Il Gramsci ‘inattuale’ di Guido Liguori

Il Gramsci ‘inattuale’ di Guido Liguori

di Franco Ferrari -

Nell’ultimo periodo sono stati pubblicati diversi volumi dedicati all’analisi del pensiero e alla ricostruzione della vita di Antonio Gramsci. Oltre alla nuova, aggiornata e ampliata biografia di Angelo D’Orsi (Gramsci: Una nuova biografia, Feltrinelli), sono usciti contributi di Gianni Fresu (Questioni gramsciane. Dall’interpretazione alla trasformazione del mondo, Meltemi), di Massimo Modonesi (Gramsci e il soggetto politico, Bordeaux). In Francia è stato pubblicato un testo di quasi 600 pagine dedicato a L’oeuvre-vie d’Antonio Gramsci (La Decouverte) scritto da Romain Descendre e Jean-Claude Zancarini. A questi si devono aggiungere i Nuovi sentieri gramsciani di Guido Liguori. “Nuovi” perché lo stesso autore aveva già pubblicato precedentemente un’altra raccolta di saggi intitolata ai Sentieri gramsciani.

L’opera di Liguori, che è l’oggetto di questa nota, raccoglie in forma revisionata, diversi saggi precedentemente pubblicati ma non facilmente reperibili dal lettore non specialista. La loro raccolta consente di avere una visione più precisa dei singoli temi affrontati, ma anche della loro coerenza interna e dei rimandi impliciti dall’uno all’altro. Liguori propone una metodologia del tutto apprezzabile nello studio del pensatore e rivoluzionario sardo: lo scrupolo filologico che consente di illuminarne il pensiero a partire dall’analisi accurata (l’ermeneutica) dei testi così come sono stati ricostituiti nel corso del tempo da un accurato lavoro di identificazione e collocazione temporale. Lavoro che è ancora in corso con la pubblicazione dell’Edizione Nazionale a cura della Fondazione Gramsci.

Liguori parla anche di “inattualità” di Gramsci. Questa considerazione parte dalla denuncia di un rischio che spesso si è registrato nel passato, ovvero di estrapolare idee, concetti, riflessioni metodologiche in modo tale da renderlo sempre attuale in ogni contesto e in ogni tempo. Questo ha portato spesso a piegare il pensiero e l’azione politica gramsciana ad esigenze contingenti di battaglia politica ed ideologica. Forzature in tal senso commise certamente il PCI, come per altro lo stesso Togliatti ammise in uno dei suoi ultimi interventi dedicati a Gramsci, ma anche, e spesso ancora di più, vi furono da parte di coloro che cercarono di usare Gramsci “contro” il PCI, sia per piegarlo verso sinistra (le interpretazioni consiliariste o semi-trotskiste) oppure verso destra (quasi a farne un precursore della svolta dell’89 che condusse allo smantellamento del PCI).

Se esiste indubbiamente il pericolo di letture forzate di Gramsci ci si può anche chiedere però se non si cada ora nel pericolo opposto, di cui mi pare abbia segnalato l’evidenza Angelo D’Orsi in un’intervista al Fatto quotidiano: la cancellazione del pensiero di Gramsci dalle riflessioni politiche della sinistra con la sua consegna invece alle interpretazioni (strumentali per lo più) della destra. Quel “gramscismo di destra” che ha avuto i suoi maggiori proponenti tra la Nuova Destra francese. C’è in questo probabilmente la ricaduta di due fattori. Il primo evidentemente la scomparsa del PCI che ebbe nel riferimento al pensiero gramsciano un elemento fondamentale della propria cultura politica e dall’altro il tendenziale abbandono da parte della sinistra radicale e ancora più dell’estrema sinistra di quella che Daniel Bensaid definiva come la “ragione strategica”.

