C’è un avvenire per la sinistra? Dibattito a Roma

C’è un avvenire per la sinistra? Dibattito a Roma

L’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra e Critica Marxista in occasione dell’uscita del numero 5/2014 della rivista promuovono un dibattito aperto dal saggio di Alfiero Grandi , Presidente Ars, sul tema: 

C’è un avvenire per la sinistra? 

Mercoledì 17 dicembre ore 16, sala Fredda, via Buonarroti 12 c/o Cgil Roma-Lazio

Apertura di Aldo Tortella – Direttore di Critica Marxista
intervengono: Prof. Piergiovanni Alleva, Maurizio Acerbo, On. Giuseppe Civati, Sen. Loredana De Petris, On. Stefano Fassina, On. Nicola Fratoianni, Sen. Claudio Grassi, Franco Martini segretario confederale, Cgil, On. Barbara Pollastrini, prof. Michele Prospero, Sen. Lucrezia Ricchiuti, Lanfranco Turci
intervento conclusivo di Alfiero Grandi

Anticipiamo il saggio di Alfiero Grandi in uscita sul numero 5/2014 di Critica Marxista:

DISCUTENDO LA SINISTRA

Alfiero Grandi

La sinistra deve ritrovare ruolo e identità ridefinendo e rilanciando l’intervento pubblico, proponendo una nuova qualità dello sviluppo con al centro l’uguaglianza, la buona occupazione, la partecipazione, la crescita dei diritti. Il nodo del Pd e le ipotesi di una nuova forza politica.

La sinistra ha bisogno di una rinascita politica e ideale, altrimenti potrebbe declinare verso la marginalità.

Per comprenderne la crisi occorre andare con coraggio alla radice dei problemi. La sinistra in Italia è in una crisi particolarmente grave perché ha subito sconfitte cocenti, tra cui una crescente divaricazione tra i redditi, che è un aspetto importante dell’esplosione dell’ineguaglianza sociale. La sinistra è oggi divisa, frantumata, incapace di proporre un’alternativa credibile ed è fin troppo spesso subalterna alle ideologie delle classi dominanti, di cui la campagna contro l’articolo 18 è forse il frutto più immediato, certo non l’unico.

La crisi della sinistra in Italia si è manifestata nell’incapacità di costruire con continuità e forza un’alternativa credibile alla destra egemonizzata per venti anni da Berlusconi, verso la quale troppe volte ha finito con il manifestare subalternità e si è dimostrata incapace di ribaltarne le priorità politiche.

In verità la crisi della sinistra non è solo italiana, perché la crescita della globalizzazione ha aperto una sfida politica altrettanto globale alle ragioni fondanti della sinistra, proprio quando le forme di solidarietà sociali e politiche a livello sovranazionale sono cadute al punto più basso da decenni. Dopo la caduta del “muro” e la crisi dei paesi del socialismo reale c’è stato un allentamento dei legami nelle organizzazioni internazionali che fanno riferimento al movimento operaio, fino a una loro perdita di ruolo, in particolare della socialdemocrazia e del sindacato che pure – paradossalmente – è oggi riunito in un’unica organizzazione internazionale.

Più la sfida è diventata globale e più l’ottica delle scelte politiche, economiche, sociali della sinistra è rimasta nazionale e quindi inadeguata, spesso subalterna ai diktat del Fmi e della Bce, del neoliberismo dominante nel mondo. Il “pensiero unico” ha in questo le sue radici.

Pesa in modo evidente la scarsa convinzione che sia possibile costruire un mondo più equo e più giusto e il sistema economico di mercato come lo conosciamo sembra essere spesso l’unico possibile. I disastri sociali del neoliberismo in questo modo danno origine a un brontolio di fondo, a un disagio sociale crescente, perfino a una ribellione che restano tuttavia senza sbocchi alternativi credibili.

L’intervento pubblico

La sinistra, a partire da quella italiana, deve ridisegnare un ruolo articolato su base nazionale e sovranazionale (europeo, ma anche internazionale) dell’intervento pubblico, che deve qualificarsi anzitutto per le sue proposte di cambiamento economico e sociale del modello di sviluppo attuale, per la capacità di guida dei processi di innovazione.

Il recente libro di Mariana Mazzucato, Lo Stato innovatore, conferma che è necessario un ruolo pubblico a partire dallo Stato per affrontare in un’ottica non contingente la soluzione dei problemi.

Chi vuole difendere il dominio delle classi dominanti non ha bisogno di cambiare in profondità, ma chi vuole cambiare gli assetti e i rapporti di forza, al contrario, ha bisogno del ruolo dell’intervento pubblico, dei suoi strumenti, per potere realizzare il cambiamento. Il ruolo di governo che la sinistra può e deve esercitare, tanto più in questa fase, trova la sua ragione di fondo nel bisogno di cambiamento dell’economia, della società, dell’etica pubblica e ha quindi bisogno di una strumentazione pubblica di intervento e anche per questo deve porsi il problema della riforma del suo funzionamento.

