La missione di Alberto Garzón

La missione di Alberto Garzón

di Jacopo Rosatelli – da il manifesto

Spagna. Intervista al candidato di Izquierda unida alle primarie di febbraio per la premiership: «Mi batto per una sinistra forte e presente nelle città e nei luoghi di lavoro». Podemos? «Ha una calcolata ambiguità ideologica e le manca presenza strutturata sul territorio»

Ha scelto l’Italia per la sua prima «mis­sione inter­na­zio­nale» da quando è il can­di­dato «forte» alle pri­ma­rie di Izquierda unida (Iu) pre­vi­ste a feb­braio. Lo spa­gnolo Alberto Gar­zón (appena 29 anni, ma già lea­der vero) è a Roma, capi­tale per un giorno della sini­stra euro­pea che com­batte la «grande coa­li­zione» al governo a Bru­xel­les. Il mes­sag­gio di piazza Far­nese è chiaro: quella con­tro le poli­ti­che di auste­rità è una bat­ta­glia comune, che nes­sun Paese può vin­cere da solo. E per cam­biare i rap­porti di forza ser­vono nuovi equi­li­bri nel Con­si­glio euro­peo, dove sie­dono i primi mini­stri: ser­vono, cioè, nuove mag­gio­ranze di sini­stra negli stati attual­mente ammi­ni­strati dalle destre. Come la Spa­gna, «allievo modello» molto apprez­zato dalla can­cel­liera tede­sca Angela Mer­kel e da molti com­men­ta­tori main­stream: «Si dice che noi spa­gnoli siamo usciti dalla crisi, ma non è vero. I fon­da­men­tali dell’economia con­ti­nuano a essere deboli: la pre­sunta ripresa si basa su lavoro pre­ca­rio, abbas­sa­mento dei salari ed emi­gra­zione, che non sono con­di­zioni per uscire dalla crisi. Non basta un lieve aumento del pil in un tri­me­stre: il pil aumen­tava anche nel 2009 e sap­piamo com’è andata», sostiene Garzón.

Qual è il signi­fi­cato poli­tico fon­da­men­tale della sua par­te­ci­pa­zione alle pri­ma­rie per desi­gnare il can­di­dato pre­mier di Iu?
In un momento di emer­genza sociale come quello che viviamo serve uno stru­mento per cam­biare la società: può essere solo una sini­stra orga­niz­zata e solida, anche ideo­lo­gi­ca­mente, come Iu. Serve, però, un rin­no­va­mento che signi­fi­chi più movi­mento e meno par­tito tra­di­zio­nale, meno buro­cra­zia: per que­sto mi can­dido. Tengo a dire che le pri­ma­rie sono impor­tanti, per­ché ali­men­tano la par­te­ci­pa­zione di per­sone nuove, ma non sono suf­fi­cienti: ser­vono soprat­tutto a sta­bi­lire un rap­porto fra base e lea­der­ship in modo tale che quest’ultima si senta sem­pre vin­co­lata a rap­pre­sen­tare la volontà dei mili­tanti. Per que­sto è molto impor­tante che le pri­ma­rie si svol­gano in con­di­zioni di garan­zia. Per inten­derci: non vogliamo che un grande impren­di­tore possa inve­stire soldi per fare eleg­gere un can­di­dato amico…

Lei parla di una sini­stra «orga­niz­zata e solida, anche ideo­lo­gi­ca­mente»: è un’allusione al fatto che Pode­mos non lo è?
In un momento di crisi come l’attuale, il ter­reno sotto i nostri piedi si sta muo­vendo a gran velo­cità: la scom­po­si­zione sociale che viviamo fa sì che le per­sone cer­chino pro­te­zione sociale. La rispo­sta può arri­vare da una sini­stra orga­niz­zata oppure fluida. A mio giu­di­zio Pode­mos è una for­mi­da­bile mac­china elet­to­rale, ma ha una cal­co­lata ambi­guità ideo­lo­gica e le manca pre­senza strut­tu­rata sul ter­ri­to­rio. Si può avere la forza per un buon risul­tato elet­to­rale, ma se manca orga­niz­za­zione nella società e chia­rezza nei pro­grammi non si rie­sce a cam­biare dav­vero le cose. Per que­sto io mi batto per una sini­stra forte e pre­sente nelle città e nei luo­ghi di lavoro, che fac­cia vera lotta per l’egemonia.

