Pensioni, la fedeltà di Renzi all’«Agenda Monti»

Pensioni, la fedeltà di Renzi all’«Agenda Monti»

di Felice Pizzuti

Austerità. Il governo persevera nella politica economica che non vuole colpire ricchezze elevate. Occorre uscire da una visione ritenuta irragionevole dalla Corte

Il governo ha deciso di appli­care la sen­tenza della Corte Costi­tu­zio­nale al 12%. Que­sta infatti è, all’incirca, la per­cen­tuale del rim­borso (2,180 miliardi di euro) che verrà effet­tuato ai pen­sio­nati rispetto a quello che sarebbe loro dovuto in base alla piena appli­ca­zione delle indi­ca­zioni della Corte (16,6 miliardi più gli interessi).Tra le righe della sen­tenza si pos­sono anche indi­vi­duare ele­menti per con­te­nere la resti­tu­zione del man­cato ade­gua­mento all’inflazione, ma è for­te­mente dub­bio che le sue indi­ca­zioni pos­sano essere eluse per quasi il 90%.

La resti­tu­zione par­ziale avverrà in misura pro­gres­siva: 750 euro per le pen­sioni supe­riori a tre volte il minimo (circa 1406 euro lordi men­sili al dicem­bre 2011) fino a 1700 euro lordi; 450 euro per le pen­sioni fino a 2200 euro lordi; 278 euro per quelli fino a 3200 euro lordi. Anche per chi pren­derà di più, si trat­terà di un asse­gno una tan­tum (per­ché la que­stione dovrebbe essere rivi­sta nella pros­sima legge di sta­bi­lità dove le pen­sioni saranno oggetto di altri inter­venti) e net­ta­mente infe­riore a quanto pre­vi­sto dalla sen­tenza. Infatti, anche per la prima fascia d’importo, il rim­borso avrebbe dovuto essere di circa 1700 euro, men­tre per la fascia più alta dovrebbe essere di circa 3800.

Il Pre­si­dente Renzi ha spe­ci­fi­cato che i 2,180 miliardi neces­sari saranno presi da quanto era pre­vi­sto per gli inter­venti con­tro la povertà il che con­ferma che sarà una redi­stri­bu­zione ai mar­gini della povertà. A dif­fe­renza di altri paesi, dove i red­diti da pen­sione hanno trat­ta­menti fiscali ridotti, in Ita­lia sono tas­sati con le nor­mali ali­quote, e una pen­sione lorda di 1406 euro diventa di circa 1200 netti. Rimane poi il fatto – da non dimen­ti­care — che il sistema pen­sio­ni­stico pub­blico pre­senta un saldo tra le entrate con­tri­bu­tive e le pre­sta­zioni pre­vi­den­ziali nette che è attivo dal 1998 e che nell’ultimo anno per il quale si hanno dati, il 2013, è stato pari a circa 21 miliardi di euro (cioè dieci volte quello che gli si vuole resti­tuire per il man­cato ade­gua­mento all’inflazione). Si aggiunga che il valore medio delle pen­sioni è attual­mente pari a circa il 45% della retri­bu­zione media degli occu­pati, che tale quota è in ulte­riore discesa e che nell’assetto attuale, in base alle pre­vi­sioni, rag­giun­gerà il 33% nel 2036. Dun­que quando il governo sta­bi­li­sce di rispet­tare la sen­tenza della Corte al 12%, e il Pre­si­dente Renzi dice che non è con­tento di doverlo fare, sta per­se­ve­rando nella poli­tica redi­stri­bu­tiva decisa da tempo che esclude la pos­si­bi­lità di col­pire altri red­diti e ric­chezze più ele­vate per fron­teg­giare le esi­genze di bilancio.

Ma è pro­prio la poli­tica di bilan­cio del governo l’epicentro del pro­blema che andrebbe messo in discus­sione. A que­sto riguardo, l’aspetto signi­fi­ca­tivo da con­si­de­rare è che, nono­stante l’emergenza finan­zia­ria deter­mi­nata dalla sen­tenza della Corte, il Governo non vuole supe­rare l’obiettivo fis­sato al 2,6% per il defi­cit di bilan­cio, quando avrebbe mar­gini di mano­vra fino al 3%. Rag­giun­gere quel limite gli con­sen­ti­rebbe altri 3 miliardi di aumento di spesa senza supe­rare il vin­colo di Maa­stri­cht. Il Governo, pur tro­van­dosi di fronte alla neces­sità di fron­teg­giare una scelta del pre­ce­dente governo Monti-Fornero così ini­qua da essere defi­nita «irra­gio­ne­vole» dalla Corte, ci tiene ad appa­rire ligio ai pro­grammi delle poli­ti­che di con­so­li­da­mento fiscale che ora­mai lo stesso Fondo Mone­ta­rio Inter­na­zio­nale ha dovuto ammet­tere essere con­tro­pro­du­centi non solo rispetto agli obiet­tivi della cre­scita, ma anche per miglio­rare i conti pubblici.

Da que­sto punto di vista, l’Agenda Monti, nono­stante i suoi effetti pro­va­ta­mente per­versi, con­ti­nua ad essere il sestante della nostra poli­tica eco­no­mica e sociale che si con­ferma essere ini­qua e con­tro­pro­du­cente allo stesso tempo. Ora­mai non si tratta più nem­meno di essere o meno di sini­stra o pro­gres­si­sti, ma sem­pli­ce­mente di uscire da una visione di poli­tica eco­no­mica e sociale con­for­mi­sta i cui effetti fal­li­men­tari sono gene­ral­mente rico­no­sciuti. Se le poli­ti­che comu­ni­ta­rie stanno insi­stendo nel por­tarle avanti, e i nostri gover­nanti le accet­tano supini, è per­ché è in corso il brac­cio di ferro sulla «que­stione greca». Si tratta di un con­fronto dimo­stra­tivo che non risponde a nes­sun cri­te­rio di razio­na­lità eco­no­mica e che – oltre pre­giu­di­care le con­di­zioni sociali ed eco­no­mi­che della Gre­cia — sta met­tendo a rischio la costru­zione euro­pea. Quella in atto è una poli­tica peri­co­lo­sa­mente miope che risponde ad idio­sin­cra­sie nazio­nali e alla neces­sità di dare sod­di­sfa­zione agli inte­ressi rap­pre­sen­tati da tutti i governi di centro-destra euro­pei, in par­ti­co­lare da quelli dei paesi della «peri­fe­ria» dell’Ue che quelle regole sba­gliate le hanno accet­tate e adesso non tol­le­re­reb­bero – per que­stioni elet­to­rali — di dover ammet­tere che è stato un errore.

fonte: il Manifesto


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