ma i comunisti non sono gli unici a dover rispondere della sofferenza umana causata. Lungi dall’essere un gioco amichevole di competizione mondiale, il capitalismo, sosteneva Marx, emerse attraverso la privatizzazione di quello che una volta era pubblico, come la terra condivisa, un processo imposto prima con la violenza fisica e poi proseguito attraverso la legge. Col passare del tempo, gli stessi esseri umani sarebbero diventati proprietà privata di altri esseri umani. 
 
Il capitalismo coloniale, insieme alle tesi della supremazia bianca, inaugurò secoli di terrorismo sfrenato contro le popolazioni di tutto il mondo, creando un sistema in cui le persone potevano essere acquistate e vendute come merci. Anche dopo l’abolizione ufficiale della schiavitù nelle maggiori economie mondiali – che rese necessaria una guerra civile che costò cara agli Stati Uniti – gli effetti di quel sistema continuano a vivere, e le nazioni capitaliste e le società transnazionali continuano a sfruttare i poveri e i lavoratori in patria e all’estero. Oggi, per molte persone in tutto il mondo, essere dalla parte sbagliata del capitalismo può ancora fare la differenza tra la vita e la morte.
 
Cosa motiva un comunista?
 
Il comunismo ha fornito una delle poche opposizioni sostenibili al capitalismo, un ordine politico globale responsabile dell’ininterrotta sofferenza di milioni di persone. È quella sofferenza, riprodotta da schemi economici che Marx e altri hanno cercato di spiegare, che motiva i comunisti; non la congiura segreta contro l’ateismo (come ha sostenuto la Day una volta).
 
Secondo un rapporto della Oxfam pubblicato nel 2018, la disuguaglianza globale è sconcertante e ancora in aumento. La Oxfam, che non è gestita da comunisti, ha osservato che “l’82% della ricchezza creata [nel 2017] è andata all’uno per cento più ricco della popolazione globale, mentre i 3,7 miliardi di persone che costituiscono la metà più povera dell’umanità non hanno ottenuto nulla”.
 
Mentre imprenditori come Elon Musk e Jeff Bezos investono nei viaggi nello spazio, i loro lavoratori sono radicati nella lotta economica quotidiana qui sulla terra. Nelle fabbriche di Tesla del signor Musk, i lavoratori subiscono gravi infortuni più del doppio della media industriale e dichiarano di essere così esausti da crollare sul pavimento della fabbrica.
 
Un giornalista sotto copertura riferisce che i lavoratori, in un magazzino di Amazon nel Regno Unito, urinano in bottiglie per paura di essere puniti per il “tempo di inattività” e la società ha una lunga lista di precedenti reati. In Pennsylvania, i lavoratori di Amazon avevano bisogno di cure mediche sia per l’esposizione al freddo in inverno che per l’esaurimento del calore in estate. Ma queste cure sembrano a malapena prezzi che vale la pena pagare, quindi alcuni miliardari possono andare in vacanza nella distesa nera dello spazio. Come diceva un lavoratore di Tesla, a Detroit: “Tutto sembra il futuro, tranne noi”.
 
Per i comunisti, la disuguaglianza globale e lo sfruttamento dei lavoratori nelle corporations altamente redditizie non sono solo il risultato di datori di lavoro poco gentili o regolamenti sleali sul lavoro. Sono sintomi di un modo specifico di organizzare la ricchezza, un modo che non esisteva ai primordi dell’umanità e che rappresenta una parte della “cultura della morte”, per prendere in prestito una frase familiare. Viviamo già in un mondo in cui la ricchezza viene ridistribuita, ma va verso l’alto, non verso il basso o orizzontalmente.
 
