Di Marx, esercito di riserva e altre amenità sovraniste

Di Marx, esercito di riserva e altre amenità sovraniste

Marco Schettini

                                         

                                                         the Union forever defending our rights
down with the blackleg, all workers unite
With our brothers and out sisters from many far off lands                                    There is power in a Union                                                                                 

Billy Bragg “ there is power in a union”

 

Tra le molte sciocchezze che i sovranisti “di sinistra” dicono sull’immigrazione, ce n’è una che si ammanta di credibilità ,dato  che consisterebbe nella teoria marxiana dell’ “esercito industriale di riserva”; nell’interpretazione volgare dei nostri,  significa che le migrazioni servono al Capitale (o addirittura sono organizzate dal Capitale , in un gigantesco complotto planetario) per tenere bassi i salari dei lavoratori autoctoni.

Vediamo cosa scrive Marx:

“ I movimenti generali del salario del lavoro sono regolati esclusivamente dall’espansione e dalla contrazione dell’esercito industriale di riserva, le quali corrispondono all’alternarsi dei periodi del ciclo industriale. Non sono dunque determinati dal movimento del numero assoluto della popolazione lavoratrice, ma dal mutevole rapporto in cui la classe dei lavoratori si scinde in esercito attivo e in esercito di riserva, dall’aumento e dalla diminuzione del volume relativo della sovrappopolazione, dal grado in cui questa viene ora assorbita ora di nuovo messa in libertà” (il Capitale”, corsivo mio)

In una lettera del 1870,Marx inoltre scriveva :

“In tutti i centri industriali e commerciali dell’Inghilterra vi è adesso una classe operaia divisa in due campi ostili, proletari inglesi e proletari irlandesi. L’operaio comune inglese odia l’operaio irlandese come un concorrente che comprime lo standard of life.Egli si sente di fronte a quest’ultimo come parte della nazione dominante e proprio per questo si trasforma in strumento dei suoi aristocratici e capitalisti contro l’Irlanda, consolidando in tal modo il loro dominio su se stesso. L’operaio inglese nutre pregiudizi religiosi, sociali e nazionali verso quello irlandese. Egli si comporta all’incirca come i poor whites verso i negri negli Stati un tempo schiavisti dell’unione americana. (…)Questo antagonismo viene alimentato artificialmente e accresciuto dalla stampa, dal pulpito, dai giornali umoristici, insomma con tutti i mezzi a disposizione delle classi dominanti. Questo antagonismo è il segreto dell’impotenza della classe operaia inglese, a dispetto della sua organizzazione. Esso è il segreto della conservazione del potere da parte della classe capitalistica. E quest’ultima lo sa benissimo” (corsivo mio)

In poche righe,Marx ci dice molte cose interessanti:

innanzitutto egli ,in sostanza, spiega lo stato dei salari con il tasso di disoccupazione, a sua volta variabile del ciclo capitalistico .Punto. La provenienza dei lavoratori (le migrazioni), le loro differenze culturali  etc etc , in termini economici ,significano poco.

Vale a dire che l’esercito industriale di riserva non è un concetto etnico.

Di esso fanno parte migranti, precari, stagionali, sottoccupati, lavoratori a rischio licenziamento, lavoratori al nero e non contrattualizzati, donne, giovani scolarizzati e non.

In termini politici, e di storia della lotta di classe, possiamo aggiungere che  non è solo il mercato della forza lavoro a determinarne il prezzo, ma  anche  -talora soprattutto-  l’ elemento soggettivo dell’organizzazione dei subalterni, del conflitto sociale: quando questo elemento è esteso e configura una potenza antagonista al capitale, i salari salgono (come nei tanto vituperati  “anni di piombo”, nei quali la forbice tra profitti e salari fu la più corta  dell’intera storia nazionale) , mentre quando è sconfitto, debole e diviso, i salari scendono: per tutti , nativi e migranti.

Le letture sovraniste della teoria dell esercito industriale di riserva sono  dunque antimarxiste.

Quando diritti e contratti,e norme  anche in quadro di mera legalità”liberale” sono applicati, lo sono per tutti, migranti e non, quando sono eluse ,ignorate o applicate in modo truffaldino, sono violati i diritti  di tutti, migranti e non.

