
Ventisette contabili
Pubblicato il 9 feb 2013
di Mario Pianta -
Bruxelles si è prodotta ieri in un nuovo esercizio di miopia. I 27 capi di stato e di governo Ue hanno raggiunto un accordo che dà qualche contentino alla retorica di David Cameron sui tagli da fare, e per la prima volta il bilancio europeo si riduce. Dà a Hollande la possibilità di far pesare la resistenza della Francia, a cui restano i fondi della politica agricola. Dà al presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz (Spd), la possibilità di dire che l’accordo «ha riconosciuto il ruolo del Parlamento». E dà 3,8 miliardi in più a un Mario Monti in veste di candidato alle elezioni.
Soprattutto, dà a Merkel la possibilità di tenere sotto controllo – a sei mesi dal voto- un’Ue sempre più frammentata.
Se avessero guardato fuori dal loro palazzo, i 27 avrebbero visto che l’Europa nel 2012 ha avuto una caduta di prodotto e reddito; molti paesi – a cominciare dall’Italia – saranno in recessione anche quest’anno. Avrebbero visto che all’Europa serve una ripresa della domanda: con le esportazioni che non tirano più e gli investimenti sottozero, solo la spesa pubblica può far uscire l’Europa dalla depressione. Con i bilanci dei governi nazionali bloccati da Bruxelles, è indispensabile una politica della domanda a scala europea: tasse sulla finanza, tasse ambientali ed eurobond potrebbero finanziare uno sviluppo diverso, la riconversione ecologica del continente, la ripresa produttiva della «periferia» europea, un reddito minimo per tutti. Davanti alla necessità di un new deal per l’Europa, l’ideologia dell’austerità ha infierito con un taglio del 3% su un bilancio che conta meno del 2% della spesa pubblica europea.
Ma chi deve decidere di queste cose? Il Parlamento europeo aveva fatto la voce grossa, minacciando il veto a un bilancio tagliato. I capigruppo, anche dei popolari e dei liberali, ora si dicono decisi a difendere la spesa dell’Europa, ma la pressione dei governi sarà fortissima.
L’Europa è ridotta al braccio di ferro di 27 contabili e la democrazia è ridotta alla lamentela di qualche parlamentare. Intanto nel continente ci sono 26 milioni di disoccupati, un lavoratore su sei è a tempo determinato, e una persona su sei è a rischio di povertà. Tra un anno ci saranno le elezioni del Parlamento europeo e ieri a Bruxelles i 27 hanno pensato di ignorare il principio di realtà: la gravità della crisi, gli interessi comuni e le condizioni di vita degli europei. È un’operazione che sta funzionando fin troppo bene nella campagna elettorale italiana; fare lo stesso a scala europea potrebbe essere irrimediabile.
il manifesto 9 febbraio 2013
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