Il lavorismo antico dei giovani Turchi

Il lavorismo antico dei giovani Turchi

di Andrea Fumagalli – il manifesto

Occupazione. Le indiscrezioni sul Job Act di Matteo Renzi non convincono una parte del suo partito. Ma le divergenze riguardano solo l’uso dei ammortizzatori sociali. Infatti, nulla viene detto su come adeguare il welfare state alla diffusa precarietà. E poco viene proposto su come alzare i salari e i redditi da lavoro

Dopo le anti­ci­pa­zione sul Job act del nuovo segre­ta­rio del Pd Mat­teo Renzi, è comin­ciata una discus­sione a sini­stra su come inter­ve­nire di fronte alla dram­ma­tica situa­zione occu­pa­zio­nale e soprat­tutto della caduta dei salari e red­diti da lavoro. Alla pro­po­sta di Renzi hanno rispo­sto, tra gli altri, i «gio­vani Tur­chi» del Pd e San Pre­ca­rio (sul suo blog ospi­tato dal sito del «Fatto quo­ti­diano»). Vediamo i punti in discussione.

Il modello di Renzi fa espli­cito rife­ri­mento al modello danese, dove la pro­te­zione sociale per i lavo­ra­tori è par­ti­co­lar­mente ele­vata come pure la fles­si­bi­lità del lavoro. È il modello della fle­x­se­cu­rity , cavallo di bat­ta­glia di Ichino ai suoi tempi d’oro, quando det­tava la linea sul lavoro per il Pd, prima di pas­sare nelle file di Monti. Renzi riba­di­sce di fatto la poli­tica dei due tempi, più volte denun­ciata da «San Pre­ca­rio» e, oggi, final­mente, anche dai «gio­vani Tur­chi» del Par­tito demo­cra­tico. Il primo tempo richiede ancora una volta la dispo­ni­bi­lità a rinun­ciare ad alcuni diritti fon­da­men­tali, in vista di un secondo tempo che dovrebbe garan­tire, in un futuro irreale, una minima sicu­rezza sociale. Non stu­pi­sce quindi la pro­po­sta «rivo­lu­zio­na­ria» di Renzi (che ha subito otte­nuto il plauso di Con­fin­du­stria): i gio­vani neo assunti con con­tratto a tempo inde­ter­mi­nato devono rinun­ciare alle già scarse (post riforma For­nero) tutele dell’art. 18 con­tro il licen­zia­mento indi­scri­mi­nato, almeno per i primi tre anni.

La trap­pola della flessibilità

Tale pro­po­sta trova la con­tra­rietà sia di San Pre­ca­rio che dei «gio­vani Tur­chi». Secondo il primo: «in tal modo, non si fa altro che cer­ti­fi­care ciò che è già prassi nel mondo del lavoro. Oggi, infatti, secondo i dati del Mini­stero del lavoro, l’80% delle assun­zioni avven­gono con tipo­lo­gie pre­ca­rie (solo il 2,4%, con buona pace di For­nero, per appren­di­stato, oltre il 60% per con­tratti a tempo inde­ter­mi­nato). Ciò signi­fica che solo 2 su 10 hanno un lavoro sta­bile. Ren­dere insta­bile tale 20% per tre anni con la libe­ra­liz­za­zione dei licen­zia­mento non sem­bra quindi una grande innovazione!»

Sulla stessa lun­ghezza d’onda si col­lo­cano i gio­vani Tur­chi, quando scri­vono «la mag­gior fles­si­bi­lità alla lunga non ha pro­dotto mag­giore occu­pa­zione …. La tesi tut­tora in voga secondo cui un lavoro pre­ca­rio sarebbe meglio di nes­sun lavoro (…) è smen­tita da quasi tutte le ricer­che più recenti: quanto più si passa da un lavoro ati­pico all’altro, tanto mag­giori diven­tano le pro­ba­bi­lità che scatti la cosid­detta “trap­pola della pre­ca­rietà”, ovvero la per­ma­nenza in uno stato di discon­ti­nuità lavorativa».

Fin qui tutto bene. Ma l’importante non è la caduta ma l’atterraggio.

Le posi­zioni diver­genti tra San Pre­ca­rio e i gio­vani Tur­chi comin­ciano quando Renzi auspica una riforma degli ammor­tiz­za­tori sociali pro­po­nendo un unico sus­si­dio di disoccupazione.

Secondo San Pre­ca­rio, piut­to­sto che dell’allargamento del sus­si­dio di disoc­cu­pa­zione, sarebbe neces­sa­rio par­lare di secur-flexibility , ovvero intro­durre prima forme di garan­zia incon­di­zio­nata di red­dito, in grado di sosti­tuire pro­gres­si­va­mente l’attuale ini­quo, distorto e selet­tivo (quindi inac­cet­ta­bile) sistema di ammor­tiz­za­zione sociale e solo dopo discu­tere di rego­la­zione del mer­cato del lavoro.

Sullo stesso punto, i gio­vani Tur­chi la pen­sano assai diver­sa­mente: «Desta un certo stu­pore che si imma­gini di sosti­tuire gli ammor­tiz­za­tori attuali con un sus­si­dio di disoc­cu­pa­zione uni­ver­sale a parità di risorse. Quand’anche fosse pos­si­bile tro­varne molte di più di quante oggi dispo­ni­bili (e non lo è), sarebbe pre­fe­ri­bile far pen­dere la bilan­cia più dalla parte della crea­zione di nuovo lavoro che su misure di que­sta natura che (…) fini­reb­bero per dive­nire un pozzo senza fondo che risuc­chie­rebbe ogni risorsa e con esse ogni resi­dua pos­si­bi­lità di rilan­cio del paese».