Sebbene i sondaggi mostrino che i cittadini statunitensi sono diventati sempre più scettici sul capitalismo – un sondaggio di Gallup riporta persino che i democratici considerano in maniera più positiva il socialismo rispetto al capitalismo – tale atteggiamento non è molto popolare tra i rappresentanti elettorali. Le reazioni alla candidatura alle primarie di Bernie Sanders nel 2016 e il successo elettorale di Alexandria Ocasio-Cortez e Rashida Tlaib, membri dei Democratici Socialisti d’America, un partito co-fondato da un ex Catholic Worker, Michael Harrington, sono state caratterizzate da un revival dell’isteria socialista. I politici repubblicani e democratici avevano detto chiaramente che qualunque fossero state le loro differenze, entrambi avrebbero concordato sul fatto che nella cultura politica americana il sostegno al capitalismo non è negoziabile, come sostenuto anche da Nancy Pelosi durante un’assemblea della CNN.
 
I comunisti non si accontentano dell’alternanza dei partiti capitalisti, che si puntano il dito a vicenda mantenendo, congiuntamente, un sistema che sfrutta moltitudini di persone, compresi i propri elettori. I comunisti pensano che possiamo costruire modi migliori di stare insieme nella società. 
 
Contrariamente alla paura che i comunisti desiderino semplicemente le “cose” di tutti, l’abolizione della proprietà privata, per la quale Marx ed Engels fecero appello, significa l’abolizione dei modi privati di generare ricchezza, non degli abiti che hai sulle spalle o della collezione di cravatte di tuo padre. Come dice il detto popolare nei circoli comunisti, i comunisti non vogliono il tuo spazzolino da denti. Alcune delle proposte standard nei programmi dei partiti comunisti includono cose come fornire assistenza sanitaria gratuita, abolire il profitto privato dall’affitto di proprietà e la creazione di istituzioni veramente democratiche in cui i politici non sono milionari e sono soggetti a richiamo.
 
Infatti, sebbene la Chiesa cattolica insegni ufficialmente che la proprietà privata è un diritto naturale, questo insegnamento ci giunge a condizione che la proprietà privata sia sempre subordinata al bene comune. Così subordinato, afferma Papa Francesco in un momento veramente profondo del “Laudato Si”, che “La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto o inviolabile, e ha sottolineato lo scopo sociale di tutte le forme di proprietà privata”.
 
C’è una sorta di parallelismo con il “Manifesto del Partito Comunista”, laddove Marx ed Engels sottolineano che abolire la proprietà privata non significa abolire la proprietà personale o il tipo di cose che un artigiano o un agricoltore potrebbe possedere, ma la proprietà accumulata detenuta dai ricchi, che divide gli esseri umani in classi antagoniste di persone – in altre parole, il tipo di proprietà privata che la maggior parte di noi non ha.
 
“Il fatto che noi intendiamo eliminare la proprietà privata vi inorridisce”, affermano Marx ed Engels ai loro detrattori borghesi. “Ma nella vostra società esistente, la proprietà privata è già stata eliminata per nove decimi della popolazione; la sua esistenza per pochi è dovuta esclusivamente alla sua non esistenza nelle mani di quei nove decimi.”
 
Invece, scrivono che la proprietà dovrebbe essere trasformata. In un passaggio non troppo lontano dall’audace frase di Papa Francesco riportata sopra, Marx ed Engels affermano: “Quando, quindi, il capitale viene convertito in proprietà comune, nella proprietà di tutti i membri della società, la proprietà personale non viene così trasformata in proprietà sociale. È solo il carattere sociale della proprietà che viene modificato. Perde il suo carattere di classe.”
 
Ciò che i comunisti desiderano è una vita autenticamente comune insieme, e pensano che ciò possa avvenire solo relativizzando la proprietà alla luce del bene di tutti. Davvero radicale, ma certamente non così scioccante per le persone che ricordano quando la Vergine Maria cantò che Dio ricolmò di beni gli affamati e rimandò a mani vuote i ricchi vuoti (Lc 1, 53). 
 
 
Dorothy Day e il comunismo cristiano
 
Dorothy Day sembrò riconoscere in seguito le motivazioni più profonde del comunismo, e mutò il suo giudizio sui comunisti buoni suggerendo che forse esiste anche un buon comunismo. Il suo articolo su America fu scritto all’inizio della Grande Depressione. Venti anni dopo, Fidel Castro e compagni fondarono il Movimento del 26 luglio che, nel 1959, estromise Fulgencio Batista, il cui regime era noto per la tortura e l’uccisione di migliaia di cubani con il sostegno degli Stati Uniti.
 