Lavoro nero, caporalato, schiavitù, evasione contributiva, elusione delle norme sulla sicurezza, violenze , tariffe da 1, 50 all’ ora sono crimini economici non certo attribuibili ai migranti, che anzi ne sono vittime.

Non sono i migranti ad essere usati contro i proletari indigeni  per deprimerne diritti e salario,al contrario, sono questi ultimi , proprio come scriveva Marx a proposito della “questione irlandese”,  ad essere usati  contro i migranti per impedire la crescita dei diritti, e contro  una prospettiva di unità di classe  tra nativi e migranti.

Possiamo aggiungere , con Gramsci,  che il concetto  di “egemonia” , oltre a rappresentare la capacità del proletariato di permeare  l’intera società con i suoi valori, interessi, obiettivi (il che è cosa ben diversa dal “vincere” una qualche miserabile conta…) è certamente anche un rapporto di forza: l’avversario di classe lo sa benissimo e per questo è egemone nella società , tra i lavoratori,nel senso comune.

Questa egemonia borghese tra i proletari  dipende non solo  dal fenomeno generale per cui  “le idee dominanti sono sempre quelle della classe dominante”  (Marx) ;  ma dipende  pure dai livelli di penetrazione di essa nello stesso soggetto antagonista : “L’operaio comune inglese odia l’operaio irlandese  (….),si sente di fronte a quest’ultimo come parte della nazione dominante e proprio per questo si trasforma in strumento dei suoi aristocratici e capitalisti contro l’Irlanda” (sempre Marx)

Più avanti, Lenin parlerà di “aristocrazia” operaia per indicare  quello strato di operai qualificati, e meglio retribuiti, resi indifferenti alle sorti dei loro fratelli  di classe ( tanto più se provenienti dai paesi coloniali)  e perciò in via di allontanamento dalla prospettiva rivoluzionaria.

Più avanti ancora Marcuse  ci spiegherà come opera il concetto di integrazione subalterna: attraverso il sogno del consumo da parte degli sfruttati,della loro partecipazione al benessere in fasi espansive; cioè dalla speranza , presto mutata in individualismo forsennato , di ricevere per sè le proverbiali briciole della torta, forse ritenute meno faticose della appropriazione collettiva del prodotto sociale del lavoro.

Peraltro, osservo che più si  allontanava la prospettiva della rivoluzione in Occidente più si allargava  -  a volte vincendo a volte venendo soffocata nel sangue , la rivolta anticoloniale  e per la autodeterminazione dei popoli africani e  arabi : Angola, Algeria Sudafrica  e –soprattutto-  la vicenda di Thomas Sankara , sono ancora oggi a dirci che senza autonomia delle politiche di sviluppo, senza sovranità agricola ed alimentare ,  senza possibilità di accedere alle risorse naturali le migrazioni continueranno  , e nessun rossobruno potrà pretendere di regolarle

Passiamo a Lenin.Egli scrive , nel 1913:

«Il capitalismo ha creato un tipo particolare di migrazione di popoli. I paesi che si sviluppano industrialmente in fretta, introducendo più macchine e soppiantando i paesi arretrati nel mercato mondiale, elevano il salario al di sopra della media e attirano gli operai salariati di quei Paesi.[…] Non c’è dubbio che solo l’estrema povertà costringe gli uomini ad abbandonare la patria e che i capitalisti sfruttano nella maniera più disonesta gli operai immigrati. Ma solo i reazionari possono chiudere gli occhi sul significato progressivo di questa migrazione moderna dei popoli. La liberazione dall’oppressione del capitale non avviene e non può avvenire senza un ulteriore sviluppo del capitalismo, senza la lotta di classe sul terreno del capitalismo stesso. E proprio a questa lotta il capitalismo trascina le masse lavoratrici di tutto il mondo, spezzando il ristagno e l’arretratezza della vita locale, distruggendo le barriere e i pregiudizi nazionali, unendo gli operai di tutti i paesi nelle più grandi fabbriche e miniere dell’America, della Germania, ecc.»

