Stato d’azzardo

Stato d’azzardo

di SARANTIS THANOPULOS – il manifesto -

Un muratore di 26 anni si è ucciso con un colpo di pistola in Brianza perché da alcuni mesi aveva perso il lavoro e non riusciva a trovare un altro impiego. Spesso ripeteva che non aveva neppure i soldi per le sigarette. Pochi giorni prima un ragazzo di diciannove anni, con un lavoro part-time, si era ucciso buttandosi dal muraglione di una chiesa a Ischia perché aveva perso 300 euro, tutti i suoi risparmi, nelle scommesse e nel video poker online. I soldi per pagare le sigarette o i pochi soldi faticosamente risparmiati possono racchiudere tutto il senso dell’esistenza di un essere umano. Questa sproporzione non designa un’assurdità (da spiegare nel modo più facile con la fragilità psichica dei due giovani): indica, piuttosto, uno spossessamento intollerabile del proprio destino a cui l’irrimediabile gesto estremo pone un argine (lungo una vita e un solo attimo). Niente misura meglio il declino dello stato che l’esposizione dei cittadini al gioco d’azzardo: la sottomissione, mascherata da sfida, alla fatalità, al caso. Lo spreco di potenzialità di cui si fanno garanti le stesse autorità che dovrebbero contenerlo – che sfocia, nell’immediato, nella morte dei più vulnerabili (per nulla inevitabile) – confluisce, al lungo andare, al suicidio del nostro avvenire. Vivere richiede il gioco: l’eccitazione generata dall’incontro con gli oggetti desiderabili che abitano il mondo, che non è cosa in sé, che non prende mai il sopravvento ma diventa coinvolgimento, preludio dell’appagamento. È nel gioco, che trasforma l’eccitazione del desiderio in ampliamento e profondità del sentire, che le combinazioni casuali diventano forma e finalità, personalizzazione dell’esistenza. L’azzardo è la negazione del gioco: l’eccitazione diventa scopo, lo scopo diventa caso, il caso rassegnazione. La paura di mettersi veramente in gioco e la rinuncia a padroneggiare l’imprevedibile, sfruttando la forza del suo disordine per costruire, dominano le nostre società globalizzate. La politica (sovranazionale) che pretende di salvaguardare il nostro futuro – il ricorso a tagli selvaggi – è un rigore senza progettualità: l’apoteosi del gioco d’azzardo. Che senso ha indignarsi per il fatto che l’attività imprenditoriale più in espansione nel nostro paese è il sistema delle scommesse legalizzate (o per l’indecente scontro tra lo stato centrale e i comuni sull’accaparramento degli introiti che provengono da questo giro d’affari) se la cultura dominante che governa le nostre vite è quella dei proprietari delle sale da gioco? Lo stato attuale (la mentalità che ne detta il funzionamento) è uno scommettitore che bara con se stesso illudendosi di ingannare il caso. Necessariamente spietato con i diseredati che smentiscono le sue illusioni somiglia a un guidatore cieco che travolge i passanti che attraversano la sua strada: finché non andrà a sbattere da qualche parte può pensare che la sua vista funzioni a dovere, che non ci sia nulla di cui preoccuparsi. Un burattino che si sente al sicuro nelle mani dei bari di professione che dominano i «mercati» : morti viventi (sul piano del desiderio), non comuni mortali sventurati.

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