Eventi e sfruttamento: il caporalato 2.0

 

Sara Zuffardi*

Nel gennaio 2025, la Procura di Milano ha disposto il controllo giudiziario sulla cooperativa Fema, fornitrice di personale per eventi e musei, dopo aver accertato paghe inferiori a 5 euro lordi all’ora, assunzioni precarie e condizioni lavorative assimilabili al caporalato. I lavoratori, impiegati anche presso istituzioni culturali come la Fondazione La Scala, venivano sottoposti a turni estenuanti, senza tutele né garanzie minime.

Questo episodio conferma che lo sfruttamento 2.0 non si nasconde più solo nelle fiere o nei centri commerciali, ma è arrivato anche in settori percepiti come “alti” o prestigiosi, come il mondo dell’arte e della cultura.

Nel mondo del lavoro, lo sfruttamento non si nasconde più solo dietro le fabbriche o i campi agricoli. È ovunque. Nei centri commerciali, negli stand promozionali, nei parchi a tema, nei supermercati. Indossa i tacchi delle hostess, la pettorina degli animatori, la polo dei promoter. È fatto di appalti e subappalti, di chat su Telegram, di annunci che sembrano casting per modelle e si rivelano trappole. È un esercito silenzioso che lavora a giornata, senza tutele, senza sindacato, con contratti a chiamata, in ritenuta d’acconto o anche senza.

Il caporalato 2.0
Tutto comincia in una chat. Ce ne sono decine, ognuna con centinaia di iscritti. È lì che girano gli annunci: eventi, fiere, promozioni, stand. A volte l’intermediario è uno solo, altre volte si risponde all’annuncio mandato da A, si firma un contratto con B, ma sul posto comanda C. Una catena di subappalti così lunga da diventare opaca e spesso non si sa neanche bene chi sia davvero il proprio datore di lavoro.
Come nei vecchi incroci del caporalato agricolo, un “capo” virtuale decide chi lavora oggi e chi resta a casa. Basta una segnalazione, anche per aver chiesto un turno umano o per aver parlato di sicurezza, e si viene radiati dalla chat. Senza appello. Tanto la prossima precaria è già pronta a subentrare.

Contratti trappola e turni estenuanti
I turni sono di 10-12 ore. A cui spesso si aggiungono, fuori contratto, mezz’ora prima per allestire e un’ora dopo per pulire. I corsi sulla sicurezza non esistono. Gli infortuni si tacciono. Ferie, malattia, maternità non sono previsti per chi lavora a giornata.
Molti contratti sono a ritenuta d’acconto anche se il lavoro è conitnuativo. Alcuni sono firmati con agenzie terze. quasi sempre includono clausole vessatorie con penali a carico del lavoratore, che può essere costretto a risarcire l’intero evento più i danni d’immagine, anche in caso di semplice assenza. E spesso quei contratti non prevedono neppure la doppia firma, obbligatoria per le clausole più gravose.

In un evento organizzato per bambini, il regolamento non scritto vietava di andare in bagno durante il turno. Diverse colleghe erano lasciate da sole a gestire interi gruppi di bambini, senza possibilità di allontanarsi neanche per pochi minuti. Una di loro si è sentita male, ma non aveva nessuno a cui lasciare i bambini. Tutto questo in ambienti pieni di musica, giochi, confusione.

Lavoratrici invisibili
C’è una collega che sogna ancora di diventare insegnante, e lavora nei weekend come hostess da dieci anni per permettersi una stanza a Roma. Tre amiche che fanno questo lavoro ogni giorno da quando, dopo la maternità, nessuna azienda le ha più assunte. Una donna di 44 anni, licenziata, ora lavora tutti i giorni in un evento diverso tentando di raccogliere i contributi per la pensione.

E poi ci sono i lavoratori stranieri. Spesso organizzati in chat separate, mandati a lavorare totalmente in nero, tenuti “dietro” le quinte. Le hostess a chiamata sono la facciata regolare, pronte a essere esibite nel caso arrivi un controllo. Gli altri si nascondono.
Tutto viene giustificato come “lavoro temporaneo”. Ma in molti casi è un tempo indeterminato di precarietà.

Estetica e gerarchie
Se si naviga sui siti delle agenzie di intermediazione di manodopera, molte si dipingono come agenzia per modelle, figuranti e attori alle prime armi. Gli annunci possono essere mascherati da casting di moda, con richieste assurde come altezza minima 1,80 e taglia massima 38. Trucco, parrucco e divise sono a carico proprio. All’interno dei team c’è una gerarchia che premia età e “bella presenza”, per giustificare paghe più basse a chi non rientra nei canoni. Nessun tesserino, nessuna procedura d’accesso, divisioni nette per sesso, zero pari opportunità.

Grandi catene, outlet, supermercati
Il problema è trasversale. Nei magazzini lavorano solo uomini, senza corsi sicurezza né visite mediche, anche se sollevano pesi per ore. Nei supermercati si lavora un livello sotto i colleghi “veri”, subendo umiliazioni da parte dei responsabili.
In un negozio nell’outlet di Castel Romano, il contratto era sulla carta era di circa 8 euro l’ora per una giornata da commessa. Ma le richieste reali erano quelle di una responsabile: dirigere lo staff, fare la cassa, tenere la contabilità. Ma anche allestire, pulire, trasportare merce fragile e pesante dal magazzino fuori gli orari di apertura, quindi quasi 12 ore reali al giorno. Nessun riposo settimanale. Nessuna pausa. Solo una giustificazione: “Tanto è solo per un mese, ti puoi riposarti tra un turno e l’altro”.

Nelle grandi catene si lavora tutte le settimane, sempre le stesse ragazze. Clausole unilaterali, sedi sparse per la provincia e decise insindacabilmente dal committente, i turni imposti. Eppure per ogni singola giornata si firma un contratto di lavoro occasionale diverso. Si deve dare la disponibilità in anticipo, ma si viene confermati all’ultimo momento, senza indennità di disponibilità nel caso non si venga scelte e si perda la giornata. Non si ha accesso ai servizi per i dipendenti, come dispenser per l’acqua, mensa e sale riposo. Bisogna persino usare i bagni pubblici. In caso di emergenza, si ricevono istruzioni come i clienti. Perché formalmente, non si è nemmeno dipendenti.

Il lavoro degli eventi è il laboratorio dello sfruttamento
Dietro il sorriso delle hostess, le finte selezioni-spettacolo spacciate per casting e gli stand promozionali, c’è una nuova forma di lavoro povero, il lavoro negli eventi. Dietro quello che viene dipinto come un lavoretto “figo”, un’occasione per “fare esperienza”, ogni giorno centinaia di persone lavorano nell’ombra, senza sicurezza, senza tutele, senza voce. Flessibilità estrema, zero diritti, nessuna possibilità di fare carriera. Solo precarietà legalizzata.

E mentre i riflettori sono puntati su altre crisi, questa si consuma ogni giorno, sotto gli occhi di tutti, ma senza fare notizia.

* da https://diogenenotizie.com

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