E ancora :

«La borghesia aizza gli operai di una nazione contro gli operai di un’altra, cercando di dividerli. Gli operai coscienti, comprendendo l’inevitabilità e il carattere progressivo della distruzione di tutte le barriere nazionali operata dal capitalismo, cercano di aiutare a illuminare e a organizzare i loro compagni dei paesi arretrati

«Una delle particolarità dell’imperialismo, collegata all’accennata cerchia di fenomeni, è la diminuzione dell’emigrazione dai paesi imperialisti e l’aumento dell’immigrazione in essi di individui provenienti da paesi più arretrati, con salari inferiori […] In Francia i lavoratori delle miniere sono “in gran parte” stranieri: polacchi, italiani, spagnoli. Negli Stati Uniti gli immigrati dall’Europa orientale e meridionale coprono i posti peggio pagati, mentre i lavoratori americani danno la maggior percentuale di candidati ai posti di sorveglianza e ai posti meglio pagati. L’imperialismo tende a costituire tra i lavoratori categorie privilegiate e a staccarle dalla grande massa dei proletari.» (corsivo mio)

Le parole di  Lenin sono di una chiarezza estrema : non soltanto la lotta di classe esige che si accantoni ogni differenza “etnica” in favore della comune lotta contro il capitale; ma è il fenomeno migratorio nel suo complesso, poiché rompe l abito mentale dei proletari nativi e delle aristocrazie operaie , inoltre avvicinando il superamento delle frontiere nazionali, ad avere  un significato progressivo.

Da questo punto di  vista , Lenin, internazionalista fino in fondo,  appare come un “no border” ante litteram e la sua aspirazione al superamento delle frontiere lo pone come un “altermondialista” un secolo prima del G8 di Genova ; sono indicazioni preziose in termini di obiettivi programmatici e  transitori, anche per i rivoluzionari di oggi.

Ecco come i nostri classici  leggevano il fenomeno migratorio.

Altro che complotto delle ONG, “sinistra clintoniana” o “etica”: è, quest’ ultima  una parolaccia? Oppure,al contrario la morale comunista impone di essere sempre a fianco degli sfruttati, di qualunque colore?

Altro che “non facciamo come la Caritas” , quando il problema è proprio quello di organizzare la solidarietà e la politicizzazione , non l evangelizzazione, dei poveri. Mutualismo e” messaggio”: dovremmo copiarla ,piuttosto (alla nostra maniera), la Caritas !

Altro che “no alla sinistra cosmopolita” : la Treccani definisce il cosmopolitismo così: “Tendenza a considerare sé stesso e tutti gli altri uomini come cittadini di un’unica patria, il mondo; in senso più ampio, dottrina della fratellanza universale, corrente ideale che non ammette distinzioni di razze e di nazionalità ma considera tutti gli uomini appartenenti a un’unica grande patria”

C’è qualcosa di male,in questo concetto? E’ o no sostanzialmente un sinonimo di “internazionalismo”?

Quasi tutti i grandi dirigenti della storia del movimento operaio e comunista hanno vissuto in molti paesi e anche continenti diversi, avevano origini familiari le più diverse, hanno assorbito influssi culturali plurali e differenti, studiavano in diverse lingue e quasi sempre ne parlavano 2 o 3.

Erano cosmopoliti, e hanno guidato rivoluzioni, lotte enormi,cambiamenti epocali.

Solo in questi tempi rozzi e  incolti a qualcuno che non sia un nazionalista e/o xenofobo può venire in mente che “cosmopolitismo sia “una brutta cosa.

Ma i nostri sovranisti “di sinistra” aggiungono :  “ le periferie sono abbandonate , il popolo vede che agli stranieri ci danno la casa e a loro no;  che i migranti hanno accesso ai posti negli asili nidi e i nativi no; che in ospedale  loro pagano il ticket egli stranieri no”

Bene.

Sorvolando sul fatto  che le periferie, da realtà sociale determinata tendono spesso  a farsi narrazione spettacolare o  immaginifica, vediamole , per come sono oggi, ai fini del discorso che qui ci interessa.

Appare allora una  realtà contraddittoria, nella quale la logica del capro espiatorio e dell’ integrazione subalterna agiscono in massimo grado: dove ad una composizione sociale popolare di alcuni decenni fa, risalente ai progetti di edilizia pubblica ed alle lotte per la casa ,fatta di lavoratori a  basso reddito ,piccoli artigiani,pensionati, disabili,  si  è sostituita in buona parte  una composizione “ Lumpen””  fatta,come da classica definizione marxiana,  di “persone che vivono di espedienti” spacciatori, ex tossicodipendenti , abusivi dell’ abitare e del lavorare, papponi, usurai  e via così: vittime e carnefici, tutti insieme, contro la prossima famiglia, rom o o migrante, ammessa alla casa popolare.

