
L’azione del GUE a sostegno della lotta del popolo curdo e per la pace in Medio Oriente
Pubblicato il 1 feb 2016
di Giovanna Capelli
Nelle giornate del 26 e 27 gennaio a Bruxelles il Gruppo del GUE/NGL del Parlamento Europeo ha organizzato la dodicesima Conferenza internazionale dal Titolo “l’Unione Europea, la Turchia, il Medio Oriente e i Curdi; vecchia crisi, nuove soluzioni.” Un appuntamento rituale, a testimonianza della solidarietà che le formazioni politiche appartenenti al Gue praticano da tempo nei confronti della lunga storia della lotta del popolo curdo, ma questa dodicesima conferenza diventa una sfida aperta di politica internazionale, una proposta e una analisi politica alternativa controcorrente alla narrazione che della situazione odierna in Medio Oriente fanno le diplomazie occidentali e i mass-media.
Mentre lo scontro in Medio Oriente diventa sempre più complesso ed esteso a più soggetti e a più nazioni (Turchia, Irak, Siria), mentre si aprono nuovi fronti ed esplodono contraddizioni determinate dall’esito devastante delle guerre che l’Occidente ha portato nel cuore del mondo Arabo (Irak, Libia), e si preparano nuove guerre, l’Unione Europea ha una politica assolutamente muta, subalterna alla gestione dell’esistente, alla difesa del ruolo della Nato di espansione verso l’Est europeo e al suo rafforzamento strategico nelle aree contigue. La figura della Mogherini è adeguata interprete di questa impostazione, che spesso si traduce in silenzio colpevole e scandaloso su diritti negati ed emergenze umanitarie, come è chiaro nelle relazioni UE con la Turchia di Erdogan, a cui si promettono fondi per il controllo dell’emigrazione senza intervenire per fermare il piano repressivo del Governo turco contro la popolazione e in particolare nella regione curda, che ha prodotto 200.000 sfollati e mette in pericolo di vita intellettuali, docenti, politici oppositori, come il compagno Demirtas, co-presidente del HDP e la popolazione civile di interi territori curdi.
Il profilo della iniziativa di Bruxelles era alto, globale e plurale nei punti di vista, ma anche concreto nell’indicare obiettivi e rivendicazioni a difesa del popolo curdo, della pace e della coesistenza fra i popoli con una affollata partecipazione della diaspora curda, di militanti delle reti di solidarietà curde in Europa, di turchi democratici ,di esperti di diritto internazionale; insomma una iniziativa politica che ha connesso tutti i territori dove il popolo curdo è insediato e combatte la sua battaglia per la autodeterminazione, dal Kurdistan alla Siria, alla Turchia con una pluralità di posizioni e di esperienze politiche e anche di prospettive e ha dato parola a tutte le voci internazionali di giornalisti ,giuristi, diplomatici, intellettuali, reti di solidarietà curda, che in qualche modo possono aiutare al raggiungimento degli obiettivi. Non dimentichiamo che si è aperta a Ginevra la trattativa per la risoluzione della crisi siriana. De Mistura il rappresentante dell’ONU si è diviso negli incontri fra delegazioni del Governo e quella delle opposizioni, ma sono stati esclusi i curdi del Rojava a priori, malgrado fosse presente a Ginevra la rappresentanza del PJD, Partito dell’Unione democratica.
Il patrocinio della conferenza non era un fatto formale: veniva da figure che hanno speso la loro esistenza nella analisi delle cause delle guerre e delle disuguaglianze, come Noam Chomsky (nel suo recente saggio “Terrorismo occidentale “scrive” dalla fine della seconda guerra mondiale il colonialismo e il neocolonialismo occidentale hanno provocato la morte di 50 milioni di persone. In un arco di tempo relativamente breve, si è registrato il maggior numero di stragi della storia; molte di esse sono state attuate in nome di nobili ideali come la libertà e la democrazia”) e di quelle che nel corpo a corpo contro regimi autoritari e/o razzisti hanno messo a repentaglio la loro vita; come l’iraniana Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace nel 2003, la prima donna diventata magistrata in Iran, costretta all’esilio per la difesa strenua che in patria ha fatto dei diritti umani e in particolare delle donne colpite dalla sharia e Leyla Zana, la compagna curda condannata a 15 anni di carcere per aver usato nel parlamento turco come deputata la lingua del suo popolo. Shirin e Leyla erano presenti di persona a testimoniare nei loro interventi e nella loro biografia il nesso inscindibile fra lotta per la democrazia e i diritti, l’autodeterminazione dei popoli e la libertà delle donne.
