
Valerio Evangelisti e l’insurrezione immaginaria
Pubblicato il 12 giu 2023
Dmitrij Palagi*
Questo il video dell’iniziativa: https://www.
Prima premessa. Ogni persona aspira a essere felice? Lo scopo della vita ha a che fare con la politica, perché nessuna individualità può esistere senza altro intorno, o almeno non può formarsi ignorando le interazioni con la società.
Seconda premessa. In qualsiasi sistema è inevitabile che si creino equilibri di potere? Lo Stato è una soluzione organizzativa data per dare forma alla dimensione della sovranità nazionale, che la tradizione scientifica vuole caratterizzata dal monopolio esclusivo della violenza considerata legittima.
Valerio Evangelisti scrive anche di questo. Della relazione tra soggettività, collocate in momenti diversi della storia e con un’alterità presente anche all’interno di sé. Dell’importanza di lottare, di resistere alla colonizzazione dell’immaginario, dove passato, futuro, miti, paure e sogni si mescolano.
Le rivoluzioni e le insurrezioni si legano a condizioni materiali e a interessi concreti, fino a conquistare le persone a cause da cui dipendono le esistenze stesse (sono parole usate in una raccolta di saggi sulle sinistre eretiche, del 1985, per parlare del movimento sandinista).
Nella differenza tra cultura alta e bassa, si arriva a frammentare il vissuto. L’esperienza tiene insieme tutto, contribuisce a formarci, in uno stratificarsi di elementi anche contraddittori. Scorgere l’oppressione, con cui il capitalismo nega ogni possibilità di alternativa, non è semplice.
Un inquisitore medievale, un pirata dell’età moderna, un contadino della prima età contemporanea cosa possono avere in comune? La vita. E un rapporto con il potere dove è facile cedere alle debolezze. Non c’è edulcorazione nella narrativa di Evangelisti. Ci sono tracce di dolcezza, ironia, cinismo e rabbia liberatoria, ma senza semplificazioni o ingenuità.
Disciplina, coerenza strategica e sguardo costantemente rivolta all’umanità di ogni esistenza sono un’indicazione per costruire una comunità in cui vedere dissolto lo Stato.
Il fatto che il Black Panther Party arrivi a mettere in discussione il diritto di proprietà è un attacco alle «radici stesse della cultura statunitense», che lo rende «effettivamente nazione separata, avanguardia coloniale. La divulgazione nei ghetti delle tesi del BPP rappresenta la maggiore minaccia mai addensatasi sul sistema di valore che sorregge gli Stati Uniti». Il «mare vischioso» dell’ideologia americana penetra come una religione e pone termine alla vicenda delle Pantere Nere. Ma non è una sconfitta definitiva. «Il fatto che una concezione ottimistica dell’uomo, cooperativa e non competitiva, razionale e non istintuale, sia per un attimo affiorata proprio negli strati più umiliati e disgregati del proletariato moderno, illumina il rabbioso socialismo del Black Panther Party di luce sorprendente positiva»[1].
È la luce del sole dell’avvenire, pronta a illuminare dappertutto. L’ambizione di poter essere meglio di semplice materia da consumare e consumata. Un anelito contro il potere, un’istanza costante di liberazione, faticosa. Perché la resa appare sempre più attrattiva della lotta, anche quando la disperazione e la necessità rendono insopportabile la propria condizione: ma di fronte a un conflitto ci sarà sempre un compromesso pronto a risolvere la situazione individuale.
L’istanza collettiva si costruisce invece sulla comunità. Dove il riconoscimento reciproco non deve cancellare le diversità e non deve sopprimere le differenze.
Eymerich diventa ossessionato dalla costruzione di una società razionale, ordinata, dove si possa ottenere una vittoria definitiva. Verrà consumato e consumerà la storia dell’umanità, dell’universo. Si fa strumento di Dio, o meglio della Chiesa, imponendosi come assoluto. Di fronte a una vittoria simile, meglio la sofferenza di una sconfitta, cadendo dalla parte giusta della barricata?
La risposta non è facile. Perché Evangelisti diffidava da chi ricercava la soddisfazione della professione di dogmatiche verità, per quanto eretiche. Il tema era cambiare la società.
Per migliorarla, va pensato che le nostre vite possono essere migliori, che possiamo aiutare chi abbiamo intorno a liberarsi. Con umiltà e ambizione. Entrambe non mancano neppure all’inquisitore di Girona, convinto di essere nel giusto.
Il Magister ci ha lasciato universi preziosi, pieni di moniti e speranze. Non solo. Per chi ha avuto la fortuna di condividere anche solo una parte della sua vita, ha lasciato anche un esempio di come si possa esercitare il potere, con autorevolezza e senza autorità, mettendosi a disposizione, con una generosità discreta quando profonda. Tante sono le comunità nate attorno a lui, tra cui quella di un’associazione in cui si sono ritrovate esperienze diverse dopo la sua morte.
Questo dialogo sull’immaginario si concentra su alcuni dei contributi raccolti da L’insurrezione immaginaria. Valerio Evangelisti autore, militante e teorica della paraletteratura (Mimesis, 2023), grazie alla disponibilità di Domenico Gallo e Alberto Sebastiani, raccontando anche dell’Associazione Valerio Evangelisti – Il sole dell’avvenire, recentemente presentata a Bologna, in una bella e partecipata tre giorni. L’iniziativa si tiene al Next Emerson di Firenze, un centro sociale che ha molto da dire sulla costruzione e la cura di immaginari resistenti alla colonizzazione del capitalismo.
A marzo del 2021 organizzammo un dialogo direttamente con Valerio. Nella parte finale, prima di salutarci, ha usato queste parole: «siamo messi così. Come se ne uscirà? Non lo so, dipende da voi».
* Responsabile cultura e formazione PRC/SE
[1] Valerio Evangelisti, Sinistre Eretiche, Sugarco Edizioni, Milano, 1985, p. 112.
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