
Pisa, la sfilata del «bene comune»
Pubblicato il 17 feb 2013
di ROBERTO CICCARELLI
In Corso Italia, la via di uno shopping povero che espone molte vetrine con i saldi al 50% ci sono duemila persone che sfilano dietro lo striscione di 35 metri del «municipio dei beni comuni». Il muso del camion di Rebeldia espone il faccione di cartapesta del sindaco Pd di Pisa Marco Filippeschi: «Filippesci, sei muto come un pesce», dicono dal microfono. Va in scena la contestazione ad un sindaco, in campagna elettorale per la rielezione a maggio, in silenzio da quando la multinazionale delle vernici JColors, proprietaria dell’ex colorificio in via delle Cascine a 500 metri dalla Torre, ha chiesto lo sgombero della fabbrica occupata a metà dell’ottobre scorso da uno dei più longevi centri sociali toscani insieme a 38 associazioni. A piazza XX settembre, sede del comune, i manifestanti ergono un tazebao gigantesco: «Beni comuni oppure interessi privati».
Tra di loro ci sono gli studenti delle università pisane («Sinistra per», giovani comunisti), le Officine Corsare di Torino. Nel serpentone sul Lungarno ci sono i centri sociali di Rimini, Reggio Emilia e Bologna, Scup e il Sans Papier di Roma, l’Intifada di Empoli, il Terra di Nessuno di Genova e la Talpa e l’Orologio di Imperia, il Distretto dell’Economia Solidale. Tra chi si lega al polso bracciali colorati riconosciamo sindacalisti giovanissimi che lavorano a Roma nella scuola e negli enti di ricerca. «Il consenso del movimento dei beni comuni si sta radicando – afferma Mariangela Priarolo, attivista di Rebeldia, docente e filosofa esperta di Leibniz – è diffuso tanto nell’auto-organizzazione quanto nelle fasce del precariato giovanile, coinvolge professionisti che lavorano nella cultura».
C’è poi il teatro Rossi, occupato in una città che «vive al di sotto delle sue possibilità, ma dagli anni Sessanta produce movimenti – afferma Sandra Burchi, attivista del Rossi e filosofa femminista – oggi cerchiano la strada per dare voce alle intelligenze mortificate dalla precarietà, ai saperi, alle competenze non riconosciute dalle istituzioni, né dal mercato». «È da 15 anni che la JColors sta cercando di vendere l’area – afferma Ciccio Auletta, giornalista, uno dei portavoce di Rebeldia – In ballo c’è una variante di destinazione d’uso a fini residenziali e commerciali». A pochi passi dalla Torre si comprende il valore immobiliare che potrebbe assumere l’area industriale oggi occupata. Se fosse sgomberata, è prevedibile che l’area resti abbandonata a lungo. «Contro la variante – aggiunge Auletta – avevano già scioperato gli operai della JColors negli anni Novanta.
Oggi, in forme diverse, stiamo riprendendo lo stesso filo». A sostegno dei manifestanti sono intervenuti i giuristi Stefano Rodotà, Ugo Mattei o Maria Rosaria Marella, giudici come Paolo Maddalena, e poi Salvatore Settis. Oltre al sindaco, insieme hanno «diffidato» questore e prefetto dallo sgombero.
ROBERTO CICCARELLI
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