Per ricomporre un quadro ricco delle forze e delle tendenze in campo in una situazione in rapido movimento hanno dato un contributo importante giuristi e giuriste nel tentativo di costruire un discorso valido per modificare il diritto internazionale nella definizione di “terrorismo“, di “guerra civile” e di “crimine contro l’umanità“, per sostenere giuridicamente con argomenti sempre più corposi ed inoppugnabili l’esclusione del PKK dall’elenco delle organizzazioni terroristiche, per denunciare ciò che sta avvenendo in Turchia. A questo proposito fondamentali sono stati gli interventi che hanno illustrato la gravità della situazione in Turchia dal punto di vista della democrazia e dei diritti e la testimonianza dei livelli di violenza altissimi usati dal regime. Arresti di manifestanti, pestaggi, violenza alle donne attiviste non hanno impedito per due volte il successo elettorale del HDP e la sua presenza in parlamento, anche se nelle zone curde le pratiche di autogoverno sono ostacolate dal coprifuoco, dalla occupazione militare con carri armati dei quartieri , dalla rimozione dei sindaci eletti. Per queste zone si usa correttamente la parola “genocidio“e “crimini contro l’umanità”: le donne vengono uccise vicino alle loro case fai cecchini sono costantemente in pericolo di violenza sessuale e di abusi, né si risparmiano i bambini. Non c’è pietà neppure per i morti, dato che in più occasioni i genitori hanno dovuto conservare per giorni nel congelatore i corpicini dei loro bimbi uccisi prima di poterli seppellire. A illustrare questa involuzione verso un regime reazionario del governo AKP un vecchio giornalista turco Jendiz Candar non usa a caso il termine fascista, lui, conoscitore di Gramsci e attivista fin dai tempi del secondo novecento in cui si relazionava a Giancarlo Paietta responsabile esteri del PCI.
Per dare il senso della ampiezza delle relazioni raccolte e anche della novità di approccio che alcune esperienze curde portano nel tentativo di avviare un processo di pace e di difendere la causa curda ora voglio socializzare e fare uscire dagli ambiti ristretti delle aule di Bruxelles i due punti di vista più distanti che si sono manifestati, quelli di Peter Galbraith senatore USA e di Demirtas copresidente dell’HDP, l’organizzazione laica multietnica e plurale che ha unificato in Turchia tutti i soggetti colpiti dalla repressione di Erdogan e anche dalla sua politica economica violentemente liberista e antipopolare. Peter Galbraith , ex ambasciatore in Croazia, esperto di sud-est asiatico e poi, docente di Strategia di difesa della sicurezza nazionale alla scuola di guerra di Washington, negli ultimi anni, a partire dalla II guerra in Irak, consulente del governo regionale del Kurdistan nel Nord dell’Irak, insomma un avversario politico, oggi in nome della necessità di combattere l’ISIS e del ruolo oggettivo, che in questo scontro svolgono i curdi non solo a Kobane, sostiene la necessità che per la risoluzione della crisi siriana i curdi vengano ammessi al tavolo delle trattative a Ginevra.
Galbraith esplicita il suo dissenso rispetto al titolo della conferenza argomentando che la crisi non è quella vecchia, ma una nuova che apre una fase di trasformazione rapida della storia del Medio Oriente. Secondo la sua ricostruzione storico-diplomatica stanno cambiando in quel territorio i confini statuali decisi 100 anni fa nel 1916, durante le vicende della prima guerra mondiale da europei ignoranti e aggressivi, vere incarnazioni della mentalità coloniale (trattato di Sykes -Picot, nome dei 2 funzionari inglesi e francesi che con il consenso della Russia si spartirono l’impero ottomano e le sue sfere di influenza). Galbraith vede la concreta possibilità dello sgretolamento e della dissoluzione di quelle statualità, e di quei confini per la formazione di stati/nazione più piccoli e giudica questo processo l’unica via per la risoluzione dei problemi e il raggiungimento della pace. Cioè si muove nel solco di ciò che è avvenuto anche per volontà occidentale, dopo la fine dell’URSS nel 1991; da allora si sono formati ben 24 nuovi stati che avrebbero secondo il diplomatico Usa garantito la stabilità e la cessazione del conflitto.
L’autonomia del Kurdistan iracheno per cui Galbraith ha lavorato è un dato irreversibile, che verrà sancito da un referendum, ma che è anche accettata dal Governo Iracheno. Lì abitano anche un milione e mezzo di iracheni sunniti non curdi. Il vecchio Irak non esiste più. Ma anche la crisi Siriana non può essere risolta se al tavolo delle trattative non vengono chiamati anche i curdi. Il senatore USA ipotizza un possibile smembramento della Siria. A questo approccio che oggettivamente ripropone in aree complesse l’obiettivo dello stato /nazione ,che fra l’altro sembra che sul territorio europeo nella dissoluzione sovietica e iugoslava abbia ampiamente corrisposto agli interessi USA, alla trasformazione e al rafforzamento della Nato, risponde nel merito Demirtas. Grandi e concrete sono le possibilità per aprire un processo di pace, non solamente perché sono cambiati gli equilibri regionali, ma soprattutto perché è cambiata la visione e la prospettiva dei curdi, che propongono nuovi modelli, nuove soluzioni, adeguate alla contemporaneità. Se il famoso trattato franco-inglese del 1916 avesse delineato confini diversi i curdi 100 anni fa avrebbero creato e costruito uno stato nazione, ma ora in Turchia e anche all’Europa propongono la strada di stati multinazionali, laici e democratici, non centralista che superino i limiti di democrazie formali che si sono trasformate in dittature della maggioranza, come in pratica si è trasformata la Turchia. La costituzione del HDP sta dentro a questa strategia, un partito non solo per i curdi, ma il partito delle pluralità e della democrazia, che ricolloca e ripensa nell’epoca della globalizzazione neoliberista l’obiettivo della autodeterminazione dei popoli, rifiutandosi di immiserirlo a strumento di balcanizzazione o di affidarlo ai rinascenti nazionalismi.
L’Unione Europea,la Turchia,il Medio Oriente e i curdi – Risoluzione finale
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