Brasile – La sfinge di un nuovo ciclo politico da decifrare

Brasile – La sfinge di un nuovo ciclo politico da decifrare

di Walter Sorrentino, (Vice-Presidente e responsabile relazioni internazionali del PCdoB)

Pubblichiamo un’amplia analisi del compagno Walter Sorrentino, Vice-Presidente e responsabile esteri del Partido Comunista do Brasil, scritto espressamente per Rifondazione Comunista.
L’analisi riguarda alcune ragioni della vittoria di Bolsonaro, le contraddizioni in seno al governo, la situazione attuale del Brasile, e le prospettive di resistenza. Buona lettura. M.C.
Brasile – La sfinge di un nuovo ciclo politico da decifrare
Presento qui una riflessione sulla realtà post-elettorale brasiliana che attira l’ attenzione mondiale. Intendo dare informazioni a chi non vive nel Paese per dare fondamento al  dibattito sull’analisi di ciò che accade e sulle sfide per la sinistra. Il testo è lungo, quindi l’ho diviso in quattro articoli successivi, mettendo alla prova la pazienza del lettore e della lettrice.

 Il testo  è frutto di ciò che io più apprezzo: lavoro di riflessione collettiva, sottoposto a permanenti tentativi ed approssimazioni per categorizzare fenomeni complessi che si sviluppano nell’ immediato tempo presente.  

 

Per questo le idee esposte raccolgono opinioni di diversi dirigenti del PCdoB/Partito comunista del Brasile, dibattiti di partito, così come dialoghi con dirigenti del PT/Partito dei lavoratori, PSOL/Partito socialismo e  libertà, MST/Movimento dei lavoratori senza terra ed altri: sarebbe lungo indicarli tutti. Rubo loro idee, ma l’insieme finale, con le sue imprecisioni e anche errori, sono di mia esclusiva responsabilità. E rappresentano quindi solo l’opinione dell’autore.

 

Brasile –  La sfinge di un nuovo ciclo politico da decifrare si compone di due primi articoli di taglio più analitico:

1) ciò che è accaduto in Brasile nelle elezioni di ottobre.

2) un nuovo ciclo politico nel Paese. Segue un articolo più informativo sul decorso politico. 3) che cos’ è il governo Bolsonaro? Il quale permette di giungere al dibattito della formulazione politica di tali questioni, affrontate inizialmente nel documento che il PCdoB prepara per il Congresso straordinario a marzo 2019.

4) una nuova realtà esige nuove tattiche di lotta.

 

Spero di non avere dato gambe lunghe a idee corte nel contenuto, come diceva il nostro massimo scrittore Machado de Assis. La critica aiuterà ad avanzare nell’ indispensabile cammino per decifrare una realtà inedita.

 

Che cosa è successo in Brasile nelle elezioni di ottobre

Parte I

Il risultato del confronto politico-elettorale del 2018 in Brasile rappresenta una sconfitta strategica per l’insieme delle forze progressiste, democratiche e patriottiche antimperialiste, in particolare per le forze della  sinistra politica e sociale. Eleggendo Bolsonaro l’estrema destra ha incarnato e realizzato il contenuto fondamentale della strategia delle classi dominanti. Ciò consolida il quadro sfavorevole nei rapporti di forza a favore dell’agenda anti-nazionale, anti-popolare e anti-democratica che si è costituita nel Paese nel corso degli ultimi cinque anni e incalza la fine del regime costituzionale della Nuova Repubblica iniziato con la promulgazione della Carta Magna del 1988, che ha raggiunto importanti conquiste e fatto passi avanti, con coalizioni governative rispettose del patto costituzionale e con i governi dal 2003 fino al colpo di Stato dell’impeachment del 2016.

Ciò nonostante le forze avanzate sono riuscite ad arrivare al secondo turno elettorale per la presidenza, in cui un vasto movimento civico ha consegnato 47 milioni di voto (il 45% dei votanti) ad un diverso programma per il Paese, eleggendo un gruppo parlamentare notevole nelle condizioni date, ritemprando le forze unitarie delle organizzazioni popolari e democratiche e di ampi circoli intellettuali e culturali. Al primo turno Fernando Haddad del PT e Manuela D’Avila del PCdoB avevano ottenuto 31 milioni di voti, 29% dell’elettorale votante. È stato incisivo il ruolo di Lula, sebbene incarcerato, ma anche l’incapacità delle forze di centro-sinistra e di sinistra di presentarsi con una candidatura unica, come proposto dal PCdoB. Un errore che è costato carissimo, in quanto si era persa la fiducia di gran parte del popolo. Il risultato del voto è la base per una vigorosa opposizione politica e popolare, fatta di resistenza e difesa del programma nazionale e popolare per il Paese.