Dove pure si manifestano , e non sono  pochi ,  attività e progetti, sia di parte istituzionale che dell’associazionismo laico e cattolico ed anche della galassia mutualistica  dal basso di movimenti, centri sociali ,organizzazioni politiche (tra cui il Prc),  non godono mai dell’ audience riservata all’ ennesimo blitz antispaccio, o alla prossima calata dei soliti ceffi di casapound contro l arrivo degli “”stranieri”.

Il sottoproletariato (“lumpen”) è uno strato sociale già oggi multietnico, difficilmente compete  per il proprio prezzo sul mercato della  forza- lavoro, spesso si presta –come mostrano le cronache degli ultimi mesi , ad operazioni razziste  (e anche questo Marx l’aveva scritto…) ; esso è, al tempo  stesso, agente dell’esclusione sociale e suo prodotto: un gradino basso della scala sociale che si oppone al gradino che sta ancora più in basso, spesso col consenso di gradini che stanno sopra entrambi

E’ necessario immaginare il superamento di questo circolo vizioso, riconfermare la battaglia contro l’esclusione , per i servizi sociali e per  la  funzione costituzionale della pena; a favore di  percorsi di integrazione civile, di politiche pubbliche contro la pena sociale della miseria.

Dobbiamo rivendicare,e praticare dal basso,  inclusione per tutti gli esclusi , migranti e  nativi, attraverso la proposta di un grande piano straordinario per le periferie , che combini lavoro , cultura, spazi , socializzazione, cura delle persone.

Dobbiamo riprendere il filo della proposta  di legge Amato- Ferrero (secondo governo prodi) che grossomodo  diceva : in Italia si entra per cercare lavoro , protezione, rifugio,; per studiare e ricostruire la propria famiglia;  senza pretendere assurdamente che il contratto di lavoro valido per l’ ingresso sia stipulato nel paese di provenienza, come ancora prevede la Bossi-Fini.

Serve  che i diritti civili dei migranti siano incardinati in uno ius soli che garantisca, da cittadini, istruzione, servizi opportunità,diritto di voto, obbligo tributario.

Servono corridoi umanitari che sfidino il cinismo europeo davanti alle tragedie del mare, dei respingimenti, dei muri  che sorgono dal Messico all’Ungheria;

Serve la capacità di coniugare diritti sociali e diritti civili, senza astruse e reazionarie separatezze,  in quanto diritti  della persona, del cittadino,del lavoratore.

Serve contrastare il padrone migrante  (che esiste , con i suoi sgherri,  dalla filiera della distribuzione a quella del trasporto merci,, dal commercio minuto al caporalato in  agricoltura) proprio come si farebbe per il padrone autoctono .

Ma se lo sfruttatore “straniero” può essere cittadino italiano, allora che lo sia,perché la cittadinanza   non è un “premio” ma un prerequisito  per l’attribuzione di diritti e doveri secondo la legge italiana ; e se  suo figlio è nato qui, deve essere cittadino italiano: lui non ha colpa.

Nota finale:

Karl Marx era un migrante e un profugo di origini tedesche, olandesi ed ebraiche. Emigrò nel 1843 in Francia, da dove fu espulso su pressione della Prussia nel 1845, rifugiandosi in Belgio. Fu arrestato ed espulso dal Belgio nel 1848. Tornato in Francia e poi nella Germania scossa dalla rivoluzione, fu espulso nuovamente nel 1849 verso la Francia, ma neppure la Francia gli diede asilo. Finì dunque profugo a Londra.

 

Lenin, era un migrante e un profugo di origini russe, tedesche, svedesi ed ebraiche. Nel 1900 emigrò in Svizzera e poi in Germania. Nel 1902 sfuggì alla polizia bavarese spostandosi a Londra. Tornato in Russia dopo la rivoluzione del 1905, ne dovette fuggire da profugo nel 1907, tornando in Svizzera e poi in Francia e per un breve periodo a Londra. Durante la Grande Guerra visse da immigrato in una regione oggi polacca  e in Svizzera, senza poter rientrare in Russia  fino al 1917.

 


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