Election day, Alfano dice «no». Ma non finisce qui

Election day, Alfano dice «no». Ma non finisce qui

di Serena Giannico

Verso il referendum. In barba alla spending review e a un modello di sviluppo diverso da quello del greggio, il governo non vuole parlare di trivelle nel giorno delle amministrative. Il movimento No Triv chiede un decreto legge. La Consulta motiva il sì al voto popolare e bacchetta il voltafaccia del governatore renziano dell’Abruzzo

Un «no» secco, quello di Angelino Alfano: non ci sarà alcun election day che metterà insieme amministrative e referendum anti trivelle. Perché? «Difficoltà tecniche non superabili in via amministrativa: ci vuole una legge apposita». Questo ha affermato il ministro dell’Interno, durante il Question time della Camera, rispondendo a un’interrogazione di Sinistra italiana-Sel, primo firmatario Arturo Scotto.

Ma il Governo non se la caverà così, con una manciata di parole. «Noi infatti chiediamo un decreto legge», ha subito ribattuto il movimento No Triv. E lo stesso Scotto: «Alfano tradisce un timore molto forte che attraversa le stanze di Palazzo Chigi rispetto alla possibilità che si celebri questo referendum e che, con esso, venga spazzata via la filosofia dello Sblocca Italia che cancella il ruolo delle autonomie locali e prevede un modello di sviluppo basato sul greggio, invece che sull’ambiente e le energie rinnovabili…». Quindi il monito: «Ricordo ad Alfano che nel 2011 il suo ex capo Silvio Berlusconi scelse di non unire i referendum sul nucleare e l’acqua pubblica e le elezioni amministrative. E non fu una tornata elettorale fortunata per il centrodestra e vinse il popolo dell’acqua pubblica. I cittadini lo sanno e faranno prevalere il valore della partecipazione democratica a qualsiasi altro interesse o calcolo politico».

È rovente la questione election day. «Il Governo ha il dovere di garantire la più ampia partecipazione dei cittadini al voto e, nell’ottica della razionalizzazione e della riduzione delle spese dettate dalla spending review, ha l’obbligo di risparmiare denaro pubblico. Questi due obiettivi possono essere contemporaneamente centrati abbinando il voto del referendum al primo turno delle amministrative 2016, con un taglio di spesa di oltre 300 milioni di euro che andrebbero invece in fumo nel caso tali consultazioni si svolgessero in giorni diversi».

Sono oltre 50 i parlamentari che, sulla faccenda, hanno fatto propria una mozione depositata alla Camera – prima firmataria è la deputata di Sinistra Italiana, Serena Pellegrino, ma è anche presente il Pd con Angelo Capodicasa – e che oggi sarà motivata in un incontro promosso dalla Fondazione UniVerde (presieduta da Alfonso Pecoraro Scanio) e al quale sarà presente il costituzionalista abruzzese Enzo Di Salvatore, autore dei quesiti referendari. Election day sollecitato anche da Greenpeace con una petizione on line: oltre 55 mila adesioni in due settimane.

E mentre il fronte no triv porta avanti la battaglia per la consultazione – il 14 febbraio è prevista, in proposito, un’assemblea nazionale a Roma -, la Corte Costituzionale ha pubblicato le sentenze con le quali, lo scorso 19 gennaio, ha dichiarato ammissibile il referendum.

Con la sentenza 17/2016 la Consulta da l’ok al quesito numero 6 e permette ai cittadini di andare alle urne per evitare che i permessi già accordati ai petrolieri entro le 12 miglia possano proseguire anche oltre la scadenza, per tutta la «durata della vita utile del giacimento». Rimane fermo il limite delle 12 miglia marine, all’interno delle quali non sarà più possibile concedere permessi di ricerca o sfruttamento.

«Il quesito referendario – spiega la Corte – non comporta l’introduzione di una nuova e diversa disciplina, proponendosi un effetto di mera abrogazione al fine di non consentire che vi siano deroghe ulteriori rispetto alla durata dei titoli abilitativi già rilasciati. E – aggiunge – qualora l’effetto del referendum fosse di abrogazione, la salvaguardia ambientale resterebbe comunque oggetto di una apposita disciplina normativa, anche di origine europea».

Con la sentenza 16/2016, invece, la Corte dichiara estinto il giudizio di ammissibilità dei primi cinque quesiti referendari, sulla scia del pronunciamento della Cassazione dello scorso 7 gennaio. Tuttavia, sottolineano i giudici «resta impregiudicata la possibilità» di un «ricorso per conflitto di attribuzione avverso l’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum». Circostanza già ben chiara a 6 Consigli regionali (Puglia, Basilicata, Liguria, Marche, Sardegna, Veneto), che, infatti, nei giorni passati hanno depositato presso la Corte Costituzionale proprio due ricorsi per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato. In caso di accoglimento, sarebbero ammessi a referendum altri due quesiti sugli idrocarburi, quelli relativi alla proroga dei titoli sulla terraferma e al Piano delle aree. Quest’ultimo obbligherebbe il Governo a rifarsi ad uno strumento di pianificazione delle attività estrattive condiviso con i territori. In caso contrario, l’opinione degli enti locali non avrà voce in capitolo quando toccherà individuare le zone da perforare.

Nelle sentenze della Consulta è finito anche il voltafaccia del presidente della Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso. L’Abruzzo, inizialmente è stata tra le 10 Regioni promotrici del referendum, poi, di fronte alla Consulta, si è schierata contro le altre (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise) e con Renzi al fine di evitare, alle multinazionali del greggio di affrontare il giudizio popolare. Dopo aver chiarito che «la Giunta regionale», che ha bypassato e snobbato il Consiglio, «non ha potere rappresentativo in ordine alla proposizione del referendum abrogativo», la Consulta ha respinto tutte «le prospettazioni della difesa dello Stato e della Regione Abruzzo» e ha dichiarato che il quesito sulle trivellazioni in mare «si presenta come unitario ed univoco e possiede i necessari requisiti di chiarezza ed omogeneità». «È proprio quello che avevamo contestato a D’Alfonso e a Lucrezio Paolini, delegato della Regione Abruzzo – commenta Maurizio Acerbo, di Rifondazione comunista -: si sono mossi senza mandato del Consiglio in un’operazione spregiudicata che ha disonorato la regione verde d’Europa. C’è anche da riflettere sul grado di subalternità alla politica di dirigenti e avvocatura che avrebbero dovuto rifiutare la propria disponibilità a questa evidente castroneria. Quella che ha ricevuto D’alfonso è la più autorevole delle pernacchie».

fonte: il manifesto


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