La sinistra ha bisogno della sfera dell’intervento pubblico per guidare i processi economici e sociali e questo conferma che i cambiamenti possono essere positivi o negativi, di destra o di sinistra, mai neutri. La coppia innovazione/conservazione non sostituisce affatto quella destra/sinistra, perché gli esiti sono diversi a seconda dei valori e dei riferimenti sociali.

Vi è una novità ancora non sufficientemente metabolizzata dalla sinistra ed è il ruolo egemonico della sfera finanziaria nei processi economici e decisionali, nei processi di accumulazione e di dislocazione delle risorse. La finanza ha ormai assunto un livello egemone nell’economia trasformando nel profondo l’essenza stessa e i rapporti di forza nel capitalismo. La rete delle attività finanziarie, cresciute a dismisura e pervasive, è infatti la più vasta e adatta a sfruttare tutte le forme di attività e a intervenire negli ambiti più svariati, compresi quelli della vita e della salute delle persone – ridotte anch’esse a merce con lo scopo di trarne profitto – e della privatizzazione dei servizi e dello Stato sociale, senza alcun riguardo per i diritti delle collettività locali.

Il potere della finanza

In sintesi la finanza rappresenta la fase attuale dell’espansione della logica del profitto, la cui accumulazione avviene rastrellando risorse in modo pervasivo, in tutti gli ambiti di attività. Come ha denunciato Strada, ad esempio, la logica del profitto applicata alla sanità aumenta i costi a carico dello Stato e contemporaneamente nega il diritto alla salute a un’area crescente di cittadini.

Per questo è cresciuta a dismisura la distorsione strutturale dell’economia che privilegia gli investimenti finanziari rispetto a qualunque altra forma di attività economica.

Siamo tuttora dentro la crisi scoppiata più di sei anni fa – temporalmente la più grave dopo quella del 1929 – che non a caso è iniziata nel settore finanziario e ha distrutto finora, solo in Italia, oltre un milione di posti di lavoro e raddoppiato il numero dei disoccupati. L’Italia che uscirà dalla crisi sarà molto diversa da quella precedente.

La crisi non è una parentesi tra il prima e il dopo, ma l’occasione di una trasformazione profonda che – se non governata – lascerà un paese più ingiusto, più debole, con una rigida gerarchia sociale. Si sottovaluta ad esempio che la via di uscita liberista dalla crisi comporterà costi sociali ed economici molto maggiori di quelli finora sopportati. Le attività finanziarie sono oggi già tornate al volume dei livelli pre-crisi e in qualche caso li hanno addirittura superati, accrescendo ancora di più la distorsione che porta i movimenti di denaro a creare altro denaro, prescindendo da qualunque rapporto con l’economia reale.

È stato calcolato che nel mondo tre giorni di attività finanziarie sono effettivamente legate alle attività economiche materiali e immateriali che si svolgono in un intero anno; gli altri 362 giorni di attività finanziarie non hanno alcun rapporto con le attività economiche reali.

Derivati ed edge fund la fanno largamente da padroni; dieci banche nel mondo detengono la metà di tutte le attività finanziarie. La concentrazione e la pervasività del potere finanziario sono impressionanti, la sua influenza sulla politica enorme, i suoi finanziamenti decidono spesso l’elezione dei rappresentanti.

La finanza è l’aspetto più astratto e lontano possibile dall’economia reale, agisce senza considerare alcun criterio politico, economico, sociale, ambientale, umano che non sia legato all’accrescimento dei profitti attraverso la riproduzione del denaro.

Non a caso i redditi legati a queste attività finanziarie sono quelli cresciuti in modo esponenziale, senza alcun rapporto con gli altri redditi: sono la ragione principale della crescita della diseguaglianza tra i redditi e nella società.

È per lo meno inadeguato e parziale concentrare l’attenzione solo sulla divaricazione dei redditi nel settore pubblico, problema che pure esiste, perché questo divario non è in alcun modo paragonabile a quello che si è creato tra chi gestisce le attività finanziarie e i redditi da lavoro. La discussione sui redditi alti è tutta concentrata sulla sfera politica e sui dipendenti pubblici, nulla viene detto sulle divaricazioni nel settore privato dove i moltiplicatori sono arrivati a livelli stratosferici, senza che questo venga sottolineato.

Quando l’Istat ci informa che i primi dieci percettori di reddito in Italia guadagnano quanto mezzo milione di lavoratori dipendenti parla delle divaricazioni nel settore privato, che sono in assoluto quelle maggiori, ben oltre 400 volte il salario medio, livello che pure aveva destato scandalo.