Un’elezione eccezionale

Durante la campagna presidenziale Jair Bolsonaro non ha mai fatto riferimento alle diseguaglianze sociali e regionali brasiliane. Undici brasiliani su dieci sanno che questa è la piaga storica del Paese, legata alle oppressioni di classe, di genere, di colore della pelle e di diritti civili. Il campo popolare non ha colto il fatto che anche l’area morale definisce identità e relazioni sociali, ed ha così rinunciato a disputare le soggettività come terreno di lotta. Il rigetto al “petismo” (PT) e alla corruzione ad esso attribuita – in verità per finanziare la macchina politica elettorale,  una quasi regola universale nella politica fino alle elezioni recenti – è stato in questo senso fatale. Le cose si sono aggravate per l’arretratezza ideale e materiale nel campo popolare rispetto alle reti dei social-media. Le “reti sociali” sono state utilizzate grandemente nella campagna dell’ estrema destra, collegando direttamente le strategie delle guerre ibride con il know how delle Forze Armate e con finanziamenti di agenti esterni. Si tratta di capire che i media non sono solo, né essenzialmente, reti di comunicazione, ma vere assemblee popolari permanenti, creatrici di opinione istantanea, come dice Manuela D’Avila, esperta del tema e bersaglio di attacchi di fake news nell’ordine di centinaia di migliaia di messaggi diffusi.

Il punto decisivo per la svolta politica ed elettorale verso l’estrema destra sono stati i cambiamenti sul piano sociale – con un cambiamento rispetto agli ultimi quarant’anni – nei confronti della crisi economica e del sistema politico rappresentativo, ma anche verso i miglioramenti ottenuti negli ultimi 13 anni dei governi  di Lula e Dilma. Vi è stata una svolta nel comportamento elettorale di vasti settori di ceto medio, rispetto al periodo di lotta contro la dittatura ed i governi 2003-2016.

Settori tradizionali, che avevano posizioni progressiste per  diminuire le diseguaglianze sociali e democratiche, hanno espresso un  risentimento per i modesti guadagni durante il ciclo della Nuova Repubblica, specialmente nel periodo Lula-Dilma. E l’effetto della realtà radicale delle politiche neo-liberiste è stato  attribuito al governo. L’innalzamento del livello di vita delle  classi popolari è stato visto come una perdita di privilegi della rendita. Parte di tale elettorato si è mantenuto, un’ altra ha Stati Unitito  il voto in rapporto a cause identitarie che non esprimevano un nuovo programma per il Paese, e la maggior parte si è persa  nell’onda dell’antipetismo.

Allo stesso tempo, nuovi segmenti sociali popolari  che avevano migliorato il loro reddito sono stati vittime di perdite subite a caStati Uniti della crisi mondiale che si è abbattuta sul Paese a partire del 2013-2014: “peggio che smettere di migliorare la propria vita, è perdere ciò che si era raggiunto”. Nonostante le conquiste significative, hanno perso la fiducia nel progetto del periodo precedente. Sul piano ideologico, hanno adottato una qualche “teoria della prosperità” basata sullo sforzo proprio, della famiglia e sull’aiuto di Dio. Questa ideologia meritocratica è penetrata profondamente attraverso le chiese evangeliche  neo-pentecostali. Nell’insieme la maggioranza dell’elettorato ha visto in Bolsonaro la soluzione per vincere la corruzione, la criminalità e la delusione economica, attribuite al sistema politico vigente, e ha dato credito alla posizione di outsider  che Bolsonaro ha cercato di incarnare. La “provvidenza” ha fatto il resto: l’attentato con un coltello a Bolsonaro (ad oggi di oscura origine) in modo evidente ha posto il candidato nella condizione di vittima, permettendogli di non fare campagna elettorale, né partecipare ad alcun dibattito.

Il principale problema di questa separazione si manifesta a livello territoriale: è diminuita di molto la votazione nelle regioni più sviluppate del Paese (Sudest e Sud con i grandi Stati più ricchi) e in particolare nelle capitali e nei grandi centri, con le loro periferie di decine di milioni di brasiliani, in gran parte senza attenzione da parte dei poteri pubblici. L’area popolare ha ottenuto vittorie significative nel Nordest, con governatori e gruppi parlamentari del PT, PSB e PCdoB e con la rielezione del governatore di Maranhão, Flávio Dino.

Ma non si devono idealizzare né l’elettore, né il voto. Per decifrare la sfinge del comportamento elettorale dei brasiliani, è bene fare riferimento ai numeri di Datafolha, uno dei principali Istituti di sondaggio del Paese, che in un sondaggio proprio all’inizio del nuovo governo ha indicato che parte significativa della popolazione non è d’accordo con i temi centrali della piattaforma di Bolsonaro, mettendo in luce lo scollamento fra il programma del Presidente della Repubblica e l’opinione pubblica brasiliana. È stato un voto negativo, di rifiuto di qualcuno, piuttosto che  a favore di qualcuno.

Fatta eccezione per il tema del controllo degli immigrati e dell’ abbassamento dell’età per l’imputabilità penale, tutti gli altri dieci punti chiave del progetto bolsonarista sono respinti da una porzione significativa della popolazione, con percentuali vicine al 70%. Mettiamo in luce alcuni di essi: “gli argomenti politici non devono essere tema di lezione nelle scuole; è necessario che le persone abbiano accesso agevolato alle armi; il Brasile deve privilegiare il governo degli Stati Uniti rispetto a quelli di altri Paesi; il governo deve ridurre le aree destinate alle popolazioni indigene; la politica ambientale intralcia lo sviluppo del Brasile; il governo deve privatizzare il maggior numero possibile di imprese statali; è necessario avere meno leggi sindacali; il fatto che le donne guadagnino meno degli uomini è un problema delle imprese e non del governo; l’educazione sessuale non deve essere argomento di lezione a scuola; le donne violentate non dovrebbero interrompere la gravidanza, ma avere un aiuto finanziario per avere il figlio; se il Brasile entrasse in guerra, oggi io sarei disposto a lottare per il Paese”.

