
In ricordo di Ivano Di Cerbo un comunista vero
Pubblicato il 18 apr 2025
di Raul Mordenti -
Trascorso qualche tempo dall’emozione per la scomparsa del compagno Ivano Di Cerbo è opportuno tornare a riflettere sulla sua figura e sugli insegnamenti che ci ha lasciato.
La prima lotta importante che io conosca di Ivano è stata la sua partecipazione al Luglio ’60, e agli scontri degli antifascisti in difesa della democrazia che si svolsero fra Porta San Paolo e Testaccio. Dal 1964 Ivano fu un militante del neonato PSIUP, poi accompagnò il nostro ’68 e partecipò alla fondazione del “Manifesto”. A quel giornale fu sempre fedele, e lo sostenne sempre, perfino indipendentemente dal consenso con la linee che vi via quel giornale esprimeva (ricordo, ancora poco tempo, fa una grande cena di sottoscrizione da lui organizzata). Militante e dirigente del PdUP, Ivano non condivise affatto la confluenza di quel Partito nel PCI e, rifiutando quella confluenza, dette vita, con l’indimenticabile Antonia Sani, Lidia Menapace e altri/e compagni/e di quel livello, al MPA.
Fu da allora che si incontrò con lui la mia strada di militante dei movimenti e di DP. Ebbi da lui, da allora in poi, una grande lezione di spirito unitario vero, che mirava a costruire incontri, aggregazioni, lotte comuni.
Ivano non fu mai iscritto a DP, eppure ci sostenne sempre, anche nei momenti più difficili, accettando di candidarsi (senza nessuna possibilità di essere eletto) alle Comunali di Roma del 1989 all’indomani della scissione Verdi-Arcobaleno (come fece anche Antonia Sani alle regionali successive). Sono state per me e tanti delle lezioni etico-politiche impossibili da dimenticare. Caratterizzarono sempre Ivano l’assoluto disinteresse personale e la modestia rivoluzionaria, doti così rare nel personale politico della nuova sinistra, il quale – gli anni trascorsi ci obbligano ormai a un giudizio storico sine ira et studio – si è caratterizzato semmai per le caratteristiche opposte, cioè per personalismo, leaderismo, arrivismo (che tanto hanno contribuito alla fine ingloriose di molte esperienze della nuova sinistra). Il fatto che un vero dirigente comunista come Ivano non sia mai stato eletto in nessuna istituzione direi che rappresenta emblematicamente il fatto (tragico) che nella nuova sinistra ha operato una sorta di selezione alla rovescia, cioè che siano stati esclusi i migliori (i più comunisti) e siano stati spesso promossi invece nelle istituzioni i peggiori (i meno comunisti), pronti peraltro in moltissimi casi a lasciare, una volta eletti, il partito e la classe.
Io, che l’ho sentito di persona tante volte, posso testimoniare che nessuno di noi era capace come Ivano di improvvisare un comizio in strada, davanti a una folla, eppure lo ricordo anche occuparsi in prima persona del problema se la pasta fosse cotta a puntino, oppure no, alle cene del Centro di Cultura Popolare del Tufello in cui militava. È per me un ricordo particolarmente bello un Primo Maggio organizzato da Ivano nel suo quartiere, con un forte corteo e un pranzo sul prato seguito dalle musiche di Giovanna Marini (e di Antonio Gramsci jr).
L’ultima impresa comune con Ivano fu la fondazione nel 2014-16 di una Università popolare che volemmo intitolare a Gramsci. Già avevamo partecipato insieme a diversi tentativi, presso il “Rialto occupato”, poi presso la “Casa delle Culture” diretta da Franco Ottaviano (un altro compagno meraviglioso, generoso e unitario, che ci manca tanto), poi ancora con il CIPEC di Claudio Gambini. Sulla base della lezione di quelle e altre similari esperienze questo nuovo tentativo lo concepimmo (sempre su impulso decisivo di Ivano) come fortemente unitario e aperto, assolutamente antidogmatico, soprattutto aperto alla discussione alla ricerca, come nella natura di una università degna di questo nome.
Parteciparono a questa impresa (a cui si legò poi anche un giornale on line, “La Città Futura”) tanti/e compagni/e non necessariamente comunisti, come Eugenio Cirese già prestigioso giornalista di “Repubblica”, Valerio Strinati dell’Ufficio studi del Senato, Anna Maria Fracassi, Paolo Miggiano, Antonino Infranca, Lelio La Porta, Claudio Gambini, ma anche Marco Luzzatto (animatore della “Fondazione Pintor”), Vittorio Bellavite (fondatore di “Noi siamo Chiesa), alcuni/e compagni/e del “Circolo Gianni Bosio”, e tanti/e altri/e di cui non posso ricordare qui il nome. Oltre agli ovvii corsi sul pensiero di Gramsci furono messi in cantiere una scuola di giornalismo (con particolare riferimento alle modalità on line) e un ambizioso sforzo di storia d’Italia più recente, in cui Ivano, già “ragazzo del luglio ’60″, portava dirette e preziose testimonianze. I corsi che si svolgevano al cinema Palazzo occupato (un’esperienza vitale spazzata via dal legalitarismo criminale del Comune di Roma: ora in quei locali, sottratti ai/lle giovani del quartiere, pascolano i topi) erano preceduti da riunioni con i compagni occupanti, per definire insieme a loro i temi e le modalità dei corsi, e ciò in ossequio al carattere partecipato, unitario e anti-dogmatico che voleva caratterizzare quella esperienza. Queste discussioni preliminari, cioè far emergere e organizzare una sorta di “committenza sociale collettiva” dei nostri corsi, erano parte essenziale del progetto di una Università intitolata a Gramsci.
Tutto ciò fu semplicemente spazzato via dalla banditesca appropriazione operata da un gruppetto ultra-dogmatico (e con rapporti internazionali alquanto sospetti), in violazione non solo delle regole di reciproco rispetto che dovrebbero segnare sempre i rapporti fra chi si dice compagno ma anche dello Statuto dell’associazione. (Per una descrizione più accurata, e ampiamente documentata, di quel grave episodio di “rosso-brunismo” e della contraddizione antagonista fra chi scrive e il gruppo che si impadronì de “La Città Futura” rinvio a: https://raulmordenti.it/a-proposito-di-lcf-e-di-donbass-si-puo-cobelligerare-coi-fascisti-agli-ordini-di-putin/?highlight=putin#post-1244-_Toc22416 ).
Nessuno di noi “fondatori” ebbe la voglia e il tempo di reagire a quella mascalzonata; l’UniGramsci e “La Città Futura” morirono, ridotti a luoghi per narcisistiche esibizioni di dogmatismo. Ricordo che fu sempre Ivano a sconsigliare di rivolgersi alla giustizia borghese (come pure quei personaggi avrebbero meritato). Si trattava solo, mi disse sconsolato Ivano, di prendere atto – una volta di più – della terribile potenza distruttiva del settarismo e del dogmatismo, malattie senili della ex-nuova sinistra.
Tutti noi, e Ivano più di tutti, avevamo cose più urgenti da fare. Naturalmente Ivano più di tutti cose importanti e urgenti ha continuato a farle, anche nonostante la malattia e l’assenza da Roma, fino ai suoi ultimi giorni.
Solo una certezza ci può consolare della sua perdita: non muore chi vive nel ricordo dei suoi compagni.
Sostieni il Partito con una
Appuntamenti