La storia “occidentale” che piace a Valditara è coloniale

La storia “occidentale” che piace a Valditara è coloniale

Piero Bevilacqua 19 Aprile 2025 -

Fra le poche politiche “sovraniste” tentate dal governo Meloni, che le ha tradite pressoché tutte, bisogna annoverare certamente le “linee guide” del programma per le scuole elementari e medie varate dal ministro dell’Istruzione Valditara. E precisamente per la centralità assegnata all’insegnamento della storia, secondo gli orientamenti dettati da Galli della Loggia, giornalista e storico, presidente di una sottocommissione ministeriale. Una storia che torna ad essere prevalentemente italiana e occidentale. Non sono mancate le critiche a questa impostazione retrograda e provinciale, ma poco si è riflettuto su un punto fondamentale dell’impostazione ministeriale: la netta separazione della storia dalla geografia.

Della Loggia sostiene che la storia è un sapere inventato dall’Occidente, che appartiene solo a noi, come se gli altri popoli non avessero forme proprie di memoria e di registrazione del proprio passato. In realtà la storia come disciplina delle scienze sociali nasce nel XIX secolo, quale forma di conoscenza che deve fornire identità allo stato-nazione, celebrarne la centralità nello scenario mondiale. Si tratta di una storia-narrazione che racconta di re e capi di stato, successioni dinastiche e guerre. È una disciplina intrinsecamente nazionalista, che ha quale sottofondo ideologico la celebrazione e l’orgoglio di una comunità etnica e culturale. Finalità utilizzata per il raggiungimento dell’unità e dell’indipendenza come per Grecia e Italia. Per gli altri Paesi d’Europa è una disciplina che deve giustificare il dominio coloniale. L’Ottocento è anche il secolo in cui nasce l’antropologia per studiare i popoli “primitivi” sottomessi, così come la geografia per esplorare territori e risorse dei paesi dominati.

È nel XX secolo, dopo che il marxismo e le ideologie socialiste hanno penetrato la cultura occidentale con il loro universalismo, che il divorzio tra la storia e le altre scienze sociali viene infranto. È merito grandissimo della storiografia delle Annales (1929), di storici eminenti come Marc Bloch e Lucien Febvre, se la storia smette di raccontare eventi delle élites e analizza processi, oltrepassa gli spazi nazionali, fa storia anche delle condizioni delle masse anonime rimaste fino ad allora fuori dalla narrazione del passato. Fernand Braudel, scrive un monumento della storiografia di tutti i tempi con la sua Méditerranée (Civiltà e imperi del mediterraneo nell’età di Filippo II) in cui fa storia del mare, delle montagne, dei fiumi, dei suoli agricoli. La straordinaria rivoluzione culturale che si produce in Francia nel 900, è possibile grazie al coinvolgimento della geografia nel racconto storico, ma anche delle scienze prima separate dell’antropologia, della demografia e di molti altri saperi. La divisione coloniale della conoscenza del mondo viene superata. La storia diventa una disciplina democratica, dà conto delle condizioni materiali, delle forme del lavoro, della mentalità, perfino della sessualità delle popolazioni del passato, ma rompe anche un paradigma millenario: mostra l’azione umana nella sua collocazione territoriale, alle prese con fiumi, foreste, condizioni climatiche.

Tale ricomposizione dei saperi – questa sì ragione di vanto della cultura critica e universalistica d’Europa – è dunque alla base anche della storia ambientale, fiorita negli ultimi decenni a livello mondiale, e ha consentito di mostrare come la rimozione della natura costituiva una forma di occultamento del saccheggio delle risorse naturali dei Paesi colonizzati. La restaurazione della vecchia separazione dei saperi, da parte di questo governo e dei suoi esperti, tradisce il regresso culturale di un ceto politico incapace di superare la dimensione di relitto ideologico del primo 900.

«Nazionalismo occidentale»: ecco cosa intende

La formula meloniana Cos’è il «nazionalismo occidentale»? Sappiamo che l’espressione è stata usata da Giorgia Meloni nel corso della sua conversazione con Trump. Secondo Robert Tait, corrispondente del Guardian da Washington, la presidente […]

Mario Ricciardi 19/04/2025

Cos’è il «nazionalismo occidentale»? Sappiamo che l’espressione è stata usata da Giorgia Meloni nel corso della sua conversazione con Trump. Secondo Robert Tait, corrispondente del Guardian da Washington, la presidente del consiglio italiana l’avrebbe introdotta precisando che si tratta di un’espressione nuova, della cui appropriatezza ha detto di non essere certa. In realtà, non è stata la prima volta che Meloni ha usato, in inglese, la formula «western nationalism».

