I cantieri navali di Palermo e Fincantieri. Un terreno di iniziativa per tutta la sinistra.

I cantieri navali di Palermo e Fincantieri. Un terreno di iniziativa per tutta la sinistra.

di Roberta Fantozzi -

Qual è il destino dei cantieri navali di Palermo? Qual è la politica che dovrebbe contraddistinguere un’azienda pubblica come Fincantieri oggi su quel sito in particolare e sulla cantieristica in generale?

Sono queste le domande a cui ha cercato di rispondere l’iniziativa che si è tenuta ieri presso una delle sale del Senato, organizzata da PRC, Altra Europa, SI, con la presenza degli operai dell’RSU del cantiere e di rappresentati della Fiom di Palermo e nazionali.

Non sono domande da poco. Sono decisive per il futuro della città di Palermo ma anche oltre perché riguardano le strategie di un gruppo come Fincantieri che è e resta una delle più importanti imprese navalmeccaniche del mondo, con competenze e professionalità qualificate,  erede della tradizione cantieristica del nostro paese.

 

I numeri della crisi a Palermo

La preoccupazione per la sorte dei cantieri navali di Palermo è particolarmente acuta per il contesto territoriale complessivo.  Oltre 95mila i disoccupati a (erano 74mila all’inizio della crisi), mentre i processi di deindustrializzazione sono andati avanti in modo pesantissimo in questi anni. Una situazione che investe la Sicilia e tutto il Mezzogiorno, come segnalato con forza dall’ultimo rapporto Svimez in particolare in relazione al vero e proprio crollo degli investimenti industriali nel Sud (- 59,3% nel periodo 2008-2014, tre volte in più del dato già grave del centro-nord con l’11,7%).

I cantieri navali rappresentano per questo a Palermo uno degli ultimi insediamenti industriali importanti con i 460 dipendenti diretti da Fincantieri e i circa 1500 dell’indotto.

 

Perché Fincantieri non distribuisce il lavoro a Palermo?

In questo contesto tutti gli interventi hanno sottolineato come non sia né comprensibile né accettabile la scelta di Fincantieri di non distribuire parte delle commesse recentemente acquisite sul sito di Palermo.

Per stessa dichiarazione dell’azienda infatti la ripresa del comparto ha determinato l’acquisizione  di commesse fino al 2020-2025. Commesse che stanno saturando il lavoro e rendendo impossibile il rispetto delle scadenze in alcuni cantieri e che incomprensibilmente non vengono redistribuite su tutti i siti.

Il cantiere di Palermo in particolare ha certamente bisogno per il proprio futuro che si chiuda positivamente la lunga vicenda dell’accordo di programma, con lo sblocco degli investimenti per il nuovo bacino, ma è assolutamente in grado da subito di lavorare, come avvenuto in anni recentissimi. La reiterazione della cassa integrazione per 130 lavoratori non è dunque giustificata, né dal punto di vista del corretto utilizzo delle risorse degli ammortizzatori sociali, né da quello del reddito dei lavoratori che comunque viene decurtato, né rispetto alla necessità di dare certezze circa il futuro dei cantieri.

 

La vicenda di Fincantieri, oltre Palermo

L’iniziativa di ieri ha rappresentato anche il tentativo di ragionare più complessivamente sulle strategie di Fincantieri.

La sua natura di azienda pubblica – controllata al 70% dallo Stato attraverso Fintecna – dovrebbe imporre un ruolo attivo sia nel perseguire processi di riequilibrio territoriale  o almeno di non accentuazione degli squilibri, sia di risposta positiva sul terreno dell’occupazione e della qualità del lavoro.  Tutti terreni su cui si registrano invece scelte pesantemente negative.

Da un lato a fronte di un’occupazione diretta che si è ridimensionata significativamente, passando dai 9.250 dipendenti del 2007 ai 7.760 di oggi, non si danno risposte positive alla richiesta di un piano per nuove assunzioni nel contesto della ripresa produttiva, dall’altra l’organizzazione del lavoro è caratterizzata da un uso abnorme di appalti e sub-appalti. A fronte di 7760 dipendenti diretti di cui 3500 operai, i lavoratori dell’indotto sono 15-18.000, con un rapporto di 1/4-1/5. E’ una catena in cui ad ogni passaggio diminuiscono diritti e salari, si frammenta e precarizza in maniera parossistica il lavoro, si perde ogni controllo compreso quello sulla legalità di chi opera nei cantieri.

La strategia dell’azienda sembra essere indirizzata a proseguire con una politica di espansione globale (dei 21 siti del gruppo solo 8 sono ormai in Italia) che non consolida i siti italiani, e che anzi attraverso esternalizzazioni e appalti, perde progressivamente parti anche qualificate degli stessi processi produttivi. Una politica in cui le logiche finanziarie diventano sempre più rilevanti rispetto ai processi industriali, mentre sul versante dei rapporti sindacali gli atti unilaterali – dalla disdetta degli accordi alle pressioni per la rinuncia alle libertà e agibilità sindacali – hanno contraddistinto questi anni.

Né c’è spazio alcuno in questa strategia per progetti che potrebbero qualificare la missione produttiva dell’azienda su obiettivi di riconversione del modello economico complessivo, in particolare per quel trasferimento del traffico merci da gomma alle “autostrade del mare” che sarebbe in grado di dare risposta ai problemi di produzione di gas serra e pesante impatto ambientale e sociale, che segnano a negativo il sistema dei trasporti nel nostro paese.

Ed è incredibile che su problemi di questa natura e dimensione, si faccia fatica persino a trovare interlocuzione da parte del Governo e del Parlamento.

L’iniziativa di ieri segna la volontà non solo di continuare a stare con gli operai di Palermo e con la città di Palermo,  ma di pretendere un cambiamento radicale nel modo in cui il patrimonio e le aziende pubbliche vengono gestite, la necessità che esse siano finalizzate a creare buona occupazione e buona economia e non asservite a logiche finanziarie e speculative.  E’ un impegno che crediamo vada portato avanti convintamente da tutte le forze di sinistra.


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