
Se la “cura” aggrava la crisi
Pubblicato il 15 feb 2013
di Alberto Quadrio Curzio, da Il Sole 24 Ore, 14 febbraio 2013 -
Domani si riunirà a Mosca il G-20 che discuterà anche della deliberata politica giapponese di deprezzamento dello yen. Anche gli Usa sono sulla stessa strada mentre la Ue e la Uem sembrano tranquille nella convinzione che la politica fiscale restrittiva sia la sola cura per rilanciare la crescita.
In realtà è la “cura” per aggravare la crisi perché la crescita europea sarà zero anche nel 2013 e solo marginalmente positiva nei due anni successivi con una disoccupazione per 26 milioni di persone pari al 12% della forza lavoro. La rivalutazione dell’euro aggraverà questa situazione. Eppure il recente Consiglio Europeo (dei capi di Stato o di governo) dei 27 Paesi membri della Ue s’è dichiarato soddisfatto del Quadro finanziario pluriennale (Qfp) 2014-2020 approvato. In realtà si tratta di un risultato minimalista che preoccupa per il metodo e per il merito.
Ciò vale anche per l’Italia quantunque la nostra posizione nel Qfp sia migliorata. Ma tra rivalutazione dell’euro e sofferenza delle imprese (tra l’altro sempre creditrici delle Amministrazioni pubbliche che non pagano) non ne trarremo grandi benefici.
Veniamo al metodo del Consiglio europeo che è stato quello del compromesso – paradigma privilegiato dal suo Presidente Van Rompuy – che ha disatteso l’orientamento del Parlamento europeo (ed anche della Commissione) per un Qfp non al ribasso. La Germania ha dominato come al solito facendosi artificiosamente mediatrice tra l’Inghilterra (e altri Paesi nordici) che volevano tagli al Qfp e Francia e Italia che non li volevano che poi li hanno accettati con qualche compensazione settoriale. Il Parlamento europeo ha ancora la possibilità di approvare o respingere, non avendo il potere di emendamento, il Qfp uscito dal Consiglio. Scelta difficile che probabilmente porterà all’approvazione contando poi sulle flessibilità tra i capitoli di spesa e tra i bilanci annuali.
Il merito riguarda il Qfp 2014-2020 e molto preoccupa sia perché, per la prima volta dal 1988 quando si avviarono i Qfp, vi è stata una riduzione rispetto al Qfp precedente sia perché la struttura del nuovo Qfp non privilegia adeguatamente gli obiettivi per una crescita innovativa. È in regresso rispetto ai precedenti Qfp per i quali erano stati fissati obiettivi netti.Così il Qfp 1988-1992 («Pacchetto Delors I») puntava sulla creazione del mercato interno e sul consolidamento del programma quadro pluriennale di ricerca e sviluppo. Il Qfp 1993-1999 («Pacchetto Delors II») puntava sulla politica sociale e di coesione e sull’introduzione dell’euro. Il Qfp 2000-2006, che ebbe esecuzione con Romano Prodi Presidente della Commissione europea, puntava sull’allargamento con «Agenda 2000: per una unione più forte e ampia».
Il Qfp 2007-2013, varato con Josè Manuel Barroso alla presidenza della Commissione, puntava sulla crescita sostenibile e sulla competitività per creare occupazione.
Il Qfp 2014-2020 nelle finalità della Commissione europea formulate già nel giugno 2011 e poi precisate puntava (qualitativamente) sulla crescita intelligente (investimenti,ricerca e sviluppo, istruzione) ed inclusiva (coesione sociale, economica e territoriale)anche nelle connessioni con la realizzazione delle infrastrutture europee (Connecting Europe Facility), con Horizon 2020, con Industria 2020. Queste dovevano essere le Finalità primarie mentre le finalità tradizionali andavano ridimensionate. Purtroppo ciò non è accaduto nè negli importi totali nè nella struttura del Qfp.
Per gli importi il Consiglio Europeo ha ridotto il budget sia rispetto a quello proposto dalla Commissione sia rispetto al Qfp 2007-2013 portandolo (a prezzi 2011) a 960 miliardi per gli impegni e a 908 per i pagamenti. È bene sottolineare queste cifre perché , con un calo di circa 33-34 miliardi miliardi, si è scesi all’1% del reddito nazionale lordo della Ue e sotto lo stesso per i pagamenti. Con queste risorse è molto difficile rilanciare le politiche della Ue per la crescita.
Per la struttura del bilancio limitiamoci al confronto, sorprendente, di due poste. Per la «crescita intelligente ed inclusiva» la quota sul totale degli impegni è circa del 47% composta da un 13% per competitività e occupazione e un 34% per coesione. Sarebbe stato meglio puntare di più sia sull’industria e sulla tecnoscienza sia sulla formazione per l’ occupazione. Ma un limite ancora più grave sta nella quota del 39% del bilancio destinata alla «crescita sostenibile e risorse naturali», nel cui ambito vi sono le spese connesse al mercato e i pagamenti diretti delle politiche agricole (Pac) per 278 miliardi. È vero che le risorse per questa posta sono scese del 17,5% rispetto al Qfp 2007-2013 ma la quota è ancora alta (pur non sottovalutando l’utilità della parte per lo sviluppo rurale e la sostenibilità)soprattutto per le resistenze della Francia.
Non bisogna perciò consolarsi per la giusta destinazione di 6 miliardi al contrasto della disoccupazione giovanile (a beneficio dei Paesi dove supera il 25% e quindi anche dell’Italia dove è al 37%) che è davvero troppo poco a fronte dei 4,5 miliardi di aumento delle spese amministrative della Ue.
In questo Consiglio europeo minimalista speravamo che Monti avanzasse una proposta forte sugli EuroUnionBonds per la crescita della Ue tutta che avrebbe trovato una sponda nel Parlamento europeo. Purtroppo non è successo perché nessuno nel Consiglio può fare proposte senza l’assenso previo dalla Germania. Dobbiamo perciò accontentarci della riduzione della nostra erogazione media netta al Qfp dallo 0,28% (sul periodo 2007-2011) allo 0,23% del nostro reddito nazionale lordo. È un buon risultato data la situazione (anche pre-elettorale) dell’Italia. Ma come già detto non si rilancerà così la crescita italiana che avrebbe bisogno di poche ma incisive riforme. Da quelle a costo zero in un Paese civile (semplificazioni) a quelle più complesse ma necessarie e possibili (tra cui gli investimenti in tecno-scienza e formazione) razionalizzando davvero la spesa pubblica.
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