Pasolini sotto il segno di Gramsci

Pasolini sotto il segno di Gramsci

di Silvana Silvestri

Mostra di Pesaro. Attualità del saggio “Le ceneri di Pasolini” di Pasquale Misuraca realizzato per la televisione

Il primo film su Pasolini di Pasquale Misuraca, storico e filosofo (e nostro autore della rubrica «Fulmini e saette»), è stato Angelus Novus, presentato a Cannes nell’87, in seguito sono stati tanti i documentari da lui realizzati per la Rai sul lavoro dei registi e su Pasolini in particolare. Per la sezione «Critofilm» la nuova frontiera della critica proposta a Pesaro 2016 da Adriano Aprà,, Misuraca ha scelto di portare «Le ceneri di Pasolini», il suo film prodotto da Fuoriorario nel ’93. Un «Pasolini visto da Pasolini», la dimostrazione, dice, che si può fare un autoritratto visto da un altro. Oggi il film realizzato sotto forma di saggio, ha un impatto davvero emozionante, ed è ancora attuale se, come abbiamo constatato, crea ancora oggi qualche problema parlare del regista. Al di là delle celebrazioni ci riporta ai margini del 1975 «la crisi epocale che dura fino ad oggi».
Ci troviamo di fronte a un lungo flusso di considerazioni, così in contrasto con l’ansia contemporanea di tagliar corto, di sminuzzare i ragionamenti in frammenti da slogan, di togliere la parola. Il montaggio che ha l’obiettivo di andare a fondo ci riporta accanto agli elementi teorici, anche quelli biografici dalla giovinezza ai tempi dell’università a Bologna, all’arrivo a Roma quando inizia per la prima volta a scrivere racconti, il passaggio del cinema come approdo in un’altra lingua, «come per abbandonare l’italiano e insieme la nazionalità di un paese neocapitalistico». E si compone quasi una lunga seduta psicanalitica dove irrompe in apertura la figura del padre capitano di fanteria, ben presto negata («Tu sei qui per prendere il mio posto nel mondo»), la madre dalla religiosità contadina, il fratello che costituiva un modello per lui («era come avrei voluto essere io, lui era partigiano, io ero partigiano ideologico») con la sua morte in giovane età che innesca nel montaggio la crocifissione e la madonna addolorata del Vangelo.
E proprio tramite il suo Vangelo il regista viene «accolto» dove prima era respinto, perfino nei salotti della televisione. Come mai un marxista come lei trae ispirazione dal Vangelo? gli chiedono: «Il mio sguardo verso le cose del mondo, risponde, non è mai naturale, laico, ma le vedo come miracolose, non in senso confessionale, ma come una visione religiosa del mondo».
Anche se sono nodi teorici, immagini con cui il pubblico si è confrontato tante volte, visto oggi «Le ceneri di Pasolini» realizzato per lo più dai materiali delle interviste in studio, provoca ancora insospettabili collegamenti, inaspettata sorpresa. La più evidente è vedere il poeta intervistato messo come sotto interrogatorio, una situazione che evoca un tribunale pur composto da autorevoli intellettuali (Oreste Del Buono, Enzo Biagi), nell’arena tenebrosa degli studi televisivi in bianco e nero, con la consapevolezza di trasmettere le idee non conformiste di un artista problematico (e infatti l’autore non ricorda che sia mai andato in onda, Fuoriorario lo avrà trasmesso a notte fonda, altri programmi avranno utiilizzato le teche ma non con lo stesso obiettivo saggistico), ma si può in ogni caso vedere su Youtube o sul sito di Pasquale Misuraca che mette a disposizione tutti i suoi film: pasqualemisuraca.com.
Pasolini è come preso da un’ansia di parlare, spiegare, quasi una dissoluzione di sé, parole che vanno oltre alle richieste di spiegazione delle sue scelte cinematografiche, ma entrano nel profondo fino a toccare il mezzo stesso – la televisione d’altri tempi – con l’emblematica frase ben ritagliata dal montaggio: «La televisione è un mero mezzo di massa che non può che alienarci e crea un rapporto da inferiore a superiore che è spaventosamente antidemocratico». Una frase pronunciata anche prendendosi un po’ in giro quando si accorge del tono altisonante di certe affermazioni, ma soprattutto per come vengono amplificate dal mezzo e per l’effetto che fanno sullo spettatore che può sentirsi in uno stato di inferiorità. Misuraca non manca di sottolineare già nell’impostazione generale del documentario l’elemento poco sottolineato di umorismo, di «gaiezza», di allegria presente in Pasolini (e l’autore utilizza infatti le cadenze musicali dell’Allegro barbaro di Bela Bartok). Ma come può lo spettatore medio accettare certi suoi film come Porcile? gli si chiede: «La questione sta in questi termini, risponde. I primi film li ho fatti sotto il segno di Gramsci, mi sono illuso di farli sotto il segno gramsciano, quindi pensavo di rivolgermi al popolo, come classe ben differenmziata dalla borghesia, almeno così come lo aveva conosciuto Gramsci e come io stesso lo avevo conosciuto da giovane compresi tutti gli anni Cinquanta. È successa poi la crisi della società italiana, cioè il passaggio da un’epoca agricola, artigianale paleocapitalistica a neocapitalistica, una trasformazione fulminea della società italiana idealizzata da Gramsci, in quella che si chiama massa. Mi sono rifiutato non programmaticamente di fare prodotti che siano consumabili da questa massa, quindi ho fatto film d’élite apparentemente antidemocratici. In realtà essendo in polemica contro la cultura di massa, è solo un atto forse inutile di democrazia».

fonte: Alias


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