Il profitto delle attività finanziarie arriva come risultato del più alto grado di astrazione e di generalizzazione ed è in grado di egemonizzare il resto dell’economia e della politica. In questa crisi l’Europa ha iniettato nel sistema finanziario a vario titolo 4500 miliardi di euro, mentre non ha trovato le risorse necessarie per fare ripartire l’economia e tanto meno per garantire l’occupazione, obiettivi per i quali bastava una piccola frazione di questa enorme cifra. Basta ricordare che il piano poliennale di investimenti promesso da Juncker – tutto da verificare – è di appena 300 miliardi di euro.

Gli Stati Uniti e l’Europa hanno perso l’occasione per regolare i mercati quando la reazione dell’opinione pubblica ai disastri finanziari avrebbe appoggiato questa iniziativa. Così si è persa l’occasione di introdurre limiti e divieti ai movimenti finanziari. Queste regole potevano essere tali da mettere sotto controllo i movimenti dei capitali e delle attività finanziarie, gli unici veramente liberi e pressoché senza controlli sui loro movimenti nel mondo globale.

Al contempo è in pieno svolgimento una trattativa semisegreta tra Unione Europea e Stati Uniti per realizzare un mercato unico tra i due continenti praticamente senza controlli, sconvolgendo lo Stato sociale a dominanza pubblica e perfino senza garanzie per la salute dei cittadini. Questa trattativa va bloccata e portata alla conoscenza dei cittadini.

La sinistra deve aggiornare la sua analisi e le sue proposte superando il complesso che le deriva dai fallimenti e dagli errori del passato. La fine dei blocchi e della guerra fredda sono un fatto positivo e hanno offerto l’opportunità per rifondare le basi politiche e culturali della sinistra, anche se una parte di essa ha assimilato valori e comportamenti dei vincitori.

Il rilancio della sinistra

L’occasione di un rinnovamento politico e culturale della sinistra fino a ora non è stata sostanzialmente colta. Anzi spesso la nuova realtà del capitalismo è stata il punto di partenza per accentuare la subalternità culturale e politica al neoliberismo. La caduta di alternatività è all’origine della crisi della sinistra, che ha prodotto allontanamento dal voto e contribuito a lasciare campo libero alla crescita di consistenti movimenti di protesta su altre basi politiche e culturali. La stessa socialdemocrazia europea ha subito un lento declino che ne ha minato la credibilità come forza alternativa alla destra liberista, mentre ancora più a destra crescono spinte populiste e reazionarie di varia natura, vecchie e nuove.

In Italia il problema è come rimettere in campo una sinistra capace di rilanciare un’alternativa politica, economica e sociale, che abbia il necessario respiro europeo e mondiale e quindi si ponga anzitutto il problema di un orizzonte europeo.

Il sistema capitalistico italiano, in evidente difficoltà, ha tentato la via d’uscita della concorrenza al ribasso, inseguendo la svalutazione del lavoro come via principale per competere, con risultati disastrosi che hanno portato il nostro paese a essere quello con il più alto debito pubblico e lo sviluppo più basso, e – malgrado un mercato del lavoro centrato sulla precarietà – con una crisi occupazionale soprattutto tra i giovani che ha raggiunto livelli devastanti, oscurando il futuro di intere generazioni. Fino ad arrivare a livelli di povertà sconosciuti in precedenza in Italia, tali da colpire anche le persone che lavorano, dando vita al fenomeno dei lavoratori poveri, prima sconosciuto nel nostro paese.

La svalutazione del lavoro è diventata la via di fuga dalla crisi del capitalismo italiano e ha sostituito il ruolo che in passato ha svolto la svalutazione della moneta.

La via della svalutazione del lavoro, della sua precarizzazione di massa si è dimostrata sempre più un vincolo negativo per lo sviluppo stesso, perché la domanda si è contratta proprio in forza della caduta dei redditi da lavoro sul Pil, che è stata di 15 punti in poco più di venti anni.

Il capitalismo italiano è vittima delle sue stesse miopi scelte ed è destinato a rimanerne condizionato perché insiste sulla precarizzazione – come conferma anche il provvedimento che il governo Renzi ha adottato generalizzando il lavoro a tempo determinato – sull’abbassamento dei diritti e di conseguenza delle retribuzioni – come avverrà ora con il Jobs Act – modificando così negativamente e in modo strutturale le caratteristiche del modello economico e creando un ambiente sfavorevole alla produttività e alla crescita. Precarietà e produttività sono scelte antitetiche.

Le scelte della sinistra

La stagnazione della situazione economica italiana rischia seriamente di trovare una via d’uscita solo in un peggioramento ancora più drastico delle condizioni di lavoro, in una divaricazione ulteriore dei redditi,  ripercorrendo di fatto le orme della Grecia e di altri paesi che hanno subito i diktat della troika europea. Non bisogna commettere l’errore di pensare che non c’è una via di uscita liberista dalla crisi: esiste, ma ha prezzi sociali pesantissimi.

