
Giurano fedeltà ma nessuno li crede
Pubblicato il 7 feb 2013
di Daniela Preziosi -
«L’elettore del centrosinistra ormai non si meraviglia neanche più: si è convinto che alla fine l’accordo con Monti andrà fatto. Non solo per un’esigenza aritmetica, che con ogni probabilità si porrà, ma anche perché Bersani ormai ripete ovunque può che se anche avesse il 51 per cento dei consensi, li userebbe come fosse il 49. Parlare dell’accordo con Scelta civica per lui è una necessità, nella deplorevole condizione in cui versa il sistema politico italiano. Ma involontariamente finisce per scoraggiare, per accrescere la sfiducia nello stesso elettorato, o per lo meno conferma la sfiducia nei partiti che è molto radicata persino negli elettori di quegli stessi partiti». Giorgio Galli, il politologo studioso del «bipolarismo imperfetto», spiega così un fatto che appare come una contraddizione, a un primo sguardo: l’alleanza Pd-Sel dovrebbe essere acquisita. E invece ieri per la terza volta in poche settimane Bersani ha giurato che dopo il voto «non mollerà» Vendola; e per la centesima volta nello stesso lasso Vendola ha giurato di essere «incompatibile» con un governo che imbarchi Monti.
Sottolineature in nome dell’antico motto latino repetita iuvant? O piuttosto la necessità di ripetere una verità che dovrebbe essere ormai scontata e che è stata persino plebiscitata alle primarie, rivela il fatto che le affermazioni dei due leader del centrosinistra non ispirano certezze granitiche neanche presso i rispettivi elettorati? In altre parole, la «parola politica» opposta da Bersani come affidabile contro le balle berlusconiane e i «populismi» dell’antipolitica, non finisce, se ripetuta così spesso, per sgretolare la propria autorevolezza e rovesciarla in una parola che, se non ribadita, rischia di svanire come fosse scritta sulla sabbia?
«Questo succede perché in questa campagna elettorale non bipolare ciascuna forza deve marcare la sua identità ma insieme tenere aperti i suoi confini», spiega Ilvo Diamanti, politologo, editorialista di Repubblica e docente di sistemi politici comparati alla seconda università di Parigi. «Ma è un problema che ha tutto il centrosinistra. Per governare, il Pd non può chiudere il confine con Monti. Ma nel frattempo non può respingere Vendola, suo alleato istituzionale. Nel 2006, con il ‘porcellum’, si è svolta una campagna perfettamente bipolare. Nel 2008 arrivammo quasi a una campagna bipartitica. Oggi siamo a un gioco aperto, che costringe gli attori a barcamenarsi fra due opposte esigenze: identità marcate e confini aperti».
Ma questo genera «una gran confusione nell’elettore», ragiona Roberto D’Alimonte, politologo e editorialista del Sole24Ore. «Monti, per esempio, fa un riferimento carsico alla possibilità di governare con il centrosinistra. Deve tranquillizzare la parte del suo elettorato che non vuole essere condannata a governare con Vendola. E tuttavia la richiesta a Bersani di rompere con Sel sorprende e crea confusione negli elettori dei suoi potenziali alleati. So bene che all’indomani del voto fior di costituzionalisti sarebbero pronti a ricordare che il nostro sistema prevede che i governi si facciano in parlamento. Ma chiedere di rompere una coalizione che si presenta al voto come tale, dal punto di vista politico è un argomento che non si può usare: costringe Bersani a difendersi da un’insinuazione, e lo obbliga a rassicurare la parte del suo elettorato che crede nel centrosinistra. E poi però anche l’altra, quella convinta che senza il centro non può nascere un governo stabile».
Si incrociano lame e confusioni, dunque, in una campagna elettorale, che ricorda – malgrado il porcellum – quelle della prima repubblica in cui le forze politiche si azzuffavano fra loro, pronte poi a firmare patti di governo all’indomani del voto. Tant’è che Massimo D’Alema può affermare senza scandalo che i veti incrociati fra Vendola e Casini sono «solo propaganda». Implicitamente lasciando intendere che è falsa la parola dei partiti alleati, proprio quelli con cui si dovrebbe battere la cosiddetta antipolitica.
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