Il Congresso Mondiale delle Famiglie e il vento identitario che soffia sul mondo

Il Congresso Mondiale delle Famiglie e il vento identitario che soffia sul mondo

Il Congresso Mondiale delle Famiglie e il vento identitario che soffia sul mondo

Domani risponderemo alla chiamata di Non una di meno e saremo in piazza a Verona contro il Congresso Mondiale delle Famiglie. La necessità di scendere in piazza a contestare il Congresso coinvolge tanti e tante, dato il clima politico in Italia e il lungo e orrido elenco di dichiarazioni e proposte dei relatori, ma mi piacerebbe provare a fare una riflessione più sistematica e lontana dall’effetto shock: viviamo in uno stato d’indignazione permanente dettato dal dibattito dei media e sui social network, mi sembra più interessante lo stato d’agitazione permanente di un movimento globale delle donne così vigile e attivo da riuscire a contestare per la prima volta il Congresso, dopo aver contrastato per anni i risultati della sua azione lobbystica sul legislatore.
Per giorni abbiamo assistito al dimenarsi delle forze politiche strutturate per sovradeterminare e invisibilizzare il lavoro di Non una di meno. Il dibattito sul patrocinio governativo, col braccio di ferro tra Conte e Fontana, è stato un assist perfetto per riaffermare la tendenza totalitaria di un governo capace di assumere ogni posizione e il suo contrario, di comprendere in se stesso l’opposizione. Fuori da Non una di meno è mancata la capacità di fermarsi a riflettere, di allargare lo sguardo oltre i nostri confini, di connettere tra loro le dichiarazioni per cui ci si indigna, di individuare nello stesso Congresso delle Famiglie, con la sua storia e i suoi intenti, il luogo in cui per anni è avvenuta quella connessione.
Sembra quasi che il Congresso sia un’invenzione di Fontana, con l’immancabile sostegno economico di Putin e la visione ambivalente delle gerarchie vaticane (bergogliani freddi vs antibergogliani entusiasti), anziché un’appuntamento consolidato negli anni per imporre un’agenda politica oscurantista ai governi e alle istituzioni sovranazionali che ha seguito (e, forse, determinato), l’evoluzione delle destre nelle diverse tendenze dominanti del potere capitalistico dopo la caduta del Muro di Berlino.
Yàdad De Guerre ci ha offerto in questi giorni una preziosissima ricostruzione delle radici ideologiche, delle origini e e del concetto di natura del Congresso, che ci può essere utile per delinearne l’evoluzione.
Il primo Congresso Mondiale della Famiglie si è svolto a Praga nel ‘97 grazie al sodalizio tra due accademici, Allan C. Carlson, un fondamentalista cristiano ex funzionario dell’amministrazione Reagan, e Anatoly Antonov, un influente sociologo che aveva lavorato per la formazione di un ministero della famiglia nella Russia postsovietica di Eltsin.
Carlson è l’ideologo, con le sue teorie sulla famiglia come istituzione naturale e universale precedente rispetto agli stati, ma fortemente legata al sistema economico-produttivo. Carlson ha auspicato la riaffermazione di un protocapitalismo rurale, lontano dal capitalismo industriale e in particolare dal modello fordista con il suo ingresso in massa delle donne nel lavoro produttivo, quindi con una visione intransigente della divisione sessuale del lavoro. Questa teoria, nonostante le suggestioni passatiste, è tutt’altro che incompatibile con il paradigma capitalistico che si è affermato negli anni in cui è stata elaborata e che ha effettivamente ridimensionato il capitalismo industriale, cioè il neoliberismo. Emergono nei testi di Carlson la retorica reaganiana sulla moral majority e un antistatalismo viscerale: dovrebbero contare solo i diritti delle famiglie e non degli individui (quindi delle donne e dei/delle minori), pur di non rafforzare il ruolo dello stato rispetto al vero depositario delle libertà: il patriarca. Ovviamente l’origine di ogni male per Carlson è rappresentata dalle istanze di chi ha sfidato quel patriarca, ossia le donne con le loro lotte contro ciò che per secoli ne ha segnato la carne viva: la libertà di interrompere una gravidanza indesiderata, il diritto a sfuggire col divorzio a una relazione finita, la possibilità di raggiungere l’indipendenza economica dai propri mariti attraverso il lavoro salariato, la necessità di difendersi e di difendere i loro figli dalla violenza domestica.