Di questo passo il futuro sarà ancora più ineguale e iniquo del passato: non a caso durante la crisi la ricchezza si è concentrata ancora di più nelle mani di pochi.

La sinistra deve scegliere se restare nell’ambito – pressoché inesistente – degli spazi “compassionevoli” offerti da questa via neoliberale e conservatrice, o se scegliere di costruire una sua proposta alternativa, rigorosamente democratica, al sistema economico attuale.

La discussione sulla possibilità di superamento del sistema capitalistico come lo conosciamo oggi è del tutto attuale, ma deve raccordarsi con le condizioni di urgenza delle risposte necessarie ai problemi, con il qui e ora.

La sinistra deve mettere al centro della sua prospettiva politica ed economica le proposte concrete per imporre i cambiamenti strutturali necessari e indispensabili per una nuova qualità dello sviluppo, con al centro l’uguaglianza, la buona occupazione, la partecipazione alle scelte, la crescita dei diritti nei luoghi di lavoro e nella società.

Il capitalismo nelle forme attuali non è un fenomeno naturale, inevitabile, né tanto meno è l’unico possibile. Il mercato non è in grado di autoregolarsi e di garantire un miglioramento progressivo della vita a tutti, quindi la sinistra ha potenzialmente le condizioni per porre in concreto la realizzazione dei suoi ideali socialisti e di uguaglianza.

Non è pensabile tornare allo sviluppo precedente come sembrano pensare molti, quasi che la crisi fosse solo una lunga pausa in un glorioso cammino di progresso. Per questo occorre intervenire sui fondamenti del meccanismo economico attraverso un nuovo rapporto tra intervento pubblico e mercato, per un uso responsabile e sociale dell’accumulazione.

In questo senso i valori scritti nella Costituzione sono più che mai validi e possono costituire tuttora i punti di riferimento per una piattaforma politica fondamentale di azione e per modificare e qualificare sostanzialmente il modello economico e sociale attuale.

Per questo il lavoro, la sua qualità, la sua partecipazione alle scelte, il suo ruolo dirigente debbono essere rimessi al centro della costruzione di un’alternativa politica e sociale. La riunificazione del mondo del lavoro subalterno, la solidarietà generale nell’affrontare le scelte, la valorizzazione del lavoro e la sua redistribuzione, il superamento della precarietà sono tutti punti chiave degli interventi oggi necessari.

Il superamento della precarietà in particolare è la condizione stessa per uno sviluppo degno di questo nome. È impressionante sapere che un paese invecchiato come l’Italia, che avrebbe un disperato bisogno di aumentare le nascite, ha avuto una caduta di oltre 60.000 nascite nel periodo più buio della crisi e per di più è arrivato a un’emigrazione annuale di quasi 100.000 giovani che cercano risposte in altri paesi.

La ricostruzione della struttura dello Stato sociale ha bisogno di mettere al centro strumenti per il lavoro, in grado di agire tra esperienze di lavoro e per l’uscita dal lavoro e costruendo insieme strumenti per la generalizzazione di garanzie contro la povertà, l’abbandono, l’emarginazione. La questione centrale, nei diversi aspetti dei problemi, è affrontare con decisione il superamento della precarietà e dell’emarginazione di milioni di lavoratori e la condanna alla disoccupazione che emargina e precarizza milioni di giovani e ragazze, lavoratori o potenzialmente tali, che oggi non hanno un’adeguata rappresentanza.

La riunificazione del mondo del lavoro subalterno passa anzitutto per la capacità della sinistra di affrontare questi problemi. La tentazione delle classi dirigenti è di risolvere le crescenti contraddizioni, le inevitabili fratture sociali e le tensioni conseguenti con una centralizzazione semplificatoria e decisionista, in ultima analisi con una potenziale deriva autoritaria, di cui l’insistenza sulla governabilità è la foglia di fico istituzionale. L’origine della svolta decisionista è nell’impresa, il livello istituzionale ne consegue. Cancellare l’autonomia del senato, ricentralizzare compiti affidati alle regioni, approvare una legge elettorale che sancisce un maggioritario sproporzionato e azzera la rappresentanza politica di milioni di votanti sono le conseguenze di un vento decisionista che soffia forte dalle imprese.

La sinistra italiana, purtroppo, non ha saputo capitalizzare l’importante esperienza dei movimenti che nel 2011 hanno vinto i referendum abrogativi sull’acqua e sul nucleare, costruendo un’occasione straordinaria di partecipazione attiva e di mobilitazione. La sinistra spesso li ha più subiti che apprezzati e comunque rapidamente accantonati. Invece erano una straordinaria opportunità di rinnovamento.

