L’Italia è sempre meno competitiva nel mercato mondiale

L’Italia è sempre meno competitiva nel mercato mondiale

di Tonino Bucci – liberazione.it - 

L’Italia continua a perdere posti nel mercato globale, perlomeno secondo il Forum economico mondiale (Wef, World economic forum) che ha pubblicato come ogni anno il suo report sulla competitività globale. Il nostro paese sarebbe scivolato al 49esimo posto su 148 stati presi in considerazione nello studio. Davanti all’Italia si piazzano quasi tutti gli altri paesi europei, compresa la Spagna. Al primo posto, invece, si conferma per il quinto anno consecutivo la Svizzera, seguita da Singapore e Finlandia. Sale di due posizioni e si piazza al quarto posto la Germania, che scavalca gli Stati Uniti e la Svezia. Formulata così, però, la classifica del Global competitiveness report dice poco o niente. Molto dipende dai criteri in base ai quali è costruita. Il punteggio assegnato alle economie nazionali deriva soprattutto dal giudizio sui rispettivi mercati del lavoro. Il presupposto è che tanto più nella legislazione di un paese sono presenti tutele giuridiche del lavoro, quanto meno quel paese può essere considerato competitivo nel mercato mondiale. Si spiega così, ad esempio, il fatto che in Grecia il mercato del lavoro sia ritenuto migliore di quello italiano e che la Spagna, sempre sotto questo aspetto, sia ritenuta la più efficiente tra i paesi colpiti dalla crisi. Per quanto riguarda espressamente la flessibilità del lavoro anche i primi della classe non fanno abbastanza, secondo il giudizio del Forum. La stessa Germania, che complessivamente è la quarta economia più prestante, precipita nientemeno che al 113esimo posto per flessibilità. Un giudizio sorprendente, per altri versi, dato che in Germania sono comparsi negli ultimi anni nuove forme giuridiche di lavoro precario e interinale. Secondo gli analisti del Wef il sistema tedesco recupererebbe posizioni nella classifica finale solo in virtù della capacità di innovazione delle sue imprese, della qualità delle infrastrutture e degli investimenti nella ricerca.


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