Opportunamente il punto di partenza per collegare diversi temi presenti nel libro di Liguori è rintracciabile proprio nel primo capitolo, dedicato al “concetto di rivoluzione” elaborato in Gramsci, partendo dalla sua peculiare e nota analisi della rivoluzione russa come “rivoluzione contro il Capitale”. Un abile gioco linguistico nel quale “il capitale” è evocato nel doppio significato: il capitale del capitalismo ma anche come titolo dell’opera fondamentale di Marx. Questa rielaborazione fondamentale dell’idea di rivoluzione intreccia la maturazione del pensiero gramsciano. Nella fase più giovanile, esso si appropria di quegli autori che potevano mettere in discussione l’evoluzionismo positivista prevalente nel movimento socialista, assumendo però più del necessario elementi idealistici e volontaristici. Ma l’importanza di Gramsci emerge dal suo porre in termini nuovi rispetto all’esperienza russa, l’idea di rivoluzione, aprendo un enorme cantiere di riflessioni teoriche come di esperienze pratiche.

Vale la pena di riportare una citazione gramsciana riferita da Liguori:
“la determinazione, che in Russia era diretta e lanciava le masse nelle strade all’assalto rivoluzionario, nell’Europa centrale e occidentale si complica per tutte queste superstrutture politiche, create dal più grande sviluppo del capitalismo, rende più lenta e più prudente l’azione delle masse e domanda quindi al partito rivoluzionario tutta una strategia e una tattica ben più complessa e di lunga lena di quelle che furono necessarie ai bolscevichi nel periodo tra il marzo ed il novembre 1917”.

Si può ritenere che questa sia gran parte della chiave del pensiero di Gramsci, quando sviluppava questa ricerca da dirigente politico e in un contesto reso ovviamente complesso sia dalla situazione italiana, con l’ascesa del fascismo, sia internazionale, con l’evoluzione (o involuzione) del partito bolscevico dopo la morte di Lenin e in modo più distaccato ma anche teoricamente profondo nelle riflessioni del carcere.

Definizione di strategia e tattica “complessa e di lunga lena” come compito del “partito rivoluzionario”. Una indicazione tutt’altro che banale che indica la necessità di una specifica “teoria politica” e della definizione di concetti adeguati a dare sostanza a questi due elementi: strategia e tattica.

Si tratta, nel pensiero gramsciano, di uno sviluppo progressivo che tiene conto della concreta esperienza politica. Diversi saggi di Liguori danno conto del concreto misurarsi con diversi aspetti della definizione di elementi fondamentali di questo pensiero.

Si possono segnalare in proposito soprattutto i capitoli sulla “democrazia dei consigli” particolarmente presente nell’azione gramsciana prima della fondazione del Partito Comunista d’Italia. Liguori colloca la sua riflessione nel dibattito europeo che darà vita ad una vera e propria corrente politica: quella del comunismo dei consigli. Di cui Gramsci fece in qualche misura parte, ma in modo originale e senza arrivare a contrapporre consigli e partito (quindi Lenin), come invece fecero altri esponenti di questa tendenza.

Nello stesso “sentiero” di riflessione si può collocare l’analisi del rapporto tra Gramsci e il pensiero di Rosa Luxemburg che risulta in evoluzione nei testi di Gramsci. Cruciale in questo percorso di avvicinamento ed allontanamento tra i due rivoluzionari è il tema del rapporto tra spontaneità e direzione consapevole. La sintesi della critica del rivoluzionario sardo alla grande dirigente comunista polacca (prima) e tedesca (poi) è contenuta in questo passo che Liguori cita: “era (quello della Luxemburg) una forma di ferreo determinismo economistico, con l’aggravante che gli effetti ne erano concepiti come rapidissimi nel tempo e nello spazio: perciò era un vero e proprio misticismo storico, l’aspettazione di una specie di fulgurazione miracolosa”. Il giudizio di Gramsci non era del tutto corretto e si basava anche su una insufficiente conoscenza dell’evoluzione del pensiero della Luxemburg. Ma la critica può continuare ad essere valida nei confronti di altre tendenze tutt’ora attive.