È in questa realtà d’insieme, politica, sociale e “spirituale” che bisogna modellare la lotta per la ripresa di fiducia popolare.

  

Nuovo ciclo politico in Brasile

Parte II

Il risultato delle elezioni in Brasile evidenzia che il sistema della Nuova Repubblica, iniziato nel 1988, era giunto ad un punto di enormi tensioni aggravate dalla preparazione del colpo di Stato con l’impeachment di Dilma Rousseff , eletta con 54 milioni di voti nel 2014. La prolungata crisi politica e istituzionale nel Paese si è complicata con l’aggravarsi di quella  economica (la più lunga recessione della nostra storia, costata come una decrescita dell’8% del PIL e del reddito), con profonde conseguenze sociali (13 milioni di disoccupati e molti  più lavoratori precari).

Il segnale più noto della crisi istituzionale è stato l’intervento politico di settori del potere giudiziario attraverso l’Operazione Lava Jato, che ha portato il Paese a una certa anomia sociale, con  difficoltà  di riferimenti e di rappresentanza politica in una società frammentata. Il vuoto politico virtuale che si è creato con il discredito dell’Esecutivo e del Legislativo, nel contesto dell’accanimento persecutorio di settori della Giustizia, è stato occupato da ciò che è classico nello Stato borghese: la Legge e la Forza che garantisce la Legge. Cioè dal potere giudiziario che si erge come potere moderatore al margine della sovranità del voto popolare, e dalle Forze Armate (l’ istituzione più affidabile della Repubblica agli occhi della grande maggioranza della popolazione) che cominciano ad intervenire direttamente nella politica. In Italia il risultato di una certa situazione è stato Berlusconi, in Brasile il Coso si chiama Jair Messias Bolsonaro.

Il risultato elettorale ha raccolto l’eredità delle aspre lotte politiche di classe in Brasile negli ultimi cinque anni. Dapprima le manifestazioni del 2013 che hanno messo in luce un risentimento profondo di larghi strati del ceto medio e di “settori emergenti”, in uno scontro culturale in una  società imperniata sulla negazione della politica. È stata una sconfitta imposta alle forze progressiste e che ha dato inizio all’ampliamento della base di massa del nuovo Presidente. 

La seconda  è stata la rottura del patto democratico con il colpo di Stato giuridico-giudiziario-parlamentare del 2016, guidato dalla offensiva giudiziaria contro il sistema politico, la cui punta di lancia è stata l’ Operazione Lava Jato.

E la terza, sempre frutto delle persecuzioni faziose della Lava Jato, l’ incarcerazione senza prove di Lula, il maggior leader popolare della sinistra, bersaglio di un nauseabondo processo politico. Era necessario incarcerarlo per vincere le elezioni, impedendone la candidatura presidenziale che dominava  tutti i sondaggi, fino a dover procedere alla sua sostituzione con  Fernando Haddad, solo tre settimane prima dello scrutinio.

 

Sono tutte situazioni  che hanno potuto contare non solo sull’ appoggio interno compatto dei poteri dominanti, guidati dai poteri finanziari nazionali e internazionali, ma anche su quello estero, soprattutto degli Stati Uniti. In Brasile la più pesante espressione di tutto ciò è stato l’ articolato lavoro di funzionari di Stato degli Stati Uniti nella preparazione del braccio giudiziario della Lava Jato, a partire dalla scoperta dei grandi giacimenti di petrolio, in particolare quelli del Pré-Sal, e distruggendo interessi nazionali nel settore delle grandi imprese nazionali di ingegneria. 

Su  questi casi hanno avuto incidenza limiti ed errori del PT, in particolare per le illusioni sul carattere di classe dello Stato nazionale. I carnefici provenivano da settori dell’apparato centrale dello Stato, molti di loro indicati o avvantaggiati da atti del governo in uno spirito “repubblicano”. Altro elemento è stata la rinuncia a coinvolgere   politicamente e culturalmente la società in una lotta per riforme strutturali.

 

Un cambiamento politico dirompente

L’elezione di questo governo di estrema destra, per la prima volta nella storia politica brasiliana, è un cambiamento dirompente che altera qualitativamente l’equilibrio di forze. Rappresenta il “cambio della guardia” della destra e del centro-destra liberale, le forze partitiche che hanno subito la maggiore sconfitta elettorale. Il suo significato più profondo è che si tratta di un governo sotto l’egida diretta dei settori finanziari, con un programma ultra-liberista contro gli interessi della nazione e del popolo, per fare avanzare e consolidare un nuovo ordine politico, economico e sociale che si è sviluppato dal 2016, e che può mantenersi solo mediante l’autoritarismo.

Si installano al potere e si muovono entro i limiti della legalità costituzionale esistente, che quotidianamente viene interpretata dal Potere giudiziario secondo gli interessi politici. E’ così che le misure di eccezione soffocano lo Stato democratico di diritto “dall’interno”, attraverso un vigoroso lawfare (trattando il possibile  imputato come nemico da abbattere). Uno Stato autoritario di nuovo tipo, una “dittatura legale”, che adotta nuove forme di dominio per imporre la propria agenda al Paese. Per ora non hanno bisogno  di una dittatura terrorista del capitale finanziario, nonostante i messaggi apertamente fascistizzanti del clan fascistizzante che ruota attorno al nuovo Presidente e di lui stesso. In queste condizioni, come vedremo oltre, la Costituzione del 1988 continua ad essere un baluardo di resistenza attiva di fronte all’arbitrio.