Le obie­zioni dei gio­vani Tur­chi deri­vano dal vin­colo di bilan­cio pub­blico. Ah, se ci fos­sero più soldi! D’altra parte, anche loro hanno votato com­patti le poli­ti­che di auste­rity, ieri di Monti e oggi di Letta.

Tut­ta­via, i gio­vani Tur­chi non negano che ci sia anche una crisi dei red­diti, ma paven­tano un pos­si­bile effetto sosti­tu­zione tra red­dito e sala­rio, a danno della busta paga del lavo­ra­tore. «Da que­sto punto di vista si può valu­tare l’introduzione di un “equo com­penso” per tutte quelle pro­fes­sioni non coperte da con­trat­ta­zione col­let­tiva, affian­cato dalla pos­si­bi­lità di con­cer­tare con i sin­da­cati,(…), la pos­si­bi­lità di defi­nire la retri­bu­zione minima per pro­fes­sio­na­lità omo­ge­nee, non su scala nazio­nale, ma su base territoriale».

Per­ché non avere il corag­gio di pro­porre un sala­rio minimo ora­rio, su scala nazio­nale? Per­ché, di fronte al dato che la con­trat­ta­zione nazio­nale copre poco più della metà degli occu­pati, si è ottu­sa­mente con­trari a pro­porre chia­ra­mente un minimo sala­riale che impe­di­sca il dum­ping sociale verso il basso e il per­pe­tuarsi della trap­pola della precarietà?

La rispo­sta sta nella covin­zione fidei­stica che solo creando posti di lavoro si creano le con­di­zioni per miglio­rare il wel­fare. Ovvero cre­dendo che sia l’offerta a creare la domanda, come se fosse valida la legge di Say. Con­clu­sione: un inter­vento sul wel­fare non è in grado di defi­nire una stra­te­gia in grado di rispon­dere alla domanda: come creare lavoro?

Nell’analisi dell’attuale para­digma di valo­riz­za­zione capi­ta­li­stica tra i gio­vani Tur­chi e Renzi vi è per­fetta sin­to­nia, stesso atter­rag­gio : la dif­fe­renza riguarda la policy , ma nello stesso qua­dro teo­rico social-liberista, tutto interno alle logi­che di com­pa­ti­bi­lità di sistema. Entrambi si muo­vono ancora nella tra­di­zione for­di­sta, magari river­ni­ciata di fre­sco: cre­dono ancora nella sepa­ra­zione tra tempo di lavoro e non lavoro, tra pro­du­zione e ripro­du­zione, tra pro­du­zione e con­sumo, tra sala­rio e red­dito. Entrambi non si ren­dono conto che oggi la ric­chezza viene pro­dotta dallo sfrut­ta­mento della coo­pe­ra­zione sociale, ovvero delle eco­no­mie di appren­di­mento e di rete; che la pre­ca­rietà è soprat­tutto esi­sten­ziale per­ché rap­pre­senta il para­digma della vita messa a lavoro e a valore (per pochi); che non può quindi esserci dif­fe­renza tra poli­ti­che del lavoro e poli­ti­che di wel­fare e che la disoc­cu­pa­zione, come la pre­ca­rietà, è atti­vità pro­dut­tiva mai o solo par­zial­mente remu­ne­rata: inter­ve­nire a soste­gno al red­dito signi­fica oggi inter­ve­nire a soste­gno dei salari e a favore di poli­ti­che per l’occupazione.

Un lavoro senza fine

Fare affi­da­mento sull’intervento sta­tale come fonte di lavoro – come sosten­gono i gio­vani Tur­chi – può essere di aiuto ma non è il modo con cui fuo­riu­scire dall’attuale situa­zione. In un con­te­sto in cui, lungi dall’essere alla «fine del lavoro», siamo piut­to­sto al «lavoro senza fine»: il pro­blema non è «creare lavoro», ma piut­to­sto retri­buire quel lavoro «pro­dut­tivo», che oggi non è né cer­ti­fi­cato, né con­trat­tua­liz­zato, ma social­mente dif­fuso. Per que­sto è neces­sa­rio e più effi­ciente rea­liz­zare un piano per il red­dito minimo incon­di­zio­nato più che un piano per il lavoro (che per essere rea­liz­zato deve comun­que fare affi­da­mento su uno Stato e una classe impren­di­to­riale, entrambi cor­rotti e incapaci) .

L’obiettivo è archi­viare la sequenza «risa­na­mento, cre­scita, occu­pa­zione» non con la sequenza «occu­pa­zione, cre­scita, risa­na­mento», ma con quella più effi­cace e equa «sicu­rezza sociale (red­dito e ser­vizi sociali), cre­scita qua­li­ta­tiva, risa­na­mento (pro­du­zione dell’uomo per l’uomo)».

Ancora una volta, il nuovo (sia che si tratti di Renzi o dei gio­vani Tur­chi) tende ad amman­tarsi di vec­chio, anzi d’antico.


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