Nel nostro paese ci sono tuttora molti fermenti che si esprimono attraverso movimenti per obiettivi e iniziative nel territorio e che rappresentano forme importanti di volontà popolare di massa, quindi di partecipazione, che invece spesso trovano sordità nella politica, anche di sinistra, incapace di raccogliere queste spinte per volgerle positivamente alla trasformazione sociale del nostro paese. Con la contrazione degli spazi di democrazia e di partecipazione si tenta di mettere sotto controllo le spinte di novità che vengono dalla società.

Le iniziative prese dal governo Renzi infatti affrontano temi come le riforme costituzionali ed elettorale con proposte di semplificazione decisionista e autoritaria in nome della governabilità a ogni costo, fino a stravolgere l’equilibrio tra i poteri previsto dalla Costituzione e la stessa rappresentanza elettorale, pensando così di mettere in condizione di non nuocere la protesta sociale e morale. In sostanza, se c’è la febbre si preferisce rompere il termometro.

I recenti risultati elettorali sono minacciosi verso il processo unitario europeo e vanno nella direzione di una stretta sul lavoro e sugli spazi democratici, oltre quanto è già in atto ad esempio in Ungheria.

Eppure la protesta e l’insoddisfazione hanno raggiunto livelli mai visti, che si manifestano con un astensionismo crescente e con il sostegno a movimenti di protesta, spesso forti e di massa. In questi movimenti si incrociano aspetti diversi che a volte pongono problemi reali, anche se in modo sbagliato, che vanno compresi e risolti.

Sarebbe un errore non capire che la questione dei comportamenti – basta pensare alla dilagante corruzione – è importante e non a caso è al centro di critiche violente, anche se spesso con soluzioni discutibili o addirittura sbagliate come quelle che hanno tolto il finanziamento ai partiti e che finiscono con il rendere pressoché impossibile l’esercizio della politica a chi non ha ricchezze proprie. Senza dubbio la credibilità di qualunque proposta politica oggi ha un presupposto ineliminabile nella credibilità dei comportamenti e la sinistra ha nella sua storia elementi che possono essere recuperati

L’egemonia conservatrice europea in questi anni ha svolto un ruolo devastante perché ha imposto in tutto il continente, Italia compresa, le sue idee e le sue politiche creando reazioni negative verso la stessa idea di Europa, vista sempre più come un vincolo negativo, anziché come un’opportunità.

Fiscal compact e altri patti europei restrittivi hanno affrontato la crisi con azioni che l’hanno aggravata e per di più il parlamento italiano, con il consenso del Pd, ha modificato la stessa Costituzione imponendo il pareggio di bilancio, iniziativa neppure obbligata dalle regole stabilite dalle regole conservatrici europee. Questa modifica costituzionale è stata fatta nel modo peggiore, impedendo ai cittadini di rendersi conto delle decisioni prese ed impedendo perfino il referendum confermativo.

Sinistra politica e sindacato

Anche le rappresentanze sociali del mondo del lavoro, anzitutto i sindacati, hanno visto fortemente comprimersi il loro ruolo e il governo Renzi, da ultimo, si è caratterizzato per un inaccettabile attacco al ruolo strutturale del sindacato nella dialettica democratica e sociale, in rappresentanza dei lavoratori. Eppure la rappresentanza del mondo del lavoro è fondamentale per la sinistra, altrimenti tutto si riduce alla delega nella fase del voto, negando così le esigenze crescenti di partecipazione alle scelte.

Più le scelte politiche ed economiche sono impegnative e più è necessario un sostegno di massa, altrimenti si scivola verso riforme senza popolo e prima o poi contro di esso. Nella storia dell’Italia le organizzazioni sociali, in particolare il sindacato, hanno svolto un ruolo importante. Negarne il ruolo o puntare a saltarle per rivolgersi direttamente ai lavoratori ridotti a corpo elettorale è un grave impoverimento della democrazia, di ispirazione populista, e comunque inaccettabile per la sinistra. Questi atteggiamenti potrebbero portare a risultati negativi inaspettati e a sorprese anche per il Pd.

La sinistra deve stringere più forti legami con le rappresentanze del mondo del lavoro, senza inseguire idee di collateralismo e modelli superati, ma con l’obiettivo di cogliere tutte le potenzialità del contributo che il loro apporto può dare a una strategia di rilancio della sinistra in Italia, contribuendo anche alla soluzione del problema da tempo aperto della rappresentanza e della rappresentatività sindacale attraverso una riforma legislativa.

Puntare a indebolire il sindacato è un grave errore che la sinistra non può e non deve permettere, né tanto meno commettere.