Il nemico interno da fare sparire

L’elezione di Bolsonaro è quindi il risultato di un’ ampio fronte unico delle classi dominanti del Paese contro le forze progressiste, democratiche e di sinistra. Un fronte che ha  unificato ampi settori dell’apparato di Stato, l’imprenditoria, i mass media monopolistici, che sono riusciti a manipolare con rara efficacia lo scontento popolare per la crisi politico-istituzionale con la narrazione anti-sistema, contro i privilegi e il sistema politico e con una falsa comunicazione,  di fronte alla situazione aggravata da  disoccupazione e contrazione del reddito, otre che dalla  violenza quotidiana del crimine organizzato. Lo stesso fronte ha sfruttato fino all’inverosimile temi comportamentali regressivi e irrazionali, facendo un grande uso di strategie di guerre ibride nelle reti sociali, con finanziamento oscuro e con l’appoggio di forze imperialiste alle cosiddette guerre culturali. Il loro bersaglio  sono state cause comportamentali, propagandando un ideale regressivo e reazionario e senza discutere un progetto per il Paese. Il loro messaggio ha trovato un’ampia base elettorale popolare, esaurita e priva di speranze, indirizzandola verso un nemico interno, nella forma dell’antipetismo e dell’anticomunismo odioso, nei confronti di tutte le organizzazioni popolari e della stessa libertà di organizzazione politica, in una pura e semplice espressione di “razzismo politico”. In ultima analisi, la strategia di queste forze è di eliminare alle radici la sinistra dallo scenario politico, vietare le vie istituzionali perché essa possa giungere al governo della nazione. Un cammino incompatibile con le norme dello Stato democratico di diritto che viene  soffocato tramite lo “Stato di eccezione”, con il lawfare e la reinterpretazione quotidiana della norma in funzione degli interessi politici. Sradicare la sinistra come alternativa è la parola d’ordine del nuovo Presidente.

 

Il Brasile in regressione in un mondo di crisi e conflitti

Bisogna anche considerare che questa successione di avvenimenti avviene in sintonia con  una tendenza più ampia nel mondo occidentale. Una tendenza che si delinea  in presenza della crisi mondiale capitalista che dura da 10 anni, e può avere un nuovo picco recessivo-depressivo. In presenza della crisi della globalizzazione imperialista, che vede una transizione di ordine mondiale fra il declino dell’egemonia statunitense e l’ascesa della Cina con il socialismo di mercato. E inoltre, nel mezzo di una ristrutturazione produttiva del capitale a partire alla Rivoluzione tecnologica 4.0 che “assale il lavoro” creando una massa immensa di nuovi proletari dell’era digitale, che non hanno neanche il diritto di essere sfruttati.

Questa crisi alimenta una lunga transizione che segna la fine di un’epoca, in cui il capitalismo presenta la prospettiva della barbarie – contro il lavoro, i diritti, la natura – e un nuovo ciclo fatica a nascere. L’ideologia dominante opera abbondantemente con la “post-verità”, il relativismo assoluto, in cui falso e vero si scambiano senza razionalità nelle reti, con il dominio di verità proprie di ogni individuo o gruppo.

Ha ragione Luigi Ferrajoli quando ha definito gli “emergenti poteri selvaggi”, una massa disposta, in nome della sicurezza e della lotta ai nemici creati dalla fiction, a distruggere garanzie individuali, diritti costituzionali e legali. Il caso brasiliano del 2018 è significativo: il “democraticidio” attraverso le urne.

Ciò che bisogna notare è la differenza fra i diversi strati dominanti del campo capitalista rispetto ai  percorsi  per affrontare la crisi e mantenere il sistema. Una parte conserva la posizione di destra liberale tradizionale (a volte anche nel solco social-liberale, che ha messo la social-democrazia al tappeto), con l’agenda antipopolare e neocoloniale travestita da democrazia formale a bassa intensità. Un’altra parte ritiene che tale strada sia incapace di debellare la crisi e presenta una soluzione apertamente autoritaria, nazionalista, xenofoba, con tratti fascistizzanti o anche regimi neo-fascisti, con varianti specifiche in ogni Paese. Quest’ultima mobilita le delusioni nei confronti del sistema rappresentativo, il ripristino dell’ordine e la manipolazione della bandiera della Nazione, promuovendo l’”antiglobalismo”, in realtà l’anti-multilateralismo, come nel caso della politica di Trump.

Così anche in Brasile il nuovo governo opera per trasformare il Paese  nella base di lotta per contenere o rinviare il processo di transizione mondiale in corso. Ciò serve come base per approfondire l’offensiva imperialista nordamericana, in particolare nel continente sud-americano e caraibico. Utilizza la forza della grande e pacifica nazione brasiliana per legittimare gli interessi dell’imperialismo statunitense. Si tratta dunque davvero di una agenda neocoloniale.