Eppure i diri­genti di Pode­mos dicono di ispi­rarsi a Gramsci…
La loro classe diri­gente è fatta di per­sone molto pre­pa­rate, con le quali ho un ottimo rap­porto, anche di ami­ci­zia per­so­nale. Il punto è che loro inter­pre­tano Gram­sci attra­verso Erne­sto Laclau, teo­rico del popu­li­smo di sini­stra, e quindi sosten­gono che non c’è più la lotta di classe. Io la penso diver­sa­mente: non ci sono sem­pli­ce­mente ric­chi e poveri, ma diverse classi sociali. Da que­sta diversa let­tura deriva una con­se­guenza impor­tante: io non credo che basti vin­cere le ele­zioni per pren­dere il potere. Il governo e il potere non sono la stessa cosa. In ogni caso, non voglio negare che siano molto bravi a rac­co­gliere l’indignazione popo­lare: è un loro grande merito che va riconosciuto.

Da più parti si è inter­pre­tata la sua can­di­da­tura come pre­lu­dio a una con­ver­genza con Pode­mos, ma le dif­fe­renze fra voi non mancano…
Voglio essere chiaro. Den­tro Iu c’è chi è a pro­prio agio con le pic­cole per­cen­tuali o con l’isolamento modello comu­ni­sti greci del Kke: io no. A me inte­ressa cam­biare la società, e per que­sto non con­di­vido le posi­zioni con­ser­va­trici, di ripie­ga­mento, che esi­stono anche nel mio movi­mento. Io voglio lot­tare per vin­cere, gio­care all’offensiva, e quindi dia­lo­gare e col­la­bo­rare con altre forze poli­ti­che: l’obiettivo è costruire una con­ver­genza attorno a un pro­gramma. E i pro­grammi di Iu e Pode­mos sono molto simili. Al momento, però, regi­stro che Pode­mos intende pre­sen­tarsi da solo al voto del pros­simo anno per­ché non intende «con­ta­mi­narsi» con gli ele­menti clas­sici della sini­stra: stanno costruendo una mac­china elet­to­rale che dice di non essere né di destra né di sini­stra. E per noi è un errore: se vinci le ele­zioni sulla base di una piat­ta­forma volu­ta­mente ambi­gua, poi cosa fai? Un altro errore è pren­der­sela indi­stin­ta­mente con ’la casta’: la cor­ru­zione è prima di tutto un feno­meno eco­no­mico, non solo politico.

Met­tiamo da parte le sin­gole forze poli­ti­che, e imma­gi­niamo che tra un anno in Spa­gna ci sia un governo di sini­stra: cosa potrà cam­biare, tenendo conto dei con­di­zio­na­menti di Ber­lino e Bruxelles?
L’Unione euro­pea è il para­diso delle ban­che, non delle per­sone: il denaro è più libero della gente. Per que­sto è ovvio che vin­cere in uno stato non è suf­fi­ciente per tra­sfor­mare la realtà: non c’è dub­bio. Ciò non toglie che è fon­da­men­tale farlo, e aggiungo: anche a livello locale, muni­ci­pale. In primo luogo per ragioni sim­bo­li­che: le rivo­lu­zioni si nutrono anche di ele­menti emo­tivi, come dimo­stra la acam­pada di Puerta del Sol del movi­mento 15-M. La forza sim­bo­lica di quell’evento la si è vista dopo: si è mani­fe­stata nelle mobi­li­ta­zioni grandi e con­ti­nua­tive degli anni suc­ces­sivi, che sareb­bero state impos­si­bili senza quel sim­bolo. Oltre a ciò, con­tano natu­ral­mente i rap­porti di forza: e noi spa­gnoli, come tutti i Paesi debi­tori, dob­biamo capire che nei con­fronti della Ue abbiamo il col­tello dalla parte del manico. Il motivo è sem­plice: il nostro debito è un pro­blema delle ban­che tede­sche e fran­cesi. Diceva Bre­cht: ’Se hai un debito di 10mila dol­lari è affar tuo, ma se è di un milione è un pro­blema delle ban­che’. La can­cel­liera Mer­kel smet­terà di imporre all’Europa la poli­tica di auste­rità quando saranno le ban­che del suo Paese a chie­der­glielo: e que­sto acca­drà quando i governi dei Paesi della «peri­fe­ria» Ue cam­bie­ranno atteg­gia­mento e rove­sce­ranno sulle ban­che il pro­blema del debito.

JACOPO ROSATELLI

da il manifesto


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