
Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali sotto attacco. Critica una parlamentare xenofoba e il governo interviene…male
Pubblicato il 15 ott 2015
Il termine Hate Speech (incitamento all’odio) è da tempo di uso comune in Europa ma da noi fatica ad entrare nel lessico comune. Indica un comportamento, l’uso di frasi offensive, dispregiative, aggressive, nei confronti di chi considerato “diverso” e in quanto tale da colpire. Verbalmente si potrebbe dire, peccato che lo sdoganamento di quello che è un vero e proprio linguaggio si traduca troppo spesso in pratiche concrete di discriminazione che a volte sfociano anche nella violenza pura. Un linguaggio che è divenuto popolare nel discorso pubblico, che esplode nei social network e che non di rado diviene d’uso corrente anche fra coloro che, nelle istituzioni, dovrebbero invece evitare di ricorrervi, proprio in virtù della responsabilità loro assegnata dal ruolo ricoperto. L’hate speech sceglie sempre come oggetto del proprio livore persone ritenute diverse o per il paese di provenienza, per il culto professato, per la fede politica o per il proprio orientamento sessuale. Di fatto si tratta di pareri, opinioni, più spesso insulti, che al di là della loro oggettività, non rientrano nella sfera della libertà di opinione quanto nella violazione del dettato costituzionale. Un testo che dovrebbe rappresentare, per i rappresentanti eletti nelle istituzioni, almeno un vincolo di ordine morale. Ma ovviamente questo nel migliore dei mondi possibili. Sdoganati razzismo e omofobia, è un fiorire continuo e reiterato di rozze considerazioni discriminatorie che non trovano margini. In Italia, come negli altri Paesi europei, esiste da anni un Agenzia che ha il compito di contrastare ogni forma di discriminazione. Nel 2000 veniva emanata una direttiva europea in tal senso che da noi veniva recepita nel luglio 2003, l’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) è sotto la dipendenza della Presidenza del Consiglio e il Ministero per le Pari Opportunità. Un ufficio importante, con un Direttore, attualmente Marco De Giorgi e un gruppo ristretto di collaboratori che esamina le tante segnalazioni che quotidianamente giungono. Discriminazioni che si realizzano sul luogo di lavoro, in diminuzione o forse poco denunciate, nelle scuole, sui social network e sui mezzi di comunicazione, (in crescita) ma anche nel mondo politico. Sovente purtroppo la criminalizzazione di gruppi nazionali, l’offesa gratuita per orientamenti sessuali non considerati conformi, la definizione di stereotipi negativi, è divenuto il collante politico per alcune formazioni che in questa maniera parlano alla “pancia delle persone”. Ad una cittadinanza in crisi che, invece di individuare i reali responsabili dei propri malesseri e disagi è indotta a trovare facili capri espiatori e su questi costruire rassicuranti identità chiuse, che spesso rifiutano anche il contatto con mondi che non considerano compatibili. Il lavoro prezioso dell’UNAR in questi anni è stato quello di operare evitando di avere un approccio ideologico ma partendo dalle denunce che giungono all’ufficio e che vengono vagliate, esaminate con cura e su cui poi si attivano tanto procedimenti quanto campagne mirate per prevenire la loro diffusione. Eppure poi capitano assurdi paradossi come quello che sta mettendo in questi giorni in discussione lo stesso assetto dell’UNAR. A seguito di una serie di dichiarazioni rilasciate dall’onorevole Giorgia Meloni (FdI) relative alla necessità di selezionare gli immigrati da far entrare in Italia distinguendo quelli “meno aggressivi e più assimilabili” (provenienti da alcuni paesi latino americani e asiatici) dai “pericolosi musulmani”, raccogliendo una segnalazione l’UNAR ha inviato una lettera, cortese nei toni e nel linguaggio ma ferma nel considerare inappropriate tali dichiarazioni alla suddetta parlamentare. La reazione non si è fatta attendere, in nome della “libertà di opinione” Giorgia Meloni si è fatta immortalare imbavagliata di fronte a Palazzo Chigi, per protestare contro una “censura subita”. Invece di stigmatizzare le dichiarazioni fortemente razziste della parlamentare dal Governo hanno deciso di emanare un provvedimento disciplinare nei confronti del direttore dell’UNAR, “colpevole” di aver esercitato il proprio dovere di funzionario pubblico, ovvero prevenire i pericoli dell’hate speech. A difendere l’operato dell’UNAR è sceso in campo il mondo delle associazioni che si occupano di tutela, le comunità musulmane, le Ong, quel mondo vasto di soggetti che considera la pluralità religiosa e culturale un valore strutturale della società italiana. E poi intellettuali come Chiara Saraceno, giornalisti, mondo del volontariato che considera ogni elemento che porta ad alimentare odio come mefitico per il vivere comune. Da tempo la Commissione europea così come il Consiglio di Europa hanno invitato il nostro Paese ad arginare i rischi di focolai di odio razziale e religioso, ancor più pericolosi se alimentati dal discorso pubblico ma si preferisce punire chi segnala tali atti incendiari.