Il Brasile durante i governi 2003-2016,  facendo tesoro della tradizione dell’Itamaraty ((Ministero degli Esteri), ha sempre fatto passi avanti quando ha utilizzato le possibilità di manovra nell’ambito del multilateralismo. Ha sempre difeso le soluzioni negoziate e ha preservato il sub-continente dalle guerre, da 140 anni. È in questo modo  che ha aperto il cammino agli sforzi di sviluppo sovrano ed all’affermarsi come nazione. Far sì che il Brasile si allontani da tali indirizzi, che disprezzi l’autodeterminazione del Venezuela, che torni ad adottare posizioni di allineamento agli Stati Uniti, a limitare la sovranità  sulle risorse strategiche e a prendere le distanze da iniziative come i BRICS, il Mercosul e altri,  in ultima analisi contribuisce  al mantenimento  dell’attuale ordine internazionale.

 

Che cos’è il Governo Bolsonaro?

 Parte III

Dopo un mese di presidenza, si chiariscono i propositi sopra indicati, in mezzo ai battibecchi quotidiani nel governo, marcatamente erratico: le misure (e anche decreti firmati) annunciate dal Presidente sono sfumate, negate o addirittura disattivate da qualche ministro, in genere delle Forze Armate. Il viaggio di Bolsonaro al Forum di Davos è stato uno straordinario insuccesso. In ciò si manifesta la sua impreparazione, e la mancanza di esperienza politica e amministrativa. Il suo primogenito, eletto senatore per Rio de Janeiro, è incastrato per evidente arricchimento illecito, collusione con le milizie indagate per l’assassinio di Marielle Franco (la consigliera comunale del PSOL di Rio), raccolta di denaro per uso e arricchimento personale da parte di suoi funzionari, alcuni dei quali da lui contrattati ed elogiati in sede politica. Il basso livello morale (bandiera a loro cara) di questi personaggi è ormai evidente e il governo è stato colpito nel suo nocciolo morale.

Il deputato federale Jean Willys, rieletto dal PSOL, rinuncia al mandato per le continue minacce di morte a lui e alla sua famiglia. Già quattro attivisti del MST sono stati accusati penalmente come appartenenti a un’organizzazione criminale.

Il governo ha attriti su vari fronti, sia sul piano istituzionale, soprattutto in rapporto al parlamento, sia sul piano sociale ed ideologico. L’autoritarismo è intrinseco al Presidente e si manifesta nelle sue dichiarazioni contro il “nemico interno”, come se stesse ancora in piazza, al fine di mantenere la polarizzazione e l’impegno della militanza fedele e settaria, che ha bisogno di essere costantemente mobilitata nelle “reti sociali”.

Il nemico è già noto: noi, la sinistra politica, e i movimenti sociali organizzati come il Movimento Sem Terra (MST) e tutti gli altri. Si minaccia addirittura di inserire il comunismo nella “lotta antiterrorismo” e, cosa che non va sottostimata, di strangolare giudizialmente e finanziariamente il PT.  Si auspica apertamente la restrizione alle libertà fondamentali, di cattedra e di autonomia universitaria, di stampa, di pensiero, di organizzazione politica del popolo e di criminalizzazione delle sue manifestazioni.

Nuclei diversi, poca armonia fra di loro

Il governo è composto da vari nuclei, non sempre in armonia fra di loro. Vi è il nucleo ideologico profondamente regressivo e ultraconservatore tipico del clan Bolsonaro. Fra di loro vi è la caricatura   della pastora ultra retrograda Ministra dei Diritti umani, con affermazioni quali ”d’ora in poi il bambino si veste di azzurro e la bambina di rosa”  o che i “genitori masturbano i neonati”; lo stravagante Ministro dell’Educazione colombiano che non parla portoghese, né conosce le pietre fondanti dei sistema educativo; e il Ministro degli Esteri che infanga tutta la ricca tradizione della diplomazia brasiliana con dichiarazioni ideologizzate: relazioni carnali con gli Stati Uniti, Trump salverà la civiltà con l’antiglobalizzazione, etc. 

I loro orientamenti si attribuiscono ad un oscuro astrologo, residente negli Stati Uniti,  che si presenta come filosofo. Sono soggetti  apertamente legati agli evangelici, agli Stati Uniti e a Israele. Vi è poi  il nucleo oscurantista e anacronistico contro la cultura e l’educazione, i diritti civili e umani, che umilia il Paese per l’aberrante irrazionalità e settarismo.  Guidano questo nucleo i tre figli del Presidente che pesano anche nel settore politico. Ostentano inoltre  una specie di nativismo, che non è nazionalismo, né si coniuga con il cosmopolitismo anti-nazionale dell’agenda ultra-liberista. In questo senso rappresentano il polo più virulento del futuro governo, arrivato al punto di proporre la chiusura del Supremo Tribunale Federale (STF) e conducono un’ offensiva radicale contro il legittimo governo Maduro in Venezuela.

Da loro giungono anche dichiarazioni ostili – poi attenuate- rispetto al Mercosur, al mondo arabo e alla Cina, che hanno danneggiato fortemente gli interessi commerciali del Brasile. Analogamente, altre rotture riguardano gli impegni assunti dallo Stato con il ritiro del Brasile quale sede della COP 25 (sul clima) nel 2019 e dal “Patto delle migrazioni”, oltre all’annuncio del trasloco della ambasciata brasiliana in Israele a Gerusalemme.

