
Due chiacchiere con… Antonio Di Luca
Pubblicato il 16 feb 2013
di RIFONDAZIONE.IT
Felice, stanco e arrabbiato, si descrive così Antonio Di Luca, candidato per Rivoluzione Civile alla camera dei deputati in Campania, Puglia e Basilicata ma soprattutto uno dei 19 lavoratori della Fiom di Pomigliano che, malgrado le ripetute sentenze sono stati reintegrati al lavoro dopo ingiusto licenziamento, sono tenuti fuori dagli stabilimenti. La Fiat li paga ma la loro presenza non è gradita e questo non lo accettano. Antonio e gli altri sono combattivi e la scelta di candidarsi in parlamento è anche una sfida a questo sistema padronale, finora sembra che gli entusiasmi ci siano e che la risposta sia forte: «La campagna sta andando bene – racconta Antonio – e io non mi sto certo risparmiando. Non abbiamo spazi mediatici ma utilizzo e con l’aiuto dei miei compagni, l’esperienza accumulata nell’attività sindacale, faccio iniziative nei circoli dei partiti, nelle municipalità, cerco continuamente il contatto diretto con le persone a partire dai luoghi della produzione. Sono stato nella “napoletana gas, con gli operai dell’Enel e con i lavoratori del policlinico e spesso le nostre iniziative sono strapiene di persone che non vogliono solo ascoltare ma partecipare. L’altra sera ero ad Afragola, con un centinaio di persone. Certo c’è ancora scetticismo ma anche la voglia di capire partendo dai programmi e dalle proposte. Le persone sono stanche di sentirsi descrivere una fotografia della crisi che già conoscono e pagano sulla propria pelle. Se vivono in una periferia deindustrializzata, in un ambiente desertificato, sono precari e hanno figli precari debbo proporre delle soluzioni per uscire realmente dalla crisi. Devo partire dal fatto che magari non trovano i 10 euro per pagare il macellaio per arrivare alla necessità di ricostruire il welfare. Devo partire dal bisogno per arrivare verso il sogno, sia che parlo con una persona anziana o con un ragazzo devo far capire che mi sento di condividere i loro destini e il loro bisogno di futuro». Si infervora Antonio perché è convinto di star combattendo una battaglia che non si ferma alla sua persona e neanche ai cancelli della fabbrica e ai suoi compagni di lotta:«Io voglio spiegare come trovare le risorse e per questo ho sposato la proposta di Rivoluzione Civile, per esperienza conosco sia i linguaggi del sindacato che della politica ma debbo parlare con chiarezza delle tante norme e leggi che hanno annientato il Paese e le persone, devo anche spiegare come e dove è possibile prendere i soldi per invertire questa catastrofe. Sono anche convinto che se avessimo il giusto spazio mediatico noi saremmo la maggioranza del Paese, il nostro programma può essere letto da ogni punto di vista, dalla centralità del lavoro innanzitutto, ma anche dalle questioni ambientali, dei diritti, del welfare, della scuola e del precariato. Guardiamo a più mondi interagendo con tutti. Certo poi, a mio avviso, resta centrale l’organizzazione del lavoro e il processo produttivo perché se non si comprende quello non se ne esce. Ma i discorsi sono consequenziali: nella nostra zona si producono i 4/5 dei rifiuti industriali. Come se avessimo 4 Ilva senza averne la potenza produttiva. Come può accadere? La produzione cala – basti pensare alla vicenda Irisbus e a come Marchionne ha ridotto da 3 ad 1 i modelli prodotti a Pomigliano – molti componenti poi vengono fabbricati altrove e arrivano sul territorio. Questo significa che c’è molta economia illegale, che trionfa la logica dei sub appalti e che prevale una dissennata competizione verso il basso in una sorta di “legalità formale”. Antonio Ingroia ha definito bene questa condizione nel progetto presentato con Francesco La Torre, per attaccare simili contesti. Capire questi processi industriali ti consente di spiegare meglio perché vengono distrutte le politiche sociali, perché si acquistano gli F 35 e contemporaneamente si privilegia una edilizia che non si rivolge alle fasce sociali più deboli. Ma la madre di tutte le battaglie è quella dei diritti sul lavoro. La distruzione dell’articolo 18 e l’introduzione dell’articolo 8 di Sacconi, che frantuma il ruolo della contrattazione nazionale, non sono solo attacchi dal punto di vista ideologico e simbolico. Vogliono annientare ogni singolo lavoratore e vogliono provocare una inibizione al conflitto». Nel linguaggio di RC si riaffaccia un termine che sembrava dimenticato come “rivoluzione” che si comincia a diffondere con sempre maggiore potenza:« Una parola importante – riflette Antonio – ma da usare con la giusta intensità. Noi non dobbiamo essere rivoluzionari a parole e poi cadere nell’infantilismo politico ma afferrarne bene il senso semantico di “cambiamento radicale”. La buona “rivoluzione civile” trasforma l’entusiasmo in energia, per me è rivoluzionaria la sintesi fra lo sdegno verso le ingiustizie e il coraggio necessario per produrre cambiamento». Antonio Di Luca è anche pro positivamente critico verso i limiti del proprio sindacato, la Cgil.:«Ad Avellino non ci hanno invitato a parlare quando come Fiom noi abbiamo sempre richiesto un confronto con tutti. Quando abbiamo organizzato il 9 giugno scorso la manifestazione “Il lavoro prende la parola”, non ci siamo sottratti ai confronti e abbiamo rinnovato la nostra richiesta di rivedere le leggi sulla rappresentanza e sulla democrazia nei luoghi di lavoro. La mia casa comune, la Cgil dovrebbe essere più determinata e coerente su questo tema. Trovo sorprendente che una parte del mio sindacato preferisca il dialogo con chi è contrario a questi cambiamenti e non ci ascolti abbastanza. Anche la politica è stata per troppo tempo, da questo punto di vista, un muro di gomma. Per questo invito a ripensare alle battaglie comuni da affrontare, come quella del contratto nazionale, dobbiamo continuare tutti a poter guardare negli occhi gli altri lavoratori e fare proposte nette come quella di riprendere i soldi pubblici alle aziende che de localizzano o al ripristino del falso in bilancio. Non dobbiamo lasciare il singolo lavoratore di fronte ai poteri delle multinazionali, l’intero sindacato deve ricominciare a dire quel “Preferirei di no” del romanzo di Melville (Lo scrivano Barthelby)». È fiducioso Antonio Di Luca, caricato dai tanti e dalle tante che si fermano a parlare con lui dopo le iniziative e pensa al futuro in parlamento:«sarei orgoglioso di entrare come lavoratore perché li dentro c’è bisogno di persone che sappiano parlare di lavoro per esperienza diretta. Sarò uno stakanovista ma cercherò in ogni maniera di non perdere il rapporto con il territorio e con i miei compagni. Cercherò di continuare a guardare il mondo con gli occhi degli ultimi, con quello dei disabili a cui vengono sottratte risorse, con quello dei giovani a cui non si vuole dare un futuro. La prima cosa che vorrei fare è una interpellanza sulla violazione della democrazia nei luoghi di lavoro. E poi vorrei mettere seriamente i “piedi nel piatto”, portare la coerenza della piazza in aula per mostrare le incoerenze altrui. Vorrei chiedere: cosa ne pensate del dottor Marchionne? E della gestione di Finmeccanica? E dei tanti guasti strutturali del sistema? Non so se ci riuscirò ma ci proverò con tutte le mie forze e quelle dei tanti compagni che mi stanno e mi staranno vicini».
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