Lo aveva già fatto nell’ottobre scorso, sempre negli Stati uniti, durante la cerimonia nel corso della quale le era stato conferito un premio dal think tank conservatore Atlantic Council. In quella sede, Meloni aveva attribuito la paternità dell’espressione a Anthony J. Constantini, autore di un articolo pubblicato sul sito Politico il 4 settembre del 2023, grosso modo un anno prima, che aveva come titolo «Meloni’s Western Nationalism» (il nazionalismo occidentale di Meloni).

Si tratta di un commento pieno di elogi per la leader di Fratelli d’Italia. In particolare, Constantini contrappone il nazionalismo della «piccole patrie» di leader come Orbán, a un diverso atteggiamento che considera di maggiore respiro e ambizione politica: «Questo nazionalismo occidentale, che ha come obiettivo la sopravvivenza e la prosperità della civiltà occidentale – anziché concentrarsi esclusivamente sul proprio Stato – è una novità sulla scena europea. E in quanto tale, ha la possibilità di rielaborare radicalmente il funzionamento della politica dell’Unione europea».

In sostanza, l’innovazione introdotta da Meloni, secondo Constantini, sarebbe di aver superato il nazionalismo «classico», per così dire, che vede le nazioni come potenzialmente in conflitto, per sostituirlo con una variante «occidentale», che farebbe riferimento a una «civiltà» e non a un’identità nazionale.

Vale la pena di sottolineare che, nella sua conversazione con Trump, Meloni dopo aver affermato di non essere certa che «western nationalism» fosse l’espressione adatta a esprimere il suo pensiero, ha aggiunto: «Parlo principalmente di Occidente, ma non mi riferisco allo spazio geografico. Parlo di civiltà (civilization), e voglio renderla più forte».

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Si direbbe proprio che sia la stessa tesi cui alludeva Constantini. Tutto sommato, è comprensibile che Meloni non abbia fornito a Trump i riferimenti bibliografici. Sappiamo che l’uomo non è incline a soffermarsi su un tema di conversazione, specie se non è lui a parlare, ma credo valga la pena di chiedersi perché Meloni è rimasta così colpita dalle osservazioni di un PhD student molto attivo (Constantini scrive per diversi siti di area conservatrice) e con un passato da undergraduate all’università di San Pietroburgo.

La spiegazione più plausibile è che nel «western nationalism» Meloni abbia trovato una formula in qualche modo congeniale, che si riallaccia anche a una vecchia idea del partito nel quale è avvenuta la sua formazione politica.

Penso a quella «Europa nazione» che un tempo veniva contrapposta al progetto mercantile e materialista delle comunità europee.

Le cose sono molto cambiate da quando quella formula circolava nelle discussioni interne alla destra fascista e post-fascista italiana. Oggi abbiamo una Unione europea che è percorsa da inquietudini che hanno spinto diversi partiti moderati e conservatori a spostarsi a destra. In questo nuovo clima, quella che un tempo era una tesi richiamata soprattutto per distinguersi, senza arrivare a dirsi antieuropei, può diventare (opportunamente tradotta in inglese) il nome di un progetto egemonico.

Meloni è senza dubbio molto ambiziosa, e coltiva la speranza, se non di prenderne la guida, certamente di avere un ruolo centrale nella trasformazione dell’Unione europea in una civiltà che assume un ruolo non solo culturale ma geopolitico.

Vero che il «nazionalismo occidentale» è diverso da quello classico. Quella «infiammazione della coscienza nazionale» – come la chiamava Isaiah Berlin – che è stata tra le cause di due guerre mondiali. Ma ciò non vuol dire che si tratti di un’idea politica benigna, mansueta, che non debba destare preoccupazioni. La civiltà occidentale da restaurare e proteggere dalla minaccia degli «altri» è un tema del suprematismo bianco sin dai tempi della guerra civile americana, e forse non è un caso che proprio da oltre oceano arrivi il suggerimento raccolto da Meloni.

valditara4


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