La sinistra deve puntare a ridare credibilità e forza all’iniziativa pubblica, cosa che può avvenire solo con la crescita della partecipazione e del controllo sociale, riprendendo le migliori esperienze di partecipazione alle scelte politiche ed economiche e alle iniziative per l’affermazione di diritti fondamentali.

Nella storia recente della sinistra italiana si sono sedimentate formazioni politiche che non hanno raggiunto sufficiente solidità, credibilità e stabilità. Alcune formazioni sono deboli e in ogni caso divise e in polemica tra loro, mentre il Pd manifesta sempre più l’evoluzione verso un partito del leader, che per di più oggi è anche il Presidente del Consiglio, evoluzione che il successo alle elezioni europee è destinato – piaccia o non piaccia – a consolidare. Con il rischio concreto di uno scivolamento del Pd verso un ruolo neocentrista, di partito strutturato per governare ad ogni costo, come sembra alludere anche l’ideologia del partito nazione, che è una contraddizione in termini.

La lista Tsipras ha superato di un soffio la soglia di sbarramento e ha invertito la tendenza all’esclusione dal Parlamento europeo di forze della sinistra, svolgendo un ruolo di costrizione esterna antiframmentazione.

Questa è stata la sua forza, ma è anche il suo limite. Questa esperienza per certi versi conferma l’esigenza di costruire una forza di sinistra, anche se la sua costruzione non può essere ridotta al trascinamento di questa esperienza, perché occorre superare le divisioni e le rotture che storicamente l’hanno frammentata. La scelta di ripensare alla ricostruzione della sinistra deve inevitabilmente fare i conti con il Pd, che oggi raccoglie insieme aspetti di centro e di sinistra, ma che sta evolvendo verso un partito centrista e pigliatutto.

In campo per il futuro della sinistra ci sono diverse proposte, il risultato dipenderà largamente dalla sua capacità di definire un suo profilo politico adeguato, tanto più dopo le elezioni europee che hanno dato al Pd un successo dal quale è impossibile prescindere, pena la marginalità, ma di cui nello stesso tempo occorre non essere succubi, pena lo stesso risultato.

L’assetto politico attuale della sinistra non è convincente e rischia di portarla ai margini della competizione politica ed è quindi del tutto aperto e irrisolto il problema di dare vita in Italia a una sinistra stabile e unitaria, tale da portare in Italia e in Europa la sua sfida al neoliberismo tuttora dominante, malgrado i disastri della sua politica. Questo è un compito che la sinistra deve svolgere lavorando su sé stessa e che riferimenti o costrizioni esterne non possono risolvere, o almeno non sostituire.

L’esigenza di ricostruire la sinistra è evidente, del tutto da risolvere sono le condizioni per farlo.

Resta centrale l’esigenza che la sinistra acquisisca un patrimonio culturale e politico tale da darle il carattere distintivo e alternativo necessario e indispensabile per la sua affermazione politica e partitica, come dirigente collettivo in rappresentanza anzitutto del mondo del lavoro subalterno, in questo aprendosi a recuperare contenuti e argomenti oggi monopolizzati largamente dal M5S, che purtroppo li agita in una chiave prevalentemente antipolitica, con pulsioni demolitrici, perfino foriere di pericoli per l’assetto democratico del nostro paese.

Centrale per la sinistra deve essere l’affermazione dell’uguaglianza, dei diritti delle persone, a partire da quelli sul lavoro, del valore della differenza di genere e del ruolo essenziale dell’ambiente, che è insieme un obbligo e un’opportunità, e che spingono verso l’esigenza di modificare in profondità il modello di sviluppo, affermando un’idea forte di partecipazione non solo di monadi individuali, ma delle forme collettive di organizzazione.

Altro dalle scelte di Renzi. La piattaforma politica della sinistra deve partire da un grande rilancio della cultura e dell’educazione, oggi mortificata perfino nel diritto costituzionale all’istruzione fino al massimo grado. Infatti l’abbandono scolastico è in Italia oltre il 17 %, molto sopra la media europea.

Un fisco equo fondato sull’uguaglianza del prelievo su tutti i redditi, senza guarentigie per nessuna fonte, su una forte progressività, su una lotta senza quartiere all’evasione sono la condizione per trovare le risorse necessarie per occupazione, ripresa di qualità sociale e ambientale e risanamento delle finanze pubbliche ed è condizione per reggere un nuovo assetto dello Stato sociale. Lo Stato sociale deve garantire diritti essenziali, a partire da quello alla salute, oggi negato negato di fatto a dieci milioni di italiani, così occorre garantire l’assistenza alle persone in difficoltà, una pensione adeguata, mentre i giovani hanno già oggi una aspettativa di riduzione pensionistica del 16% a parità – peraltro inesistente – di condizioni lavorative, una pensione che deve essere conseguita in tempi accettabili e risolvendo immediatamente la vergogna degli esodati.