 

Altro nucleo ferreo è il comando ultraliberista in economia, che forse ha riunito il maggior gruppo immaginabile di Chicago Boys che dominano quasi tutte le leve dell’economia. Ha un elevato potere centralizzato che promuove  l’agenda di austerità  radicale: Stato minimo, riforme antilavoro e antiprevidenza, trattamento d’urto del deficit fiscale derogando dalle conquiste del popolo e della Federazione, privatizzazioni e apertura indiscriminata economica e finanziaria.

 

Tale politica economica indica con chiarezza il carattere neocoloniale del nuovo governo, in parallelo  al crescente riallineamento con gli Stati Uniti. L’agenda comporta una profonda denazionalizzazione e proseguimento della deindustrializzazione, con una marcata denazionalizzazione delle industrie. Oggi si contano circa 240 imprese statali ai tre livelli della Federazione (Unione, Stati, municipi) sotto la minaccia di privatizzazione.  Il sistema industriale, al momento  inquieto, non si sente preso in considerazione pur essendo responsabile del  32% della raccolta dei tributi federali, del 51% delle esportazioni e del  20%  dell’occupazione regolare. Il Brasile promette di dare ancora maggiore priorità al progetto di esportazione di commodities.

 

Il sostegno è dato dal sistema finanziario, con l’appoggio quasi generale dell’imprenditoria, soprattutto dell’agro-business. Nel governo Bolsonaro non ci sono più  gli intermediari. Le grandi corporazioni condurranno direttamente e in autonomia la politica economica del governo. È il regime di socialismo per le alte finanze, austerità per gli altri , e dipendenza neocoloniale.

Il nucleo lavajatista, cioè il braccio del potere giudiziario e del Ministero pubblico, occupa direttamente il super-Ministero della Giustizia, che include anche la sicurezza pubblica. Il protagonista è addirittura il giudice Moro, capo della Lava Jato. Si tratta di una chiara facoltà d’ intimidazione politica – in quanto incarcerazioni e condanne si realizzano senza garanzie costituzionali piene- e, allo stesso tempo, di pretesa tutela sul governo. Sono i settori dello Stato che formano il Partito dell’Operazione Lava Jato. Non sarà possibile ignorare le denuncie sul figlio del Presidente, ma al  momento stanno zitti.

Altro nucleo centrale e importante sono i militari, in particolare l’esercito, che è potente. Oggi (almeno fino a questo momento) sono circa 37 le persone  nel governo: molti generali con formazione strategica altamente qualificata, insediati al primo e al secondo livello con incarichi chiave, a partire dal Vice-Presidente della Repubblica, generale Mourão. Operano in 21 aree del governo, dall’economia alla politica, dalle infrastrutture alle imprese strategiche, nella giustizia, scienza e tecnologia, nella questione indigena e altro ancora. È senza dubbio il gruppo conservatore più organizzato del Paese e all’interno del governo, che, in quanto istituzione, gode della fiducia della popolazione.

I militari hanno progetto e visione propria sullo sviluppo del Paese e sui loro interessi strategici. In generale esprimono preoccupazione per i rischi di politicizzazione (cosa strana, dal momento che sono immersi nella politica) e di rottura della gerarchia nelle Forze Armate. Si sono mobilitati per la lotta alla corruzione, in genere con una visione arretrata delle forze politiche. Storicamente hanno separato la difesa dell’interesse nazionale dalla questione democratica. Fino ad ora hanno rappresentato un fattore stabilizzatore nell’America del Sud. Sono stati molto avvantaggiati dagli stanziamenti per le Forze Armate e per i loro progetti e si aspettano un accordo favorevole per il mantenimento della  previdenza a regime separato. Tuttavia le posizioni sugli interessi nazionali in rapporto alle privatizzazioni selvagge non sono  esplicitate pienamente, e neppure per quel che concerne i già annunciati propositi dell’Itamaraty (Ministero degli Esteri) di riallineamento automatico con gli Stati Uniti. La vendita dell’impresa Embraer alla Boeing, che dovrebbe mantenere la golden share nelle mani del governo brasiliano, è stata completamente liberalizzata e si prevede che il 20% mantenuto dalla Embraer nella nuova impresa sia completamente denazionalizzato in breve tempo.

Vi è  anche un quarto nucleo, un nucleo politico, proveniente, come si è detto, da una bassa estrazione parlamentare, come lo stesso Bolsonaro. È una babele che coinvolge politici al primo mandato, consiglieri famigliari (collegati anche a Steve Bannon) e militari. Il Presidente dimostra molta difficoltà nelle relazioni politiche. Il gruppo del suo partito, il Partito social liberale (PSL) è grande, con 52 parlamentari, ma in maggioranza senza esperienza  e con strappi, litigi interni e dissidenze già da ora. Hanno dovuto accordarsi con i partiti della destra tradizionale e del centro destra che domina il Congresso, e che non darà loro un assegno in bianco, tranne che nell’agenda economica.

Linee di tensione

 

Il “cambio della guardia” con l’ascesa dell’estrema destra non sarà privo di tensioni. È bene quindi considerare il sistema di contraddizioni che si stabilisce in questa forma di governo, unito prima di tutto dall’agenda radicalmente liberista e dal potere. E considerare anche che, all’interno di ogni nucleo, vi sono contraddizioni e dispute. L’opposizione deve essere al riguardo sagace per sfruttarle  in funzione della resistenza. 

