Governare sotto le bombe… mediatiche

Governare sotto le bombe… mediatiche

Rafael Correa

Governare sotto le bombe… mediatiche

TESTIMONIANZA DELL’EX PRESIDENTE ECUADORIANO

Rafael Correa, al governo in Ecuador da gennaio 2007 a maggio 2017, ha deciso di non ripresentarsi. Tuttavia, la rottura con il proprio successore, nonché ex collaboratore, l’ha indotto a riprendere la battaglia. Al di là di questo singolare scontro, offre qui una testimonianza delle conquiste e del riflusso della sinistra in America latina, sottolineando quanto i mass media siano diventati un’arma politica al servizio della controffensiva dei partiti conservatori

Dopo la lunga notte neoliberista degli anni 1990, e a partire dall’elezione di Hugo Chávez in Venezuela nel 1998, le roccaforti della destra latino-americana sono crollate come castelli di carte. Nel 2009, anno che ha rappresentato l’apogeo del fenomeno, otto dei dieci principali paesi del Sudamerica erano governati dalla sinistra.

Per non parlare del Salvador, del Nicaragua, dell’Honduras, della Repubblica dominicana o del Guatemala.

In quest’ultimo paese, così come in Paraguay, era la prima volta che i progressisti salivano al potere.

I primi anni del XXI secolo sono caratterizzati da grandi progressi economici, sociali e politici, in un contesto di sovranità, di dignità e di autonomia geopolitica.

Questi risultati positivi sono stati ottenuti anche grazie all’aumento del prezzo delle materie prime, ma le ricchezze dovevano essere investite nel miglioramento della qualità della vita dei nostri popoli .

E questo è avvenuto.

In America non si è assistito a un’epoca di cambiamento, ma a un cambiamento epocale.

I poteri di ieri e gli Stati egemonici avvertivano l’urgenza di frenare le dinamiche che annunciavano la seconda tappa: l’indipendenza regionale.

Se si esclude il colpo di Stato (fallito) contro Chávez nel 2002, i tentativi di destabilizzazione cominciano alla fine degli anni 2000: Bolivia (2008), Honduras (2009), Ecuador (2010) e Paraguay (2012) (2).

A partire dal 2014, questi sforzi disorganici approfittano dell’inversione del ciclo economico per procedere a una restaurazione conservatrice, forti del sostegno internazionale, di finanzia enti stranieri, ecc.

La reazione non conosce limiti né scrupoli: oggi assume la forma di uno strangolamento economico del Venezuela, di un colpo di Stato parlamentare in Brasile o di una giudiziarizzazione della politica, con minacce contro gli ex presidenti Luiz Inácio Lula da Silva (Brasile) e Cristina Fernández de Kirchner (Argentina), ma anche contro il vicepresidente Jorge Glas in Ecuador (3). Pertanto, in Sudamerica rimangono solo tre governi progressisti, in Venezuela, in Bolivia e in Uruguay.

La strategia reazionaria si fonda su due argomenti: il modello economico della sinistra sarebbe stato fallimentare; i governi progressisti si sarebbero dimostrati privi di moralità.

Dalla fine del 2014, l’insieme della regione subisce il contraccolpo di una congiuntura economica internazionale sfavorevole.

In questa fase di recessione, le difficoltà specifiche del Brasile o del Venezuela sarebbero, così ci dicono, la dimostrazione del fallimento del socialismo.

Ma l’Uruguay, governato dalla sinistra, non è forse il paese a sud del Rio Bravo con il miglior sviluppo?

E la Bolivia non presenta forse gli indicatori macroeconomici più elevati del pianeta?

L’Ecuador, invece, ha affrontato quella che abbiamo definito «la tempesta perfetta»: il crollo delle esportazioni, aggravato da una forte crescita del valore del dollaro, che utilizziamo dal 2000.

Gli shock esogeni che ci hanno travolti nel 2015-2016 non hanno precedenti nella storia contemporanea del nostro paese.

Per la prima volta in trent’anni, abbiamo dovuto fare i conti con un calo delle esportazioni per due anni consecutivi, ossia una perdita pari al 10% della nostra produzione annua.

Nel 2016, il valore delle esportazioni raggiungeva appena il 64% dei dati relativi a due anni prima. Nel primo trimestre dello stesso anno, il prezzo del barile di petrolio ecuadoriano scendeva sotto la soglia limite dei 20 dollari, cifra oltre la quale non si riescono a coprire i costi di produzione.

Al tempo stesso, tra il gennaio 2014 e il dicembre 2016, il dollaro passava da 0,734 a 0,948 euro, un’impennata del 30% proprio quando la moneta dei nostri vicini colombiani veniva svalutata di oltre il 70%, rendendo più competitive le loro esportazioni. Per la prima volta si è invertito il flusso di denaro tra lo Stato e le società petrolifere pubbliche: il governo ha dovuto versare a queste imprese quasi 1,6 miliardi di dollari per salvarle dalla bancarotta… Senza contare i contenziosi persi di fronte a iniqui tribunali di arbitraggio che ci hanno costretti a versare più dell’1% del prodotto interno lordo (Pil) alle società Oxy e Chevron (4). A coronare il tutto, il 16 aprile 2016, nella zona costiera c’è stato un terremoto di magnitudo 7,8, che ha provocato centinaia di vittime.