Cultura, istruzione pubblica, patrimonio culturale, ricerca vanno spinti fino al massimo grado e debbono essere motori essenziali dello sviluppo.

La favola che il mercato si autoregola e l’unico problema da risolvere sarebbe liberarlo dai vincoli è priva di fondamento. Occorre che vengano introdotte modalità di guida dei processi economici, a partire da quelli finanziari, con strumenti adeguati e capacità di programmazione degli aspetti fondamentali del futuro economico e sociale.

La programmazione dello sviluppo, dell’allocazione delle risorse, della crescita dei redditi da lavoro e della tutela generale per tutti i cittadini in materia di diritti costituzionalmente garantiti, l’adozione di un’adeguata strumentazione per realizzare gli obiettivi fondati sulla crescita della partecipazione, possono costituire elementi caratterizzanti di una nuova sinistra che punta a costruire un’alternativa al dominio unilaterale del mercato.

Venti di guerra

La dimensione sovranazionale per la sinistra è fondamentale sotto il profilo politico ed istituzionale. Oggi non si può restringere l’orizzonte ad un’alternativa politica ed economica in un paese solo, ma neppure si può soggiacere ai diktat che vengono dalle centrali internazionali al di fuori di ogni controllo democratico. Senza dimensione internazionale la sinistra perde, ma questa dimensione della sfida non può essere l’alibi per subire i processi esterni, a partire dall’Europa.

Occorre pensare ad un’altra economia e ad un’altra società che non sia più basata su gerarchie sociali opache, occulte quanto inattaccabili, ma che metta al centro il lavoro e l’insieme dei diritti dei cittadini.

La crisi ambientale impone un cambiamento di fondo del modello di sviluppo, pena la messa in discussione della possibilità stessa di esistenza. Un nuovo modello di sviluppo è indispensabile se non si vuole correre il rischio di una regressione della qualità della vita e dell’ambiente. La spesa per armamenti è ormai incompatibile con la vita: stessa, sia per gli enormi costi, che per i pericoli e per la minaccia di distruzione che incombono sulla vita, per questo occorre reintrodurre nella discussione politica la riduzione degli armamenti a partire da quelli nucleari. La compressione dell’occupazione, dei salari, dei diritti è ormai un vincolo negativo per lo sviluppo che rischia di riguardare sempre più soltanto una parte della società.

Non possono essere sottovalutati i venti di guerra che soffiano in diverse parti del nostro pianeta. Il richiamo del Papa a una sorta di terza guerra mondiale strisciante è una denuncia forte. In realtà nessuna delle iniziative militari promosse negli ultimi decenni ha reso più stabile la situazione, basta pensare all’Iraq, all’Afghanistan, alla Libia, solo per citare alcune delle situazioni più conosciute di destabilizzazione; e questo malgrado interventi militari massicci e devastanti.

In realtà solo una combinazione di iniziative nelle aree di crisi da parte dell’Onu, tolto dalla zona d’ombra in cui è stato messo da tempo, e la scelta del dialogo come via maestra per risolvere i conflitti, come del resto recita l’articolo 11 della nostra Costituzione, possono consentire di rilanciare una fase di distensione, di disarmo, di netta riduzione delle spese militari nel mondo e in questo quadro l’Italia deve scegliere con decisione da subito la loro riduzione, iniziando dalla rinuncia agli F 35 e ad altri investimenti militari costosi, inutili e dannosi.

È preoccupante che l’Onu sia ormai ignorato dai gruppi dirigenti nazionali, non solo degli Stati Uniti, che decidono iniziative militari senza neppure cercare la legittimità delle decisioni che andrebbero adottate nelle sedi internazionali giuste.

Nelle recenti elezioni europee si è espressa in Italia una richiesta di cambiamento, che ha fatto emergere la diffusa volontà di evitare salti nel buio. Tuttavia il pericolo di una crisi democratica resta e la fiducia data è in attesa dei risultati promessi. È del tutto inadeguata la riflessione sulle responsabilità dell’attuale legge elettorale per i Comuni nel favorire la formazione di consorterie di potere e talora di malaffare a livello locale, dove la possibilità di decidere senza intralci sostanziali non ha affatto fermato episodi di corruzione. Le risposte in campo non sono tranquillizzanti e in particolare non lo è l’idea di risolvere i problemi che generano tensioni e contrasti riducendo drasticamente la loro rappresentanza politica e ridimensionando quella sociale, anzi tentando sostanzialmente di portare a livello nazionale il sistema elettorale per i comuni, né si intravvede un risultato di occupazione e sviluppo dall’estensione della precarietà, né basta per una ripresa di qualità occupazionale e ambientale una manovra di politica economica centrata solo sugli 80 euro, né sono alle viste novità significative negli orientamenti neoliberali europei.