Il contributo di Antonov è stato quello di rendere il Congresso Mondiale delle Famiglie lo spazio politico in cui si sono potuti sovrapporre due diversi volti volti del pensiero reazionario attraverso il comune antifemminismo: il fondamentalismo cristiano occidentale e l’anticomunismo in fase di affermazione nei paesi ex-sovietici. In quegli anni la Russia era attraversata non solo dal problema della denatalità, ma anche dalla necessità di ricostruire un’identità nazionale dentro la globalizzazione neoliberista attraverso la distruzione dell’eredità comunista. Nelle tesi di Carlson Antonov riuscì a trovare una connessione tra i due temi, interessandosi in particolare a quelle che mettevano in rapporto demografia e immigrazione e anticipavano la psicosi da “sostituzione etnica” che tanto peso ha nel dibattito contemporaneo.
Carlson e Antonov si incontrarono per la prima volta a Mosca nel ‘95, rilevando un’esigenza comune: bisognava pensare a una risposta globale all’affermazione dei diritti individuali che minacciavano la famiglia come istituzione autoritaria, bisognava invertire il segno di ciò che l’Onu aveva stabilito nella Quinta Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo (El Cairo, 1994) e soprattutto nella Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne (Pechino, 1995), dove i movimenti femministi di ogni continente avevano lasciato un’impronta profonda, bisognava avviare una controffensiva immediata e costituire una lobby capace di influenzare tanto la cultura quanto le legislazioni nazionali e sovranazionali. Carlson, Antonov e un think tank anticomunista ceco cominciarono immediatamente a lavorare per la realizzazione del già citato primo Congresso Mondiale delle Famiglie di Praga del ‘97. Da allora questo evento si è progressivamente consolidato acquisendo sempre più peso politico, diventando un punto di riferimento e di incontro per le forze conservatrici e neofasciste, politiche e sociali, laiche e confessionali. Già dal secondo Congresso, per esempio, è arrivato il sostegno convinto delle gerarchie cattoliche. Lascia perplessi la velata presa di distanza di questi giorni (sulla forma, noi sui contenuti) del segretario di Stato vaticano, quello stesso cardinale Parolin che ha portato al Congresso del 2018 il saluto e il sostegno del Papa. L’impressione è che si sia voluta tutelare l’immagine della Chiesa dalle campagne mediatiche che hanno smascherato le posizioni liberticide e violente dei relatori, ovviamente senza discostarsi dal loro disegno politico, se non sul tema del rapporto tra natalità e processi migratori.
Possiamo toccare con mano da anni l’effetto di questo disegno globale con la sua incredibile versatilità e capacità di adattarsi alle specificità dei singoli paesi. Basti pensare ai diversi approcci per contrastare la visibilità e l’accesso ai diritti delle persone LGBTQI, alle battaglie no choice sull’interruzione volontaria di gravidanza in cui si alternano la criminalizzazione delle donne e la nuova strategia paternalistica che usa la retorica della tutela delle donne stesse dal trauma dell’aborto, al modo in cui il rifiuto del divorzio si sta trasformando in un controllo dispotico dello stesso. Le dichiarazioni dei relatori, slegate da questo contesto di politiche reazionarie concrete, rischiano di apparire come deliri di persone disturbate, mentre fanno parte di un progetto sistemico che travolge il pianeta e tenta di arrestare la corsa verso i diritti e le libertà, di invertirne la rotta e di proiettare sul nostro domani l’ombra di una rivoluzione nera. Non è un ritorno al Medioevo, continuamente citato, come se le conquiste delle donne e delle persone LGBTQI fossero ormai millenarie. Non è un salto temporale verso un passato lontano, ma è la costruzione lineare del futuro a partire dalla continuità delle strutture di dominio sopravvissute nei secoli, nonostante il 1789 e il 1917: l’eteropatriarcato in primis, ma anche la razza, la proprietà privata dei mezzi di produzione e così via.