La catastrofe e le successive quattromila scosse di assestamento hanno causato un calo dello 0,7% della crescita e perdite pari al 3% del Pil. Ragioni per cui siamo passati da una vigorosa crescita del 4% nel 2014 ad appena lo 0,2% nel 2015 e a una flessione dell’1,5% nel 2016.

Ma, nonostante le gravi difficoltà e la mancanza di una moneta nazionale, abbiamo superato la recessione in tempo record e limitato i danni: non sono aumentate né la povertà né le disuguaglianze. Un traguardo inedito in America latina.

Il pretesto della corruzione

In Ecuador, le politiche eterodosse hanno dimostrato la propria efficacia, sia in fase di espansione sia di recessione.

Tra il 2007 e il 2017, l’economia del paese è più che raddoppiata, grazie a una crescita superiore a quella della regione.

Nel paese si è registrato il più importante aumento dei redditi degli indigenti, due milioni dei quali sono usciti dallo stato di povertà.

Queste analisi economiche non hanno grande valore per la popolazione.

La gente si sofferma soprattutto sul fatto che, negli ultimi anni, gli affari vanno meno bene, i figli faticano a trovare lavoro e i redditi non aumentano più al ritmo di prima.

Di questo stato d’animo approfitta una stampa che preferisce la manipolazione all’informazione.Una parte dei mass media presenta questa recessione continentale come il risultato delle nostre scelte politiche, e non come un fenomeno legato alle strutture stesse della nostra economia.

Altri, al contrario, sostengono che avremmo potuto realizzare trasformazioni più profonde e il nostro fallimento starebbe proprio nel non esserci riusciti.

Se ai governi di destra si rimproverava di non aver fatto niente, fatto tutto.

Il secondo asse della critica ai governi progressisti ruota attorno alla sfera morale.La questione della corruzione offre uno strumento efficace per minare i processi nazionalpopolari. In primo luogo pensiamo al Brasile (5), sebbene un fenomeno simile si possa ormai riscontrare anche in Ecuador.

Tutto inizia con un’accusa più spettacolare che fondata. Poi sopraggiunge il bombardamento mediatico, che priva del sostegno politico la vittima prescelta. A questo punto, la presunta colpevolezza del dirigente inquisito passa in secondo piano per i giudici, ostaggi consenzienti della pressione della destra e dei mass media: per loro non si tratta più di condannare sulla base delle prove raccolte, ma di individuare delle prove che giustifichino una condanna.

Chi può dirsi contrario alla lotta alla corruzione? Questa battaglia è stata una delle nostre prime vittorie in Ecuador: nel corso degli ultimi dieci anni, abbiamo sradicato la corruzione istituzionalizzata che avevamo ereditato.

Ma per la destra, la «lotta contro la corruzione», non fa che nascondere la stessa, vecchia preoccupazione sotto nuove spoglie: dalla lotta al narcotraffico degli anni 1990 alla guerra contro il comunismo degli anni 1970, l’urgenza è l’organizzazione di un’offensiva politica.

Ci accusano di mancanza di controllo, di indulgenza, di corruzione sistematica. Ma quali controlli, per esempio, autorizzano i conti segreti nei paradisi fiscali? In Ecuador, i controlli ormai sono tanto rigorosi da obbligare a dichiarare l’origine di qualsiasi versamento superiore ai 10.000 dollari. Un obbligo che i paradisi fiscali, invece, non impongono…

L’Ecuador è il primo paese ad aver instaurato una legge che vieta ai funzionari qualsiasi rapporto a titolo privato con i paradisi fiscali.

La stampa non ha dubbi: la corruzione nasce nel cuore dello Stato, del sistema pubblico. Ma, nei fatti, proviene in larga misura dal settore privato, come dimostrano lo scandalo Odebrecht (6) e il seguente aneddoto: ancora recentemente, le società tedesche potevano defiscalizzare i versamenti illeciti effettuati nel nostro paese.

Senza dubbio la sinistra subisce anche un paradossale contraccolpo dai propri successi. Secondo la Commissione economica per l’America latina e i Caraibi (Cepalc) delle Nazioni unite, nel corso dell’ultimo decennio, quasi 94 milioni di persone sono usciti dalla povertà per raggiungere la classe media, soprattutto grazie alle politiche dei governi di sinistra.

Ma, dei 37,5 milioni di persone che il Partito dei lavoratori (Pt) brasiliano ha strappato alla miseria, pochi si sono mobilitati per sostenere la presidente

Dilma Rousseff quando è stata minacciata di destituzione. È possibile trovarsi in condizioni di prosperità oggettiva pur rimanendo in uno stato di povertà soggettiva quando, nonostante i miglioramenti nella qualità della propria vita, si continua a percepirsi poveri, non rispetto a quello di cui si dispone (o a quello di cui si disponeva ieri), ma rispetto a ciò a cui si aspira.

