Non c’è Carta che tenga

Non c’è Carta che tenga

di Andrea Fabozzi – da il manifesto

Riforme. La commissione della camera chiude l’esame della nuova Costituzione firmata Renzi e Boschi. Passano solo modifiche marginali. Opposizioni respinte, leghisti e grillini fuori, la minoranza Pd sceglie di non fermare il governo

Nel giorno più lungo delle riforme costi­tu­zio­nali in com­mis­sione alla camera, la mino­ranza del Pd ha il tempo di cam­biare più volte stra­te­gia. Prima la minac­cia del muro con­tro muro che non avrebbe con­sen­tito al governo di andare avanti, poi l’Aventino — «sosti­tui­teci tutti» — poi una sem­plice asten­sione e infine una ras­se­gnata par­te­ci­pa­zione, in qual­che caso per incas­sare limi­tate modi­fi­che al testo difeso dalla mini­stra Boschi. Sem­pre, qual­siasi fosse l’atteggiamento adot­tato, la mino­ranza si è divisa e la doz­zina di espo­nenti delle cor­renti non ren­ziane (ber­sa­niani, let­tiani, Bindi) non è riu­scita a fare blocco. È così ieri sono stati appro­vati alcuni emen­da­menti dei rela­tori Fiano (Pd) e Sisto (Forza ita­lia), custodi del patto del Naza­reno, i primi dopo che in dieci giorni di discus­sione la com­mis­sione affari costi­tu­zio­nali aveva segnato non più di dieci micro modi­fi­che alla riforma pro­po­sta e impo­sta da palazzo Chigi.

Le novità riguar­dano il pro­ce­di­mento legi­sla­tivo, che se pos­si­bile si com­plica. Le leggi saranno divise in quat­tro cate­go­rie: quelle sulle quali il senato avrà la stessa com­pe­tenza della camera (leggi costi­tu­zio­nali e poche altre); leggi alle quali il senato potrà pro­porre modi­fi­che (entro 30 giorni) che la camera potrà igno­rare con­fer­mando le sue deci­sioni; leggi com­prese in un elenco di mate­rie (Roma capi­tale, governo del ter­ri­to­rio, pro­te­zione civile, atti nor­ma­tivi dell’Ue, finanza locale…) alle quali il senato potrà pro­porre modi­fi­che ma solo a mag­gio­ranza asso­luta, modi­fi­che che la camera potrà igno­rare ma votando a sua volta a mag­gio­ranza asso­luta; leggi di bilan­cio che il senato potrà pro­porre di modi­fi­care solo col voto dei due terzi dei sena­tori, men­tre alla camera per igno­rare le modi­fi­che basterà sem­pre la mag­gio­ranza asso­luta. Dal bica­me­ra­li­smo pari­ta­rio al bica­me­ra­li­smo con­fuso: a met­tere ordine in que­sto caos, deci­dendo per ogni legge l’iter cor­retto, dovranno essere i pre­si­denti di senato e camera — sul punto la riforma di Renzi è molto simile a quella di Cal­de­roli boc­ciata dal refe­ren­dum nel 2006.

Cam­bia anche l’ultimo comma dell’articolo 12 della riforma, quello che ha rega­lato al governo un altro stru­mento per imbri­gliare il par­la­mento — oltre alla fidu­cia e ai decreti -, il cosid­detto «voto bloc­cato». Che bloc­cato non sarà più, nel senso che tra­scorsi 75 giorni dalla pre­sen­ta­zione di un dise­gno di legge che il governo giu­dica «essen­ziale» (oppure 70 giorni, oppure 60, in un trionfo di subor­di­nate) la camera dovrà obbli­ga­to­ria­mente votarlo, ma (ecco la con­ces­sione) anche nel testo even­tual­mente modi­fi­cato dalle com­mis­sioni. Tutte le mino­ranza chie­de­vano di can­cel­lare com­ple­ta­mente que­sto nuovo isti­tuto che ampli­fica il con­trollo dell’esecutivo sul potere legi­sla­tivo. Ma la mino­ranza Pd ha di fatto accet­tato la media­zione, limi­tan­dosi a non par­te­ci­pare al voto e spe­rando nell’impegno dei rela­tori di discu­terne ancora in aula.

Pro­messa per pro­messa, si potrebbe ria­prire in aula anche il caso dell’articolo 13, che al secondo comma ha intro­dotto la veri­fica pre­ven­tiva delle leggi elet­to­rali, quando un terzo dei depu­tati chiede alla Corte costi­tu­zio­nale di valu­tarne la legit­ti­mità prima della pro­mul­ga­zione. Le mino­ranze pro­po­ne­vano di ren­dere auto­ma­tica que­sta veri­fica o almeno di abbas­sare il quo­rum pre­vi­sto per la richie­sta, a un quarto o un quinto dei depu­tati. Ma soprat­tutto chie­de­vano di sot­to­porre alla veri­fica della Con­sulta anche la nuova legge elet­to­rale, l’Italicum che sta andando avanti al senato e che vero­si­mil­mente sarà appro­vato prima della revi­sione costi­tu­zio­nale. Ma Renzi non vuole, con que­sto ammet­tendo i limiti dell’Italicum e pre­pa­rando un nuovo «caso Por­cel­lum». E così nes­suno degli emen­da­menti viene accolto e per que­sto leghi­sti e gril­lini abban­do­nano l’aula della com­mis­sione alle otto di sera. La mino­ranza Pd che si era atte­stata su que­sta trin­cea — viste tutte le cri­ti­che e le pre­oc­cu­pa­zioni che i ber­sa­niani hanno per la riforma elet­to­rale — anche in que­sto caso sce­glie di rin­viare lo scon­tro all’aula, dove i rap­porti di forza sono in favore dei ren­ziani.
Nella tarda serata, troppo tarda per gli orari di chiu­sura del mani­fe­sto, la com­mis­sione è tor­nata sullo stesso punto, discu­tendo le dispo­si­zioni finali della riforma. L’ultima occa­sione per veri­fi­care l’impegno dei dis­si­denti del Pd, in mag­gio­ranza in com­mis­sione eppure dispo­sti a chie­dere di essere sosti­tuiti per tenere insieme i pro­blemi di coscienza con quelli di un ese­cu­tivo che in pra­tica ha messo la fidu­cia sulla modi­fica della Costituzione.

Alla fine della lunga gior­nata, sì a un quo­rum più altro per l’elezione del capo dello stato e corsa per chiu­dere ed evi­tare la con­vo­ca­zione dome­ni­cale. Nella riforma tor­nano anche i sena­tori a vita che la mino­ranza Pd nel suo unico strappo aveva can­cel­lato. Tutto rispet­tando la tabella di mar­cia voluta da Renzi, mal­grado il tempo perso per dare per dare l’impressione di cer­care la media­zione all’interno del Pd, tempo in defi­ni­tiva sot­tratto al dibat­tito. L’aula aspetta la riforma costi­tu­zio­nale mar­tedì, in mezzo solo il con­certo di natale.

ANDREA FABOZZI

da il manifesto


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