Quella sera a Milano era caldo

Quella sera a Milano era caldo

di Giuseppe Muraca 

Marco Grispigni è uno dei massimi studiosi del ’68 e dei movimenti controculturali e sociali degli anni sessanta e settanta. Nel suo ultimo libro (Quella sera a Milano era caldo, Manifestolibri, Roma, 2016, euro 16.00) egli pone al centro della sua indagine “la stagione dei movimenti e la violenza politica”, criticando le varie interpretazioni del sessantotto italiano e confrontando la realtà politica italiana con quella di altri paesi occidentali, e con quella francese in particolare. Due mi sembrano le tesi di fondo del libro: 1. Che la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 deve essere considerata uno snodo fondamentale nella storia dell’Italia repubblicana; 2. Che l’anomalia italiana nel contesto internazionale non dipende dalle lotte studentesche e operaie del ’68-’69 bensì dalla spirale di violenza che ha insanguinato il nostro paese dalla fine degli anni sessanta all’inizio degli anni ottanta. Infatti, nel corso del 1968 e del 1969 una serie di attentati avvenuti in diverse località italiane turbarono l’ordine pubblico e crearono una situazione di continuo allarme che culminò nella strage di Piazza Fontana, avvenuta il 12 Dicembre 1969. Alle 16.37 di quel giorno una bomba ad alto potenziale esplose presso la Banca Nazionale dell’agricoltura di Milano causando la morte di 17 persone e 87 feriti: un evento che creò uno stato di terrore e di sgomento nell’opinione pubblica. L’indagine della procura milanese e del commissariato di polizia venne indirizzata subito verso gli anarchici e gli estremisti di sinistra: furono fermate e indagate centinaia di persone e la sera stessa dell’attentato Giuseppe Pinelli venne fermato e trattenuto illegalmente in questura. Dopo tre giorni di duri interrogatori, il ferroviere milanese precipitò dalla finestra del quarto piano. Il sostituto procuratore Gerardo D’Ambrosio alla fine dell’inchiesta individuò la causa della morte in un <<malore attivo>>, in seguito al quale Pinelli sarebbe caduto da solo, sporgendosi dalla ringhiera del balcone dell’ufficio. Intanto era stato arrestato anche Pietro Valpreda, indicato dal tassista Cornelio Rolandi come l’uomo che nel pomeriggio del 12 dicembre era sceso dal suo taxi in piazza Fontana, recando con sé una valigia. Per la sua testimonianza il tassista ottenne la taglia di 50 milioni di lire. Il giorno dopo il “Corriere della sera” e la televisione diffusero con esultanza la notizia che il «mostro» era stato catturato, e il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat inviò un messaggio di congratulazioni al questore Marcello Guida. 
Le organizzazioni della sinistra rivoluzionaria e in particolare Lotta Continua, insieme a un gruppo di giornalisti democratici, organizzarono una campagna di controinformazione e una controinchiesta i cui documenti vennero pubblicati nel libro La strage di stato che vendette in pochi mesi un milione di copie. L’ipotesi avanzata fu che la responsabilità della strage era da attribuire ai gruppi neofascisti con la complicità dei servizi segreti e la copertura di pezzi consistenti degli apparati statali. Contemporaneamente Lotta continua avviò una violenta campagna di stampa contro il commissario Calabresi ritenuto responsabile della morte di Pinelli. Come è noto il processo sulla strage di Piazza Fontana ebbe un iter tormentato e durò tanti anni. Pietro Valpreda fu alla fine scagionato ma dopo tanto tempo i colpevoli della strage non sono stati ancora trovati e così la strage di piazza Fontana resta uno dei tanti misteri che hanno segnato la storia del nostro paese e una delle pesanti eredità di quella particolare stagione politica. 
Con la strage di Piazza Fontana e la morte di Pinelli, si conclude la fase più esaltante del ’68 e dell’autunno caldo e si apre uno dei periodi più bui e drammatici della storia del nostro paese, di grande instabilità politica, con un clima di violenza che ha lasciato dietro di sé una scia di sangue e centinaia di morti. Come ha scritto Franco Ottaviano <<Alla gioiosità del sessantotto, segue la cupezza degli anni settanta, alla creatività dei cortei studenteschi seguono le barriere dei servizi d’ordine>>. Alla bomba di piazza Fontana seguirono altri cinque anni terribili segnati da numerose stragi e dalla violenza fascista che sconvolsero la società italiana. Ed ebbe inizio così la fase più drammatica della <<strategia della tensione>>, con cui gli apparati statali, i