Molto spesso, le esigenze della nuova classe media non solo risultano ben distinte da quelle dei più poveri, ma sono antitetiche, alimentate dal canto delle sirene della destra, dei mass media e di uno stile di vita con lo sguardo a New York. La sinistra ha sempre lottato controcorrente, quanto meno nel mondo occidentale. Non è che forse sta lottando contro la natura umana?

Nemici potenti

Il problema si complica ulteriormente se si tiene conto degli sforzi della destra per istituire una cultura egemonica – nel senso gramsciano del termine –, in cui i desideri della maggioranza siano a servizio degli interessi dell’élite.

Un esempio, drammatico: la bocciatura della legge sulle successioni che abbiamo tentato di instaurare in Ecuador.

Sebbene solo tre ecuadoriani su mille ricevano un’eredità e la nuova imposta riguardasse esclusivamente le somme più elevate (meno dello 0,5% delle successioni, ovvero 172 persone all’anno, su una popolazione di 16 milioni), molti poveri e gran parte della classe media, manovrati dai mass media, hanno manifestato contro una norma da cui invece avrebbero tratto vantaggio.

Le nostre democrazie dovrebbero essere ribattezzate «democrazie mediatizzate ».

A volte, la stampa ha un ruolo più importante dei partiti politici nei processi elettorali: quando la sinistra è al governo si converte nella

principale forza di opposizione, rappresentando il potere dei conservatori e del settore privato. Ha trasformato lo Stato di diritto in Stato di opinione.

La sinistra deve inoltre fare i conti con la stanchezza legata all’esercizio del potere, anche quando le sue azioni sono state coronate dal successo. Perché è impossibile governare accontentando tutti. Specialmente quando il debito sociale è così elevato come in Ecuador.

Aver restituito la voce agli umili, possibilità ai più poveri, diritti ai lavoratori,dignità ai contadini, aver sottratto potere alle banche, ai mass media e ai vecchi partiti ci ha procurato potenti nemici, che ci hanno accusati di «polarizzare» il paese. Dimenticano che, fino ad alcuni decenni addietro, anche solo la metà dei risultati da noi ottenuti avrebbe provocato una guerra civile.

La sinistra che si accontenta di rappresentare una piccola minoranza dei voti non capisce che governare significa anche rispondere alle tempeste economiche, subire il tradimento di quanti cedono alla tentazione del potere o del denaro, ecc. Un rivoluzionario non ha il diritto di perdere la battaglia morale. Ma un governo onesto non è quello che non conosce alcun caso di corruzione, è quello che lo sanziona. Una parte dei militanti si affligge, non riuscendo a percepire questa differenza e si lascia andare allo sconforto, di cui approfittano i nostri avversari.

Bisogna sempre dare prova di autocritica. Così come dobbiamo avere fiducia in noi stessi. I governi progressisti subiscono costanti attacchi da parte delle élite e dei mass media, che si appropriano dei loro minimi errori per indurli a dubitare di se stessi.

Per questo motivo, la principale «sfida strategica» della sinistra latinoamericana consiste forse nel ricordare che le contraddizioni e gli errori fanno parte dei processi politici e non devono portarci a gettare la spugna.

RAFAEL CORREA

(1) Nel settore sanitario, per esempio, le spese dello Stato ecuadoriano sono passate dallo 0,6% del prodotto interno lordo (Pil) nel 2000 al 7,5% nel 2013. (Tutte le note sono della redazione)

(2) Si legga Maurice Lemoine, «En Amérique latine, l’ère des coups d’État en douce», Le

Monde diplomatique, agosto 2014.

(3) Jorge Glas, vicepresidente di Rafael Correa a partire dal 2013, ha rivestito lo stesso incarico sotto la presidenza di Lenín Moreno, eletto nell’aprile 2017 con il sostegno del capo di Stato uscente. Glas è stato arrestato il 2 ottobre

2017 nell’ambito di un’inchiesta legata allo scandalo di corruzione che ha coinvolto la società brasiliana Odebrecht. I sostenitori di Correa vedono in questo sviluppo la rappresentazione

del conflitto politico che contrappone l’ex presidente al successore, dove il primo rimprovera al secondo di voler tagliare i ponti con le proprie origini.

(4) Si legga Hernando Calvo Ospina, «Chevron inquina e non paga», Le Monde diplomatique/il manifesto, marzo 2014.

(5) Si legga Laurent Delcourt, «Primavera ingannevole in Brasile», Le Monde diplomatique/ il manifesto, maggio 2016.

  1. Si legga Anne Vigna, «Brasile, le ramificazioni dello scandalo Odebrecht», Le Monde diplomatique/ il manifesto, settembre 2017.

(Traduzione di Alice Campetti)

 

MONDE DIPLOMATIQUE febbraio 2018


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