
La mente paralizzata di Tony Blair
Pubblicato il 30 ott 2015
di Patrick Cockburn
Ciò che colpisce nei commenti più recenti di Tony Blair sul suo ruolo nella guerra in Iraq è quanto poco abbia imparato sul paese a 12 anni dall’invasione. Si potrebbe aggiungere, tuttavia, che anche i suoi accusatori non hanno imparato molto.
Blair fonde due eventi che dovrebbero essere esaminati separatamente. Dice che non si scusa per la rimozione di Saddam Hussein: si potrebbe sostenere che la maggior parte degli iracheni la volevano per porre fine al dominio disastroso di Saddam in quel momento.
Ma gli Stati Uniti e la Gran Bretagna poi andarono avanti con l’occupare l’Iraq e ci fu la guerra contro l’occupazione, condotta separatamente da sunniti e sciiti, che distrusse il paese e permise a al-Qaeda di conquistare il suo primo punto d’appoggio lì.
E’ difficile capire la posizione di Blair, perché si tratta di un uomo intelligente la cui mente sembra essere stata paralizzata dalle sue esperienze nel 2003. I suoi commenti su Iraq e altri eventi in Medio Oriente da quella data sono sempre male informati e faziosi.
Questo è in netto contrasto con la sua comprensione dei problemi dell’Irlanda del Nord su cui scrive sapientemente e lucidamente nella sua autobiografia. E’ come se l’Iraq avesse trasformato i suoi punti di forza politici in debolezza: la sua fiducia in se stesso si è trasformata in rigidità e in un’arrogante incapacità ad ammettere che si era sbagliato e a evitare tali errori in futuro.
Era evidente fin dai primi giorni dell’invasione che il presidente Bush e Blair potevano cavarsela con l’invasione, ma se cercavano di rimanere nel paese si sarebbero messi nei guai.
La ragione per cui lo hanno fatto non aveva nulla a che fare con il bene superiore del popolo iracheno, ma col fatto non volevano che l’Iran, la più grande potenza sciita, approfittasse della caduta di Saddam Hussein. Ma questo era sempre possibile perché ogni elezione in Iraq avrebbe portato al potere gli sciiti che costituiscono il 60 per cento della popolazione.
Gli iracheni dicono che le sanzioni distrussero la società irachena e l’invasione distrusse lo stato iracheno. Sono circolate affermazioni da quel momento sul fatto che se ci fosse stato un piano per il periodo successivo all’invasione in Iraq, allora tutto sarebbe andato bene, ma questa è una sciocchezza condiscendente. Gli unici iracheni che hanno accolto favorevolmente l’occupazione sono stati i curdi, che non erano occupati. Inoltre, tutti gli Stati confinanti con l’Iraq, inclusi Iran, l’Arabia Saudita, Siria e Turchia, non volevano che l’occupazione avesse successo. Ogni insurrezione in Iraq era destinata sempre a ricevere armi e denaro da fuori.
Lo stato in Iraq che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno affermato di stare ricostruendo era delegittimato fin dall’inizio agli occhi degli iracheni perché era così apertamente una creazione straniera. Lo stesso vale in Afghanistan, dove la grande forza dei talebani era il disprezzo e l’odio sentito da tanti afgani per il governo di Kabul. Le forze britanniche sono state inviate Helmand nel 2006 con stessa mancanza di comprensione dei pericoli, così come erano stati inviate a Bassora nel 2003, e con gli stessi risultati catastrofici. Le azioni che avrebbero dovuto mostrare agli Stati Uniti quanto fosse efficace la Gran Bretagna come alleata raggiunsero esattamente il risultato opposto.
Vi è il rischio che un interesse ossessivo in Gran Bretagna nell’attribuire la colpa per quello che è successo in Iraq nel 2003 sia perseguito con l’obiettivo limitato di demonizzare Blair e di ignorare il contesto più ampio di quello che è successo allora e sta accadendo ora. Non si tratta solo del fatto che ha commesso degli errori allora, ma che ha continuato a farli. Nella sua testimonianza all’Inchiesta Chilcot circa cinque anni fa, Balir è andato elogiando i successi del governo iracheno di allora, nonostante tutti in Iraq sapevano che era inefficiente, cleptocratico e settario.
Patrick Cockburn è autore di The Rise of Islamic State: ISIS and the New Sunni Revolution
articolo originale su counterpunch
traduzione di Maurizio Acerbo
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