Renato Solmi, l’elegante stile critico che si fa militanza

Renato Solmi, l’elegante stile critico che si fa militanza

di Luca Lenzini

Addii. La scomparsa di Renato Solmi. Traduttore di Benjamin e Adorno, lavorò per anni a Einaudi. Il lungo sodalizio con Fortini e Ranchetti

Nella Pre­fa­zione a Auto­bio­gra­fia docu­men­ta­ria, il volume che rac­co­glie i suoi scritti di oltre mezzo secolo (Quod­li­bet, 2007), così scri­veva Renato Solmi: «Ho più che mai l’impressione (…) che que­sto libro, che è, se così si può dire, un som­ma­rio det­ta­gliato della mia vita, sia tutto rivolto verso il pas­sato, e non posso fare a meno di temere che essa sia desti­nata a pre­va­lere su qual­siasi altra agli occhi degli espo­nenti della nuova gene­ra­zione che si bat­tono con tanto ardore e con tanta fer­mezza sulla linea più avan­zata del fronte che separa il pas­sato dal futuro, o, se si pre­fe­ri­sce, la sal­vezza dalla cata­strofe». Ma a chi abbia pre­senti le otto­cento e passa pagine del libro, l’impressione dell’autore risulta infon­data, anzi fuor­viante: per­ché, al con­tra­rio, la lezione dell’Autobiografia di Solmi — scom­parso ieri — era ed è quella di un pen­sa­tore la cui bus­sola è stata sem­pre orien­tata verso ciò che, nel pre­sente, si schiude a nuovi svi­luppi, al di fuori di schemi dot­tri­nari o teleo­lo­gici. E già il som­ma­rio dell’antologia del 2007 dispie­gava in piena luce l’amplissimo oriz­zonte entro cui si è mossa, con straor­di­na­ria mobi­lità intel­let­tuale, la rifles­sione di Solmi: dai primi lavori su Jae­ger, Snell, Cas­si­rer, De Mar­tino degli anni Cin­quanta, ai con­tri­buti su «Discus­sioni», la rivi­sta rea­liz­zata con Inso­lera, Amo­dio, Ran­chetti, For­tini, i Gui­ducci, tra il ’49 e il ’53, agli inter­venti del redat­tore Einaudi nel periodo più fecondo della casa edi­trice, fino a quelli su «Qua­derni Pia­cen­tini», i pezzi sulla scuola e sui movi­menti degli anni ’60/’70, sul pacifismo.

A par­tire da quei testi si può bene inten­dere come l’opera di Solmi non sia in alcun modo clas­si­fi­ca­bile come quella di uno «spe­cia­li­sta», anche se sul ter­reno volta a volta affron­tato, dalla filo­so­fia in senso stretto alla sto­ria della cul­tura, dall’antropologia alla socio­lo­gia, la sto­ria o la cri­tica let­te­ra­ria, pochi spe­cia­li­sti – oggi meno che mai — ne sareb­bero all’altezza. Il carat­tere mili­tante, e per­ciò cri­tico, del pen­siero di Solmi, ostile per natura ai dogmi e agli she­ma­ti­smi, è il filo che ne tiene sal­da­mente insieme l’opera, e non meno carat­te­ri­stico è il suo stile intel­let­tuale, tanto più gar­bato, razio­ci­nante e tal­volta per­sino ceri­mo­nioso nell’argomentare i suoi dis­sensi, quanto più si rivela radi­cale e indo­cile alle pre­tese della doxa, fosse pure quella della parte poli­tica per cui si è sem­pre schie­rato, con pre­veg­gente impe­gno paci­fi­sta e altret­tanto rigore morale.

Tutto que­sto, men­tre spiega la sua emar­gi­na­zione rispetto ai sen­tieri della cul­tura uffi­ciale, sia dei par­titi sia acca­de­mica, pone la sua opera esat­ta­mente, per usare le sue parole, «sulla linea più avan­zata del fronte che separa il pas­sato dal futuro». Ed è di una tale lezione, nel nostro tempo di filo­sofi da festi­val e micro­spe­cia­li­sti, segnato dal con­for­mi­smo (non meno tale per vestirsi di pro­vo­ca­zione moda­iola o da lezione di disin­canto), che c’è biso­gno, ora che lui ci ha lasciato. Chi saprà misu­rarsi con i saggi intro­dut­tivi all’opera di Adorno o Ben­ja­min, scritti tra il 1953 ed il ’59, potrà ren­dersi conto di quali cali­brate rimo­zioni è capace la cul­tura del nostro paese: quel che è stato rimosso, benin­teso, non sono Adorno o Ben­ja­min, che anzi sono stati ampia­mente pub­bli­cati e fatti oggetto per­sino (non senza ambi­guità) di culto, ma la pro­spet­tiva e lo spes­sore di sto­ria e cul­tura entro cui un let­tore come Solmi si poneva: quella di una tra­du­zione nel senso più vero (incluso, ovvia­mente, il più let­te­rale, in cui eccel­leva), capace ogni volta di fare i conti con la società che si andava svi­lup­pando nelle tumul­tuose ondate di quella «moder­niz­za­zione», le cui con­trad­di­zioni ed i cui limiti si sono poi rive­lati tra­gi­ca­mente nel corso degli anni seguenti, e ancora oggi scontiamo.

C’è un testo del 1985 in cui ram­men­tando l’autunno del ’68, Solmi anno­tava: «Ricordo una mat­tina, in tram – e non era un’esperienza unica o ecce­zio­nale in quei giorni, — gli stu­denti e le stu­den­tesse che anda­vano a scuola, e che si rac­con­ta­vano reci­pro­ca­mente quel che era acca­duto nelle rispet­tive scuole e in quei giorni, con un’immediatezza, una spon­ta­neità, come se tutte le bar­riere fos­sero cadute: c’era un’esperienza comune di cui si poteva par­lare». Pro­se­guiva poi, con un rilievo con­so­nante con le osser­va­zioni di De Cer­teau sulla «presa della parola»: «Non è durato molto, forse, nel senso che ben pre­sto si sono aggiunti anche altri ele­menti che hanno alte­rato o adul­te­rato la purezza ori­gi­na­ria del movi­mento. Que­sta purezza si mani­fe­stava, fra l’altro nella lin­gua, nel lin­guag­gio, nel modo di espri­mersi e di comu­ni­care degli stu­denti». Lo ricor­diamo così, men­tre guarda ai gio­vani e a quanto è in movi­mento; e con i versi che gli dedicò Franco For­tini, che por­tano un’altra data cru­ciale, quella del 1956 (Ven­te­simo Con­gresso): «Una mat­tina di febbraio/ gri­gio gen­tile ghiaccio/ nello sventolio/ delle edi­cole, balzo e riso,/ deli­zioso ful­mine, le mani gli occhi dell’amico/ con­vulso, con l’articolo/ man­giato dal vento: Il vento/ — diceva ridendo fra i denti –/ il vento della sto­ria, che ci precipita!»

fonte: il manifesto

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Paul Klee – Angelus Novus

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Su Renato Solmi di Luca Baranelli

intervista a Renato Solmi

 


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