Prima ancora che siano approvate le modifiche costituzionali che riducono i poteri delle regioni sono già in corso iniziative del governo che danno mano libera a interventi di estrazione di gas e petrolio senza le necessarie garanzie ambientali.

Il cambiamento ha bisogno della sinistra, ma la sinistra deve tornare ad essere sinonimo di un cambiamento credibile e socialmente qualificato. Per farlo ha bisogno di avanzare una sua proposta di cambiamento. La sinistra deve essere tale anzitutto per una credibilità ritrovata dei suoi esponenti – che è un elemento coerente con i suoi indirizzi ideali e programmatici – introducendo con chiarezza le regole da seguire per coloro che aspirano a ruoli dirigenti e istituzionali. Il tema dei comportamenti e delle regole è stato sottovalutato pesantemente e da questo errore nascono non poche delle tensioni antipolitiche e anche antistituzionali. Ovviamente la responsabilità della destra è di tutta evidenza, ma quella della sinistra è di non avere dimostrato sufficientemente la sua diversità, la sua alternatività politica ed economica, prestando il fianco ad un attacco generalizzato alla politica senza distinzioni.

Occorre correggere la rotta per non perseverare diabolicamente nell’errore. Per questo va messo a tema il problema di come ricostruire nelle attuali condizioni politiche e sociali una sinistra che abbia punti di unità ideale e di iniziativa politica, che abbia un rapporto fondamentale con il mondo del lavoro, che punti alla sua rappresentanza, naturalmente di quello di oggi, con i suoi problemi e le sue contraddizioni.

Verso una nuova forza politica?

Le condizioni per dare vita a una formazione politica di sinistra, esigenza sentita da molti, non sembrano oggi del tutto mature.

In questa fase l’accento può essere posto sul merito delle scelte, cercando di creare un ambiente, un vissuto ideale e politico comune, anche attraverso sedi comuni di elaborazione, come premesse indispensabili per le conseguenti scelte organizzative. Infatti le scelte organizzative non debbono diventare l’assillo consolatorio per superare le difficoltà politiche che pesano su tutta la sinistra.

Anche in passato ci sono state esperienze che si sono rivelate scorciatoie organizzative e che non hanno avuto né il necessario respiro politico e ideale, né grande fortuna.

Occorre porsi con chiarezza il problema dello spessore politico dei fondamenti che possano costituire le basi di una nuova forza politica di sinistra, e quindi delle scelte politiche di fondo, altrimenti l’attrazione del potere esistente resterà un vincolo difficilmente aggirabile.

Il nodo più difficile da superare riguarda quella sorta di giuramento fatto da un intero gruppo dirigente sulla scelta di dare vita al Pd. La discussione su una ipotesi di scissione non sembra impostata correttamente. L’allontanamento silenzioso è in corso da tempo. Quindi una scissione silenziosa è in atto, ma non sembra destare grande interesse nel gruppo dirigente del Pd. La stessa idea di costruire in Italia un partito di sinistra pluralista e democratico è contraddetto dal leaderismo dominante e da richiami alla disciplina sulle decisioni prese dal leader di stampo sovietico, che puntano a ottenere omogeneità a ogni costo. Il problema da risolvere è se il Pd è in grado di essere il veicolo per fare diventare classe dirigente i lavoratori, tutti i lavoratori, oppure no. La risposta a questo interrogativo può aiutare a sciogliere un nodo difficile, su cui è stata spesa molta retorica e tanta imitazione di un modello americano che sappiamo essere in realtà molto diverso dalla sua applicazione nostrana – basti pensare alle primarie.

Mettere in discussione scelte compiute non è mai semplice, ma in questo caso è indispensabile, altrimenti tutto resta fermo, in attesa. Il Pd può avere un’evoluzione come partito di sinistra e se sì a quali condizioni? O semplicemente il Pd è irriformabile e va superato per consentire la formazione di una forza politica di sinistra?

È la risposta a questi interrogativi che deciderà dei comportamenti futuri.

Il timore che la caduta di Renzi apra un vaso di pandora ingovernabile è in parte comprensibile, ma neppure si può per questo restarne paralizzati, subendo scelte inaccettabili. Inoltre è evidente che più il tempo  passa, più si consolida un’identificazione delle sorti del Pd con quelle del suo leader: simul stabunt, simul cadent. Né tanto meno si può regalare alla destra il tempo di ricostituirsi e di diventare l’unica alternativa in campo a Renzi. La sinistra in entrambi i casi sarebbe fuori gioco. C’è la necessità di preparare una proposta politica a sinistra che consenta di mettere in campo un’alternativa, in grado di condizionare Renzi seriamente, se è possibile, oppure di aprire un nuovo orizzonte, con l’ambizione di prenderne il posto.

Alfiero Grandi

critica marxista

 


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