servizi segreti deviati, la CIA, il terrorismo fascista ecc. tentarono di instaurare un clima di terrore e di allarme permanente cercando di influenzare l’opinione pubblica al fine di giustificare l’instaurazione di uno stato di polizia e di una restaurazione politica e di bloccare il pericolo di una conquista del potere da parte della sinistra; un periodo di durissima conflittualità politica e sociale e di contrapposizione frontale tra gli opposti estremismi, e tra le avanguardie dei partiti rivoluzionari e dei movimenti e le forze dell’ordine. Una fase storica e politica nuova, in cui l’itinerario e l’attività dei partiti extraparlamentari si è trasformata in una continua corsa ad ostacoli per la dura repressione dello stato e del regime democristiano e lo scontro con le squadracce fasciste. Nel 1972 venne ucciso anche il Commissario Calabresi, su cui si creò un altro caso giudiziario. In quel contesto assume perciò una particolare importanza la questione dei rapporti tra i partiti della sinistra rivoluzionaria e la violenza. Pur con le dovute differenze, è giusto ricordare che l’uso della violenza era parte integrante del bagaglio ideologico dei gruppi dell’estrema sinistra, da non confondere però con la strategia fondata sulla lotta armata tipica dei gruppi terroristici. “Nel corso degli anni 70, un fattore che legittima la violenza è la diffusione, nella controcultura della sinistra, dell’immagine di uno stato violento e ingiusto, di uno stato, cioè, che ha violato le stesse regole del gioco democratico. La giustificazione più forte per l’uso della violenza viene dalla convinzione che lo stato sia mandante e complice delle stragi di innocenti che hanno insanguinato il nostro paese. Negli anni che seguono alla strage di Piazza Fontana, i militanti vivono nella paura di un colpo di stato autoritario. Qualsiasi sia la reale probabilità che esso si realizzi, i timori hanno un impatto diretto sulla vita degli attivisti della sinistra, non solo radicale. Fra i più radicali si diffonde la convinzione che sia necessario equipaggiarsi per la resistenza. Numerose biografie documentano una identità cospirativa, caratterizzata dalla paranoia del colpo di stato.” (D. Della Porta, Movimenti collettivi e sistema politico in Italia 1960-1995, Bari, Laterza, 1996, p. 67). Specialmente tra il 1969 e il 1974 le classi dominanti e le forze reazionarie di fatto utilizzarono il terrorismo fascista come risposta al biennio rosso e all’avanzata delle sinistre, come strumento per arginare le lotte sociali. E quindi l’uso della violenza da parte della sinistra alternativa trovò una sua giustificazione nella situazione politica che si venne a creare in Italia a partire dalla fine degli anni sessanta. Infatti, da quel momento in poi aumentò progressivamente il numero degli scontri e degli agguati, in cui trovarono la morte numerosi militanti di destra e di sinistra e rappresentanti delle forze dell’ordine. Nasce e si sviluppa in quel periodo anche il terrorismo di sinistra (BR, NAP, ecc.) che a partire dal 1974 svolgerà un ruolo sempre più attivo nello scenario politico italiano degli anni settanta. La sconfitta della sinistra rivoluzionaria alle elezioni del 1976 e il successivo governo di unità nazionale accentuarono la crisi della società italiana. <<Centinaia di persone>> conclude Marco Grispigni, <<decisero di fare il salto etico che portava dalla violenza di piazza alla decisione di dare direttamente la morte. L’orribile spirale che si apre allora contribuì a cancellare speranze e sogni [di un’intera generazione], ma anche ogni spazio possibile per qualsiasi politica di opposizione radicale. Per molti anni l’alternativa fu “la febbre del sabato sera”, il ritorno al privato oppure la scelta armata.>> Ma come avverte lo stesso storico romano è sbagliato dipingere semplicemente gli anni settanta come gli “anni di piombo” e “la notte della Repubblica”. In realtà durante quel decennio furono raggiunte importanti conquiste sociali e civili: consistenti aumenti salariali, lo statuto dei lavoratori, divorzio, servizio sanitario nazionale, riforma scolastica, nuovo diritto di famiglia, ecc. Un decennio in cui movimenti diversi, in primis quello femminista, contribuirono con le loro lotte a cambiare radicalmente la società del nostro paese, un processo che ha interessato persino le istituzioni totali (i manicomi, le carceri, l’esercito), la magistratura e le forze di polizia.

grispigni


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