
Se anche l’euro ormai è diventato un dogma
Pubblicato il 29 giu 2013
di Enrico Grazzini ::
Ormai in tutto il mondo si discute del fatto che l’euro a guida tedesca è la principale causa della depressione economica europea e che probabilmente il sistema non reggerà. In Italia però l’euro, anche e soprattutto a sinistra, è considerato un dogma di fede, alla stessa stregua del mercato per i liberisti e dell’Immacolata Concezione per i cattolici. Anche perché è sempre stato considerato una conquista europea del centrosinistra di Prodi. Ma la moneta unica europea, di cui la Germania è principale azionista, lungi dall’essere motore di sviluppo è diventata la prima causa della recessione, della disoccupazione e della deindustrializzazione dei paesi periferici dell’Europa, i cosiddetti Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna).
I paesi europei che non hanno adottato la moneta unica – come la Svezia, la Danimarca, la Polonia – stanno ormai recuperando la crisi iniziata nel 2008, mentre l’eurozona continua invece la sua caduta libera. La situazione è diventata drammatica. In Italia gli interessi pagati dallo stato italiano cresceranno perché la Fed, la banca centrale americana, ha deciso la fine del denaro facile. La resa dei conti si avvicina. L’Italia continua la sua corsa verso il basso: i dati sulla produzione, sulla disoccupazione, sul debito, sul degrado dei servizi pubblici e sulla divaricazione tra nord e sud Italia sono spaventosi e tendono al peggioramento.
Il governo Letta del Pdl e Pd cerca solo di ottenere qualche briciola di concessioni dalla Germania e dalla Ue ma non intende contrastare i vincoli dell’euro. Così è probabile, che tra qualche mese saremo costretti a subire il commissariamento da parte della famigerata Troika (Fmi,Ue e Bce). Anche se non dovessimo chiedere “l’aiuto” , il nostro destino peggiorerà a causa del fiscal compact – sottoscritto da Pdl e Pd senza consultazione popolare, poi contrastato da Berlusconi – che imporrà la restituzione accelerata dei debiti pubblici con ulteriori e insostenibili tagli alla spesa pubblica.
Di fronte a questo triste destino occorre un deciso cambiamento di rotta. E’ paradossale che in Italia proprio la sinistra (anche quella che si proclama marxista) non capisca la gravità e la profondità della crisi, l’incompatibilità di questo euro con lo sviluppo. Il Pd è congelato dalle troppo larghe intese e la sinistra cosiddetta alternativa del 2-3% è considerata solo una sua appendice. Occorrerebbe invece una sinistra capace di opporsi decisamente alle politiche governative e di indicare strade alternative. Purtroppo ci manca. Milioni di elettori sono stati costretti addirittura ad affidarsi a un ex comico autocrate che ha denunciato la gravità della situazione ma che, da demagogo, non ha voluto e saputo indicare soluzioni politiche non fondate solo sulla sua persona. Tuttavia non basteranno certamente gli inviti a diminuire l’austerità e a comprare (giustamente) meno F35 per uscire da questa crisi rovinosa. Occorrerebbe invece avanzare un deciso ultimatum alla Merkel e, se non cambia politica, uscire dall’euro.
Nel suo bel libro “La moneta incompiuta” Marcello Minenna fa i conti sui possibili costi e benefici dell’uscita dall’euro. Spiega che tutti i regimi di cambi fissi (e l’euro è assimilabile senz’altro a un regime a cambio fisso) nella storia sono prima o poi falliti, nessuno escluso, a partire dal gold standard per arrivare al regime basato sul dollaro, fino ad arrivare all’euro. La rottura dell’euro provocherebbe per i paesi che escono e ristrutturano i debiti un conseguente difficile accesso ai mercati finanziari internazionali, l’aumento dell’inflazione interna e maggiore difficoltà a pagare le merci di importazione.
Facendo i conti, Minenna indica che l’Italia potrebbe guadagnare dal recupero della sovranità monetaria e dalla moneta nazionale. Infatti l’Italia ha un alto debito governativo che ricade tutto nella categoria del debito soggetto alla legge nazionale del paesi di emissione, e quindi svalutando potrebbe ripagare buona parte dei debiti nella sua valuta. Inoltre solo un quarto del debito complessivo italiano ricade sotto la giurisdizione estera e andrebbe quindi ripagato in valuta pregiata estera (come è in effetti l’euro). L’Italia ha anche un deficit più basso degli altri paesi deboli della Ue e, grazie al suo cospicuo avanzo primario, dopo la svalutazione non dovrebbe ricorrere eccessivamente al mercato estero per coprire i suoi debiti. Soprattutto il nostro paese potrebbe guadagnare dalla svalutazione competitiva rilanciando le esportazioni e l’industria nazionale.
I maggiori costi di importazione (e la conseguente inflazione) potrebbero essere recuperati grazie alla possibile riduzione dell’enorme peso fiscale che grava sui prodotti petroliferi. Aggiungo che i cittadini e i lavoratori potrebbero essere difesi dall’inflazione grazie a meccanismi di reddito garantito e di recupero automatico del carovita (vedi scala mobile) resi possibili dalla ritrovata sovranità monetaria. L’uscita dall’euro sarebbe certamente un evento traumatico ma l’Italia avrebbe da guadagnare recuperando la moneta nazionale e rinunciando al fiscal compact.
Al contrario la Germania avrebbe tutto da perdere con la rottura delle euro, anche perché dovrebbe rivalutare la sua moneta, e il nuovo marco forte frenerebbe notevolmente le sue esportazioni. Non basta implorare la Germania di essere più generosa e buona con l’Italia. I paesi debitori, tra cui l’Italia e la Francia, dovrebbero tentare di fare fronte unito minacciando di uscire dall’euro se la Germania non rinuncerà subito a imporre politiche recessive di austerità. Se la Germania non accetterà, allora i paesi debitori dovrebbero effettivamente uscire dall’eurozona per non andare in rovina.
ENRICO GRAZZINI
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