Se la tattica soffoca il bisogno di nuove strategie

Se la tattica soffoca il bisogno di nuove strategie

di Paolo Favilli

Negli interventi pronunciati alla manifestazione del 1 luglio a Santi Apostoli a proposito del confuso quadro delle possibili forme unitarie a sinistra, credo vadano colti i riferimenti di Bersani a precisi punti programmatici perché possono essere un buon inizio per un confronto concreto.

Alcuni di quei punti, se considerati nella pienezza dei contesti tanto immediatamente operativi che di valutazione analitica, possono davvero essere indicativi di una inversione della direzione.

Il fatto è, però, che le possibilità di sviluppo in tale direzione sono legate non semplicemente ad una loro enunciazione, ma alla loro collocazione in un percorso e in una dimensione critica che possa renderle davvero credibili come prospettiva non legata solo alle necessità contingenti del momento politico.

Nella manifestazione di Santi Apostoli, in particolare nel discorso conclusivo, tale prospettiva è rimasta occultata, dalla caligine spessa della chiacchiera politicista, del discorso sostanzialmente vacuo nei contenuti, ma ricco di segnali di fumo relativi ad una gamma assai mobile di possibilità di posizionamento in schieramenti pre e/o post elettorali. Una caligine che non è stata sciolta, ma appena diradata, nel Forum «C’è vita a sinistra» (il manifesto, 8 luglio).

A Santi Apostoli, lo stesso Bersani, che pure si è confrontato con elementi di concretezza passibili di positivo sviluppo, ha nel contempo rivendicato le politiche economico-sociali di alcuni lustri con la motivazione che si trattava di una diversa fase politica. Ora il partito cui Bersani apparteneva veniva da lontano, di fasi politiche assai differenti ne aveva affrontate parecchie e di conseguenza si era trasformato, ma mai in maniera tale da fare proprie le ragioni dei propri antagonisti storici.

Oggi persino Renzi emette qualche borbottio nei confronti del fiscal compact. Ma può essere derubricato ad «errore» un atto che costituzionalizza una particolare teoria, anzi meglio, narrazione, ideologia economica? Quella stessa ideologia contro la quale si è costruito tutto il complesso fecondissimo della teoria critica che, in vari modi, per un secolo e mezzo è stata carne e sangue della storia del movimento operaio e socialista? Ora bisogna pure tentare l’abbozzo di una spiegazione delle ragioni per cui possa esistere una fase politica in cui sia possibile un’operazione del genere da parte di una forza che, in qualche modo, di quella storia ha continuato a dichiararsi erede.

Qualsiasi progetto anche vagamente unitario, nella molteplicità delle forme possibili, non può non partire dalla riflessione sul fatto che la partecipazione convinta delle varie «cose» alle caratteristiche culturali ed operative, alle logiche complessive della fase di accumulazione in corso, sia stata davvero la sostanza di un lungo ed incisivo periodo storico. E non si tratta di affermazioni ispirate da «furore iconoclasta», «estremiste», secondo l’espressione che D’Alema ha usato in un’intervista a questo giornale (20 giugno), bensì dei risultati di studi seri prodotti, e non solo in Italia, da quasi tutto l’arco delle scienze storico-sociali.

Mi rendo perfettamente conto di quanto sia difficile per i protagonisti di una vicenda durata più di vent’anni fare i conti con i lineamenti profondi di quella storia, ma forse proprio la contestualizzazione storica dei punti programmatici evocati può aiutare a riprendere una visione non tattica bensì strategica della politica.

Naturalmente esistono anche le necessità, i pericoli della contingenza politica. In quale modo coniugare questo nostro immediato presente con le tappe del difficile percorso di costruzione del soggetto politico basato sulla critica operante? Ragionando in termini di analisi sistemica (non sistematica)

La qual cosa comporta che la considerazione del momento attuale si pone all’interno di un reticolo di relazioni spaziali e temporali che lo trascendono, ma che nello stesso tempo danno conoscenza reale della natura pluridimensionale del contesto. La prospettiva del soggetto politico, delle sue possibilità, delle sue forme è momento essenziale dell’analisi, così come la riflessione seria sui venticinque anni di storia che abbiamo alle spalle.

Il momento attuale è un incrocio di percorsi, è un presente come storia e nello stesso tempo è una proiezione nella costruzione del futuro.

Solo all’interno di questa dimensione analitica la «discontinuità» conclamata dai Pisapia, dai D’Alema, da tutti i sostenitori di un «nuovo» centrosinistra, può acquisire determinazione di significato. In mancanza di analisi è solo l’ennesima forma di astuzia verbale, di perseveranza della tattica in primo luogo.

il manifesto, 13.07.2017


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