SEL, la “corrente ingraiana” del PD

SEL, la “corrente ingraiana” del PD

di MATTEO PUCCIARELLI

Pietro Ingrao voterà Sinistra Ecologia e Libertà alle prossime elezioni ed Europa – quotidiano organo del Pd – parla di Sel come della «corrente ingraiana del Pd». «Il vecchio leader della sinistra comunista si ricongiunge indirettamente al Pd, partito alleato di Nichi. Che in prospettiva – si spiega – dovrebbe proprio confluire nel partito di Bersani».

Le scelte di Ingrao – così come quelle di Luciano Gallino, Barbara Spinelli, Stefano Rodotà, Andrea Camilleri e così via – non si discutono, e i motivi sono ovvi. Da lui e dagli altri si può solo imparare, anche quando non ci si trova d’accordo. Desta un certo stupore però quella definizione di Sel: «Corrente ingraiana del Pd».

Innanzitutto per motivi storici. La corrente ingraiana dell’allora Pci fu prolifica fucina politica e culturale, ammantata di un’aurea di romantica resistenza. Ma perse. Perse su tutta la linea. Non riuscì a evitare la progressiva normalizzazione del pensiero critico comunista, e quando si decise di buttare il bambino con l’acqua sporca Ingrao altro non poté che trasferire armi e bagagli in Rifondazione. La luna che voleva, e che in tanti vogliono tuttora, è rimasta saldamente nello spazio. L’estremista Ingrao è stato relegato dagli eredi del Pci al ruolo di santino, di utopista un po’ ingenuo che non sa come va davvero il mondo; i “miglioristi”, la corrente di destra del partito, hanno espresso un Presidente della Repubblica.

Ci sono poi motivi più attuali. Quando nacque Sel i maligni dissero che ci si trovava di fronte a un’operazione orchestrata dai soliti D’Alema e Veltroni per spaccare il fronte della sinistra radicale e portarsi a casa la parte più malleabile di quel mondo. Farne una succursale del Pd, lo specchietto per le allodole, la copertura a sinistra. Un grande gioco politico in stile Risiko. Sono passati degli anni, e quel disegno evocato allora si sta realizzando (drammaticamente). Resterà inoltre da studiare scientificamente la parabola degli ex Ds che abbandonarono il Pd perché non volevano fare la costola sinistra del partito (Fabio Mussi, Claudio Fava e così via) e che dopo cinque anni si ritroveranno a fare cosa? La costola sinistra del partito.

Infine c’è Rifondazione. Chi ricorda quella storia – piena di errori, mancanze, passione, cuore, sentimento – dovrebbe rileggersi Fausto Bertinotti, anno 2005: «La mia autonomia non è fondata su un voler essere, ma sul fatto che io ho un progetto di società. E tuttavia mi costringo ad un attraversamento, a passare dalla cruna dell’ago anche dell’esperienza di governo. Ma l’esperienza di governo è un transito, non è il mio fine: è il transito attorno al quale si addensano degli elementi che io penso possano concorrere a un processo di trasformazione della società, un processo rispetto al quale la connessione con il movimento è per me fondamentale. Per cui penso che possa vivere una tensione critica tra il partito e il governo di cui fa parte senza che necessariamente questo precipiti nella drammatica alternativa tra unità e rottura». Il Prc l’anno dopo arrivò al governo sotto la spinta di 2 milioni e 300 mila voti. Com’è andata a finire se lo ricordano tutti.

Per quale motivo Sel, che mai avrà quei voti e neanche lontanamente possiede l’autonomia dal Pd che aveva Bertinotti e che avrà a che fare con una coalizione non più di centrosinistra ma di centro-centrosinistra, dovrebbe riuscire là dove Bertinotti fallì? Non sarebbe stato meglio lavorare a rafforzare il proprio campo, la propria proposta, e solo dopo, solo in seguito, contrattare una eventuale alleanza di governo?

PS. La riflessione dell’ex segretario Prc la si trova in un libro-intervista con Cosimo Rossi, il cui titolo era tutto un programma: Io ci provo (manifestolibri)

MATTEO PUCCIARELLI

da Micro Mega


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