Riflettendo sulla rivoluzione cubana sul Catholic Worker del 1961, la Day offrì una prospettiva complessa sulla persecuzione di alcuni cattolici in seguito alla rivoluzione. Tuttavia, scrisse, “È difficile… dire che il posto del Catholic Worker è con i poveri e che, essendo lì, ci troviamo spesso dalla parte dei persecutori della Chiesa. Questo è un fatto tragico.”
 
La Day ricordò ai suoi lettori che Castro aveva sottolineato il fatto che non fosse contro la Chiesa o i cattolici in quanto tali (conosceva i cattolici della rivoluzione, dopo tutto) ma contro quelle fazioni all’interno di Cuba che avrebbero preferito aggrapparsi al vecchio regime, costruito sull’oppressione del popolo di Cuba. Castro non solo permise a sacerdoti e suore di rimanere a Cuba, scrisse la Day, ma affermò che la Chiesa resistette a monarchie, repubbliche e stati feudali. “Perché non può esistere sotto uno stato socialista?”, chiese. Aveva notato che molti gesuiti sarebbero rimasti a Cuba per lavorare nelle parrocchie e aggiunse che i gesuiti avevano già avuto esperienze di persecuzioni e repressioni. 
 
Ma Dorothy Day non era aperta solo alla possibilità a malincuore che la Chiesa cubana non potesse essere spazzata via dal socialismo. Andò oltre: “Siamo dalla parte della rivoluzione. Riteniamo che debbano esserci nuovi concetti di proprietà, propri dell’umanità, e che il nuovo concetto non sia così nuovo. C’è un comunismo cristiano e un capitalismo cristiano.
 
“Dio benedica i sacerdoti e il popolo di Cuba. Dio benedica Castro e tutti coloro che vedono Cristo nei poveri”, disse. Un anno dopo, la Day visitò Cuba per vedere da sé la società rivoluzionaria. In una serie di comunicati al Catholic Worker, riportò brillantemente, anche se non senza notare le molte difficoltà a cui la giovane società doveva porre rimedio, i problemi che sperava potessero effettivamente essere risolti con un po’ di ingegnosità comunista.
 
Ormai da oltre un secolo, i comunisti – cristiani e non cristiani – combattono contro una violenta economia capitalista, mettendo a repentaglio le loro vite e la libertà, sopportando assassini, la prigione e la guerra. Indipendentemente dal fatto che uno sia o meno convinto dalla speranza comunista di abolire la proprietà privata, è innegabile che i comunisti abbiano fornito una vera e propria sfida materiale a un sistema globale che i più potenti governi del mondo hanno tutte le intenzioni di perpetuare. La perdita di un movimento comunista di massa, dovuta in gran parte a un’aggressiva persecuzione legale e politica da parte degli Stati Uniti e di altri governi, ha reso difficile l’organizzazione dell’opposizione al capitalismo stesso; ma anche in sua assenza, la maggioranza dei millennial respinge il capitalismo.
 
Come dicevano Marx ed Engels nel “Manifesto del Partito Comunista”: “Al posto della società borghese, con le sue classi e gli antagonismi di classe, avremo un’associazione, in cui il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione per il libero sviluppo di tutti.” È con quella speranza di libero sviluppo, al di là della concorrenza dei capitalisti, che molti cattolici, me compreso, si annoverano tra i comunisti.
 
Quindi Dorothy Day aveva ragione quando diceva che è quando i comunisti sono bravi che sono pericolosi. I comunisti perseguono il bene quando sono pericolosi; si oppongono a un sistema economico basato sull’avarizia, sullo sfruttamento e sulla sofferenza umana, affliggendo il benestante e confortando l’afflitto. E in un mondo legato a un’economia della morte, che sta danneggiando la nostra “casa comune”, come ci dice Papa Francesco, e affermandosi come la fine della storia, dobbiamo anche aggiungere: è quando i comunisti sono pericolosi che sono buoni.
articolo originale:
traduzione di Daniele Iannello

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