 

In primo luogo ci saranno tensioni dal confronto del governo con l’opposizione, che possono essere ampliate dalla parte democratica, le cui mobilitazioni riprenderanno, e che si diffonde nella società civile. Come si è cercato di analizzare in precedenza, ci saranno tensioni con i settori della destra liberale che, pur appoggiando pienamente l’agenda economica, si colloca ancora sul terreno delle garanzie costituzionali del sistema della Costituzione.

 

Molto forti sono le tensioni fra il governo e l‘opinione pubblica internazionale, nella società civile, fra giuristi, intellettuali e addirittura governi, i quali permangono come osservatori democratici sul Brasile. Ciò ha avuto un ruolo di rilievo nella resistenza dei brasiliani. Fra le cause che stimolano la mobilitazione spicca la difesa delle garanzie individuali, come nel caso della vasta solidarietà al movimento Lula Livre.

 

Vanno anche considerate le tensioni all’interno dello stesso Esecutivo relativamente al Legislativo e al Giudiziario. Tre sono le principali linee di tensione. Nella prima sono presenti le Forze Armate, elemento di sostegno che si considera tutore del governo, funzionando come cordone di isolamento da pressioni politiche, e soprattutto argine di contenimento; da quanto tutto indica, al limite possono considerare il Presidente eliminabile se i vaneggiamenti sono troppi. Le FF.AA. sono collegate con l’Alta Corte fin dai tempi della carcerazione di Lula, indicando un  militare di alto grado per la direzione del gabinetto del Presidente del Tribunale Supremo Federale/STF e in questo modo continuano a condividere la tutela sul governo. Ciò nonostante ci sono ministri della Corte che rappresentano riserve per la lotta contro l’arbitrio e per i diritti civili.

 

Altra linea di tensione è con il “Partito della Lava Jato”. Tacerà di fronte alle denunce che già esistono e raggiungono lo stesso Presidente? O negozierà maggior spazio di potere, ricattandolo? È l’incognita del momento. Certamente Moro ha le sue pretese politiche…

 

In fine, la tensione con il Parlamento nazionale. Per incentivare il programma di governo, Bolsonaro ha bisogno di appoggio in parlamento. La Camera dei deputati è stata rinnovata per oltre il 51% (in alcuni Stati oltre l’80%) e sono stati eletti molti neofiti. Oggi i principali temi presenti nell’agenda congressuale sono la “riforma” della Previdenza Sociale, con nuove età minime e repentina migrazione dal regime di ripartizione a quello di capitalizzazione (conti individuali). Vi è il progetto di impunità per militari e poliziotti in situazioni di conflitto (esclusa l’illiceità) che terrorizza la popolazione e libera le milizie; il progetto della “legge del bavaglio”, lo statuto regressivo  della famiglia e la riduzione dell’età penale a 16 anni. È già stato decretato il porto d’armi che praticamene smantella lo Statuto del disarmo. Il PCdoB si è appellato all’Alta Corte per l’incostituzionalità della misura. A partire dai 25 anni si potranno possedere quattro armi, ma non ne è liberalizzato il diritto di trasporto. Ciò dovrà essere negoziato con il Congresso e il Presidente non ha la forza per mettere in discussione l’indicazione dei presidenti di Camera e Senato, e dovrà tessere accordi con la vecchi ala della destra liberale. Genera molte reazioni la pressione di Bolsonaro per un governo di rottura con la politica e la forma di relazioni con il parlamento, con la parola d’ordine “adesso senza mediazioni fra la Presidenza e il popolo”, prendendo le distanze dai partiti nella formazione del governo e, di conseguenza, cercando di creare una nuova dinamica che sostituisca il cosiddetto “presidenzialismo di coalizione” (una specie di semi-parlamentarismo). Il Presidente non ha messo assolutamente nient’altro al suo posto, tranne estirpare i teorici rimasugli degli integranti dei governi Lula e Dilma: in ambito politico 320 funzionari  sono stati esonerati, il che ha paralizzato l’azione del governo in tutto questo periodo.

Chi vivrà, vedrà. Tutto dipenderà da dure lotte politiche di classe.

 

La nuova realtà esige nuove tattiche di lotta

Parte IV

Le parti precedenti hanno presentato informazioni di base per organizzare la nuova tattica di confronto che si  impone  e che è al centro dei dibattiti delle forze di sinistra progressiste e democratiche. Deve ancora decantarsi maggiormente la reale azione d’insieme del governo, la sua capacità di articolazione politica e di gestione amministrativa. Come già detto, Bolsonaro è immerso nella crisi politica del suo circolo, ma con un ampio e fortissimo appoggio nelle classi imprenditoriali, nelle istituzioni e fra gli impiegati statali, da parte dei media, nonostante le scaramucce che concernono  dispute commerciali fra loro. Dall’altra parte vi è il risultato degli sforzi di settori del governo (soprattutto i militari) di contenerne almeno gli aspetti più grotteschi e anacronistici. E vi è anche il fatto ineludibile che la popolazione che  gli ha dato un voto di fiducia aspetta risultati concreti nella propria vita.

Concludo la serie di quattro articoli trattando alcuni elementi fondamentali della nuova tattica in costruzione nella situazione brasiliana.