«Di fronte a un caso di evidente discriminazione su base religiosa – ci spiegano – l’Unar si era limitato ad informare la deputata delle denunce che pervenivano all’ufficio preposto proprio dalla normativa europea a monitorare espressioni e condotte discriminanti, ed invitarla, con un tono garbato, ad esternazioni nei confronti dei musulmani più scevre da pregiudizi, in un momento di forti rischi per la coesione sociale. Ma così facendo l’UNAR ha toccato un tema sensibile: quello della libertà di espressione da parte di politici e parlamentari, alcuni dei quali evidentemente ritengono di non dover porre argini al loro potere di colpire, con il peso delle parole, intere collettività in nome di privilegi ormai obsoleti. La delegittimazione dell’UNAR, pone al Governo un pesante fardello, quello di alterare i delicati equilibri tra pluralismo politico e pluralismo etnico-culturale-religioso, propendendo per una chiara adesione alla libertà di pensiero da parte di una parlamentare rispetto al rischio di vilipendio di una comunità intera, quella musulmana, che rappresenta la seconda religione italiana e che era stata equiparata ad un popolo di potenziali terroristi. Si é forse deciso di innalzare le prerogative di pensiero di un parlamentare che fa dei pregiudizi la base di un programma elettorale al di sopra della dignità di popoli, religioni e semplici cittadini?». Fatto sta che in nome della necessità del governo di tenere in piedi la maggioranza passano in parlamento, spesso nel silenzio assordante o quasi, provvedimenti come questo che oltre a rischiare di portare alla rimozione di un Dirigente valido e riconosciuto come competenza e a veder normalizzato il suo staff, si traducono in piena intimidazione. Su questi temi in parlamento si media, come si è mediato quando, per ottenere una opposizione più blanda in materia di riforme costituzionali, il Pd ha scelto di non votare a favore della messa sotto stato di accusa del senatore Calderoli, per aver paragonato l’allora ministra all’Integrazione Cécile Kyenge ad un orango. La ministra Boschi ha nei giorni scorsi difeso blandamente l’operato dell’UNAR e il rischio che, col mandato scaduto, la sua nomina non venga riconfermata, è alto. Nei corridoi di palazzo si afferma anche che tale tentativo nasconda anche altri scopi. In questi ultimi anni l’UNAR ha anche combattuto aspramente contro la recrudescenza dell’omofobia e in difesa dei diritti LGBT. Una posizione che non è stata gradita dai settori cattolici della maggioranza che vedrebbero meglio, alla guida dell’Ufficio, una persona più moderata e magari attenta solo a battaglie di principio che riguardino rom e migranti senza che si metta in discussione il peggioramento del discorso pubblico su tali temi. Noi dovremmo difendere l’UNAR, dopo averne criticato l’impianto con cui è stato realizzato (la subalternità al governo ne limita in origine l’autonomia e l’indipendenza), va detto che il servizio fornito si è dimostrato utile argine tanto a far sentire garantiti coloro che hanno subiti atti di discriminazione quanto a lanciare campagne di formazione e di educazione alla diversità. La Lega ed altri ne critica i costi, per altro ridotti. Per chi considera fondamentale poter crescere in una società che non discrimini, si tratta di soldi ben spesi, con buona pace della onorevole Meloni e di chi la pensa come lei.
Stefano Galieni
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