Nelle posizioni delle relatrici africane Akello e Okafor sulla contraccezione e sull’omosessualità si possono leggere gli effetti tanto della campagna della Chiesa cattolica contro la diffusione del preservativo in un continente funestato dall’AIDS quanto la permanenza delle leggi vittoriane contro la sodomia, quindi l’affermazione del colonialismo. Nelle dichiarazioni omofobe dei relatori russi Smirnov e Komov è centrale il rifiuto degli avanzamenti portati nei primi anni della rivoluzione bolscevica e un provvedimento come la famigerata legge contro la propaganda omosessuale mostra pienamente il suo carattere di repressione del dissenso. Nelle affermazioni di Brian Brown o di Silvana De Mari sulle terapie riparative, nelle tesi sui danni fisici e psicologici dell’aborto sulle donne, nell’uso di teorie come quelle della sindrome di alienazione parentale nell’ossatura del ddl Pillon, nell’attacco alle donne malate di cancro al seno emerge la tendenza dell’oscurantismo ad assumere il linguaggio della scienza per confondere le acque, una tendenza che sempre più spesso vediamo associata alle questioni epocali che ci interrogano in questi anni come le migrazioni o cambiamenti climatici in rapporto al modello di sviluppo, sempre intrecciate con le scelte riproduttive e la sessualità.
Contestualizzare in questo modo le dichiarazioni ci serve, quindi, a fare un giro del mondo in cui il “vento identitario”, come direbbe Fontana, soffia sempre più forte, rinsalda i nessi tra oppressioni per rafforzarle e prende il potere. La destra neofascista governa, lo scontro intercapitalistico in atto porta ampi settori della destra conservatrice a ripudiare o ridefinire la centralità del paradigma neoliberista e slittano verso il neofascismo, il Congresso Mondiale delle Famiglie è forse il luogo in cui questi processi politici si sono consolidati. Il potere cambia volto e strategia per sopravvivere e trasformare la stagione novecentesca dei diritti in un incidente di percorso, in una parentesi breve e fragile.
Partecipare al corteo di domani è per noi fondamentale. Abbiamo tante questioni politiche da affrontare nel nostro paese, che discendono direttamente dalla strategia del Congresso Mondiale delle Famiglie: il primo e ben noto disegno di legge Pillon sul divorzio, l’altro disegno di legge dello stesso Pillon sul turismo riproduttivo (che nominalmente vorrebbe contrastare il ricorso alla gestazione per altri all’estero, ma che colpirà le coppie lesbiche che non vi ricorrono affatto ben più delle coppie eterosessuali che scelgono la maternità surrogata), la proposta di riaprire le case chiuse, quella sulla soggettività giuridica e l’adottabilità del concepito quando si richiede un’interruzione volontaria di gravidanza, il “codice rosso” sulla violenza contro le donne che, come ha candidamente dichiarato Giulia Bongiorno, serve più a trattare le donne da “isteriche” che a metterle al sicuro, le mozioni antiaborto presentate nelle istituzioni locali, più tutte le questioni annose e irrisolte relative ai diritti delle donne e delle persone LGBTQI.
Saremo in piazza cercando di porre tutte queste questioni in forma semplice e immediata, grazie all’aiuto che ci ha offerto il compagno Danilo Maramotti con la realizzazione di una serie di vignette sulle “famiglie da incubo” che esporremo in corteo: le discriminazioni discendono da norme giuridiche, culturali e strutturali imperniate sul concetto autoritario di famiglia naturale, tradizionale, patriarcale. Contestare queste norme fa parte del nostro bagaglio politico-culturale di comunisti e comuniste sin dai tempi di Engels, come sanno bene i promotori del Congresso, che forse col loro anticomunismo hanno una visione più lucida della nostra sul nostro compito storico. È fondamentale per noi stare al fianco della marea femminista che sta travolgendo il mondo e del movimento LGBTQI, per rivendicare che sì, Carlson, Antonov e i loro seguaci hanno ragione: il nostro sodalizio è capace di smantellare le strutture del potere eteropatriarcale e di cambiare il corso della storia.

Silvia Conca – Responsabile nazionale per le politiche LGBTQI e l’intersezionalità – Partito della Rifondazione Comunista


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