Unità Popolare e Fronte Ampio

Al centro dell’opposizione c’è  il suo maggior vigore contro l’agenda di estrema destra per accumulare forze sociali, politiche e culturali e affrontare la nuova destra nel Paese. È una resistenza  attiva, con azioni progressive di lotta popolare per i diritti, accanto alla lotta per la sovranità nazionale. Sarà sempre la forza fondamentale di mobilitazione. Accumulare energie esigerà anche apertura per aggregare  forze più ampie per la lotta democratica e per sfruttare le contraddizioni presenti fra i settori dominanti.

Il punto fondamentale sarà unire l’opposizione di ogni indole, con le sue variegate agende e i suoi programmi, attorno al problema centrale: la resistenza democratica. Ciò sarà indispensabile per assicurare maggiori possibilità alla lotta del popolo, con libertà di organizzazione e manifestazione. Lo stesso vale per la libertà di stampa e di cattedra, per la garanzia dei diritti costituzionali e civili, per l’ autonomia e il rigore istituzionale che consentano  l’azione dell’ opposizione in parlamento.

Le bandiere sono molte e variegate, e questo richiede differenti fronti di organizzazione e azione: fra i governatori e i sindaci, fra  parlamentari di tutti i livelli (degli Stati e dell’Unione), fra giuristi, nell’accademia, nella cultura ecc., fra le organizzazioni delle donne e giovanili, ciascuna con i suoi programmi e forme di lotta. La resistenza democratica ha bisogno di riunire tutti questi elementi come anelli che si connettono e formano il Fronte Ampio per un battaglia unitaria. Questo è essenziale. 

Tale sforzo avrà conseguenze sensibili solo mantenendo come base l’unità popolare e quella della sinistra politica e sociale come nucleo. I fronti popolari hanno i loro progetti essenziali che oggi girano intorno ai diritti sociali e alla sovranità nazionale. Entrambi reclamano la ripresa dello sviluppo. Le lotte alla controriforma della Previdenza e alle privatizzazioni sono elemento immediato di mobilitazione, che si sommano anche alle rivendicazioni di centinaia di entità di  difesa per i diritti civili, molto rafforzate dalla vigilanza e solidarietà internazionale.

La sinistra e il centro-sinistra brasiliani hanno difficoltà ad unirsi. La passata campagna elettorale, ancora una volta, ne ha dato dimostrazione, anche in presenza dell’ estrema destra che, infatti, è arrivata al governo. La sinistra e il centro-sinistra sono afflitti dall’egemonismo, che falsifica la vera costruzione dell’egemonia politica e culturale nella società. È un comportamento che, senza capacità di ampliare, apparentemente radicalizza, ma in realtà ostacola l’unità in funzione dell’interesse egemonico. Oggi, sebbene uniti negli aspetti essenziali contro il progetto di Bolsonaro, hanno contraddizioni e dispute su questioni  specifiche e anche per future candidature presidenziali. Affiorano dibattiti bizzarri che contrappongono Fronte Ampio e Fronte Popolare, artificiali perché la mobilitazione e l’unità popolare sono  motore e fondamento della lotta ed essa deve guidare la costituzione del Fronte Ampio attorno alle garanzie democratiche.

Ma questo si imporrà. Il fondamento della lotta è riconquistare la fiducia della popolazione in base alla sua esperienza di fronte ai disastri del governo. Per questo la pratica dell’opposizione non deve essere solo negativa, ma combinata a una  proposta di una diversa agenda per il Paese, per presentare prospettive viabili agli occhi del popolo. E combattere per un ampio fronte unico democratico come denominatore comune della resistenza. Il tempo sarà padrone della ragione. E’ necessario imparare in modo critico le ricche concezioni tattiche leniniste, per un ampio movimento per affrontare la Nuova Destra  che è una destra estrema  proto fascista. Dimitrov nel 1935 ci ha insegnato qualcosa al riguardo.

L’opposizione popolare ha bisogno di grande sagacità per sfruttare qualunque contraddizione nel blocco dominante. In Brasile questa è la peggiore situazione per le forze popolari dal 1985, quando si è chiusa la dittatura. Allora si era in un periodo di piena offensiva democratica. Oggi abbiamo di fronte un governo di grande radicalità  anti-nazionale, anti-popolare e che proclama apertamente l’autoritarismo. In un quadro di difesa tattica è necessario sapere realizzare lo slalom imposto dalla dinamica politica concreta, al fine di ampliare gli spazi d’azione, approfittare delle contraddizioni degli avversari, mirare in ogni caso al bersaglio del nemico principale e l’agenda è sapere scegliere i terreni di lotta migliori per ogni situazione, realizzando accordi possibili, anche se passeggeri e puntuali. La Costituzione che ancora caratterizza il sistema politico vigente, l’ istituzionalità di equilibrio fra i poteri della Repubblica e l’ indipendenza  sono riserve importanti in questo contesto.

Il Brasile si rialzerà da quest’altra pagina che demoralizza la nazione. E lo farà attraverso una vigorosa opposizione, composta da resistenza con azioni offensive, ampiezza per unire forze e sagacia per combattere su tutti i terreni: per un diverso destino per il Paese, fiero, sovrano, democratico, popolare e con conquiste di civiltà.

Walter Sorrentino, San Paolo 30 gennaio 2019

Traduzione di Teresa Isenburg

 

 

 

 

 


Sostieni il Partito con una



 
Appuntamenti

PRIVACY







o tramite bonifico sul cc intestato al PRC-SE al seguente IBAN: IT74E0501803200000011715208 presso Banca Etica.