
Omicidio Trayvon: quella sentenza da America di Spoon river
Pubblicato il 15 lug 2013
Trayvon Martin, il diciassettenne di colore che la sera del 26 febbraio 2012 a Sanford, in Florida, stava andando a trovare il padre con in mano solo una bibita e una confezione di caramelle è stato ucciso “per legittima difesa”. Dopo un drammatico processo seguito in diretta Tv da milioni di americani, è questa la conclusione a cui è giunta la giuria popolare. Dunque, George Zimmerman, la guardia volontaria che durante una ronda inseguì e sparò al teenager, “non è colpevole”.
Una decisione che ha gelato la comunità afroamericana e diviso l’America, con migliaia di persone che da una parte all’altra del Paese sono scese in strada urlando la loro indignazione per quello che in molti considerano un delitto a sfondo razziale. Un delitto che colpì anche il presidente americano: “Se avessi avuto un figlio, sarebbe stato come Trayvon”, disse commosso.
Ora Barack Obama prende atto della decisione: “La giuria ha parlato”, afferma in una nota, facendo appello alla calma e sottolineando la necessità di una riflessione anche sulla diffusione delle armi in America che ogni giorno provoca tante vittime. “So che questo caso suscita forti passioni, ma noi – ha aggiunto – siamo uno stato di diritto”.
Il Dipartimento di giustizia americano ha reso noto che sta valutando se dalle prove relative al processo Zimmerman emergono violazioni dei diritti civili da perseguire. Questo – si legge in una nota – per stabilire se ci sono gli estremi per un procedimento federale.
La folla da due giorni assiepata davanti al tribunale in attesa della decisione è rimasta scioccata dal verdetto. Ma presto lo stupore si è trasformato in rabbia. E col passare delle ore sempre più gente si è riversata in strada: non solo a Sanford, a due passi da Orlando, ma a New York, Washington, San Francisco, Chicago, Philadelphia. Anche a Los Angeles, dove ancora vivo è il ricordo della rivolta dei neri del 1992 dopo l’assoluzione dei quattro poliziotti bianchi che picchiarono a sangue un tassista nero fermato per eccesso di velocità: Rodney King, divenuto simbolo della lotta al razzismo. La gente denuncia una giustizia che continua ad essere “a misura di bianchi”.
Un’ondata di manifestazioni già dalla notte e dalle prime ore del mattino sta interessando tutto il Paese: da Sanford, dove sono avvenuti i tragici fatti, a New York, Washington, Tampa, Philadelphia, San Francisco. Per il momento si tratta di proteste pacifiche e non si registra alcun arresto. I manifestanti – non solo afroamericani – lanciano accuse di razzismo e lo slogan più diffuso è “in questo Paese c’è giustizia solo per i bianchi”.
Decine di migliaia di persone sono scese in piazza a New York – come in moltissime altre città d’America – per chiedere giustizia per Trayvon Martin. Per le strade della Grande Mela hanno gridato tutta la loro rabbia per l’assoluzione di George Zimmerman, urlando slogan come “No justice, no peace”, oppure ‘Who is guilty? All system is guilty (Chi è colpevole? Tutto il sistema è colpevole).
Un corteo pacifico è partito da Union Square per dirigersi verso Times Square: un corteo pieno di persone di tutte le età – molti i bambini – e multirazziale, composto non solo da afroamericani, ma da ispanici, asiatici, indiani. Arrivati nella piazza simbolo di Manhattan, i manifestanti l’hanno occupata sedendosi in terra e inscenando un sit in. Un cartello mostrava le immagini di un Trayvon bianco e di uno Zimmerman di colore. Sotto la scritta: ‘Il verdetto sarebbe stato lo stesso?. Tutto intorno il traffico paralizzato, anche se molti degli automobilisti hanno solidarizzato con la protesta, unendosi agli slogan e suonando i clacson. Parecchi gli agenti di polizia dislocati lungo il percorso della manifestazione, ma loro presenza è stata discreta, nonostante la folla enorme che alla fine si è ritrovata radunata sotto le luci di Times Square.
Incidenti invece a Los Angeles, dove la manifestazione è degenerata in scontri con la polizia. Gli agenti hanno fatto uso di lacrimogeni e proiettili di gomma.
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