Per Gramsci nell’ambito della costruzione di quella strategie e tattiche “complesse di lunga lena” era rilevante individuare quali fossero gli attori sociali di un processo di trasformazione che non potevano, e non possono, essere dati come costituiti per sempre, in attesa che l’evoluzione storica li conduca “all’onor del mondo” (e questa era in buona misura la visione bordighiana). Si possono collocare in questa dimensione di riflessione e di ricerca almeno tre capitoli del lavoro di Liguori. Quello su questione contadina e questione meridionale, tema che è sempre stato al centro degli studi e delle riflessioni su Gramsci, quello sul rapporto con Lenin e la dialettica partito-masse e, infine, quello sul concetto dei “subalterni”. Quest’ultimo ha trovato ampia eco in molte riflessioni recenti, soprattutto in quelle scuole di pensiero che si sono misurate sul tema della decolonizzazione. La categoria “subalterni”, segnala Liguori, è diventata una delle più diffuse a partire dagli anni ’80 a partire dalle analisi del collettivo indiano dei “Subaltern Studies”.

Liguori ritiene, e direi che si possa concordare con la sua valutazione, che l’uso dell’espressione classi subalterne abbia costituito un arricchimento del discorso marxista tradizionale sulla classe operaia o proletaria. “Pur nella consapevolezza che questo non deve farci correre il rischio di smarrire l’ancoraggio dell’azione dei soggetti alla “società economica”, alla struttura e alla divisione della società in classi – la qual cosa fa di Gramsci un marxista -, va valorizzato il fatto che con la coppia egemoni/subalterni Gramsci ci offre categorie più larghe e di maggiore applicabilità rispetto a quelle classiche (borghesi/proletari)”.

In queste riflessioni sulle classi subalterne si può anche leggere, a mio parere, una revisione critica di quanto veniva affermato nelle tesi di Lione (frutto della collaborazione tra Gramsci e Togliatti nella quale il primo ebbe un ruolo determinante) laddove si affermava che la classe operaia “viene, naturalmente unificata dallo sviluppo del capitalismo secondo il processo della produzione”. In realtà il capitalismo non ci fa il favore di unificare il suo antagonista, semmai, soprattutto con l’evoluzione del capitalismo stesso negli ultimi decenni, opera per frammentarlo. Non sono mancate tendenze che hanno visto nell’analisi sociologica, tesa ad individuare il nuovo soggetto rivoluzionario, sorgente in qualche modo già bello e pronto dalle dinamiche di sviluppo del capitale, il principale compito delle forze anticapitaliste.

Per Gramsci, come abbiamo visto, per il partito rivoluzionario sono fondamentali strategia e tattica “complesse e di lunga lena”. È in questa prospettiva che assume particolare interesse il rapporto col pensiero di Machiavelli, al quale Liguori dedica un capitolo di grande accuratezza filologica. È noto che il comunista sardo attribuirà, in un contesto storico evidentemente profondamento modificato, il compito che Machiavelli riconosceva al Principe, protagonista della sua opera fondamentale, al partito politico delle classi subalterne.

Molte riflessioni, anche critiche, sono state dedicate a questa concezione del partito. Senza poterne qui approfondire i termini non c’è dubbio che l’esperienza storica e le critiche derivanti dai movimenti (in primo luogo dal femminismo), ma soprattutto il mutamento profondo avvenuto nel rapporto tra società e politica hanno portato a ripensare e in parte a ridimensionare il ruolo di un potenziale “moderno Principe”. Ma le riflessioni gramsciane restano di grande utilità laddove indica la necessità di fondare strategia e tattica nell’analisi dei rapporti delle forze internazionali, per passare ai rapporti obiettivi sociali, ai rapporti di forza politica e di partito e ai rapporti politici immediati.

Un’analisi concreta dei rapporti di forza deve servire a giustificare una attività pratica, una iniziativa di volontà. Per questo diventa indispensabile mostrare i punti di minore resistenza dell’avversario, dove la forza di volontà può essere applicata più fruttuosamente e da qui scaturiscono le operazioni tattiche immediate, le campagne di agitazione politica, il linguaggio meglio compreso dalle moltitudini. Avendo presente che l’elemento decisivo di ogni situazione è “la forza permanentemente organizzata”. Al di fuori di questo restano “il misticismo” e la “fulgurazione miracolosa”.

transform-italia.it


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