Millenovecentodiciassette

Millenovecentodiciassette

di Rino Malinconico

 

Fu assalto al cielo

due volte il cielo contro il Capitale.

Dico l’ottobre del millenovecentodiciassette.

Due volte contro il Capitale.

Quello sùbito spietato

di fornaci brucianti l’esistenza

e l’altro con l’incedere fiacco della storia

pur rivolto

ogni giorno al suo declino.

Ed in tal guisa veniva tratteggiato

dal grande vecchio con passione pura

che lo sguardo sforzava oltre il presente

oltre la legge angusta del valore

oltre il sordido mondo delle merci.

 

Or quell’assalto al cielo

muovevasi discorde da molte sue parole

dalle sonore voci dei fedeli

sullo sviluppo e sull’arretratezza.

Sul capitale

interamente chiamato al suo percorso

senza l’interruzione improvvida dei vinti

fin sulla soglia del suo forgiarsi pieno.

Ma più testardi molto più testardi i fatti

e le trincee e le crude casupole di fango

e di miseria.

Perciò fu assalto al cielo il diciassette.

Lì dove nessuno (quasi) immaginava.

Ottobre russo del millenovecentodiciassette.

 

Restò sconvolto veramente il mondo

dieci lunghi giorni

e dieci lunghi anni ancora.

Donne e uomini dall’idioma ignoto. E d’ogni colore.

Con tanti e tante che avviano il cammino

di qua di là dei mari

a piedi scalzi per disfatte strade.

Ed in quel vasto oceano di lotte

e nel mutarsi lancinante delle cose

l’umano desiderio dell’umano

come prato di marzo alla rugiada

trovava in se medesimo il retaggio.

 

Protendeva l’umano le sue braccia

ad una storia ruvida di fiati

or finalmente nuova.

Così ciascuno in cuore

già dolcemente con mano carezzava

il tempo amico e dolce che s’attende.

Fresca speranza fiorita al mattutino

senza ingiustizie senza più miserie.

Senza tormenti.

Un tempo di fratelli. E di sorelle.

E l’universo intero come patria.

 

Ma volontà non basta alla speranza

se il Capitale rialza le sue membra

e come Anteo

ritorna forte ad ogni sua caduta.

Rallenta il passo e cede

la spinta generosa del riscatto.

I sentieri s’affollano di croci

e tutto nuovamente si contrae

al punto fortunoso dell’inizio.

Cupo discende il gelo all’improvviso.

Mancano i ciocchi al fuoco del camino

e contro al freddo nero

sono i soviet ad ardere per primi.

Poi al gelido inverno non placato

pure avvampasi il legno più prezioso

l’idea che nostra patria amata

abbracciasse per sempre il mondo intero.

Santa e madre ridiventò la Russia allora.

Col suo piccolo padre di una volta

benedicente dall’alto sulla folla.

 

Bandiera lacerata

del millenovecentodiciassette:

come t’ho vista spersa lungo il secolo

tra quegli strappi insoluti del tuo cominciamento!

Incerta. Col fango addosso della dannazione

eppur testardamente grido di speranza.

Tu. Come sogno umano di una cosa

da gran tempo da troppo tempo attesa.

.

10 marzo 2017

(dalla raccolta In provvisorio approdo, Edizioni Melagrana 2017)


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