Per una nuova stagione della Università (una proposta alternativa ad una dannosa ed inutile utilità)

Per una nuova stagione della Università (una proposta alternativa ad una dannosa ed inutile utilità)

Forse in nessun altro settore come nell’università la continuità assoluta, anzi l’identità, fra le politiche della destra e quelle del centro-sinistra è stata tanto evidente e, purtroppo, dannosa.
Le università, soprattutto quelle statali, sono pilastro essenziale della democrazia e, come tali, vanno adeguatamente sostenute e allo stesso tempo va difeso con determinazione il loro ruolo di enti pubblici.
Per questo ci rivolgiamo alla coalizione politica Unione Popolare, e ci auguriamo che nel Parlamento sia pronta a dar voce a politiche veramente alternative, sostenendo le nostre proposte per una Università finalmente rinnovata:
Dalla competizione alla cooperazione
La politica adottata negli ultimi decenni nella gestione delle Università può essere riassunta in una sola parola: competizione. Competizione tra gli Atenei per accaparrarsi le (sempre minori) risorse del Ministero, competizione tra i corsi di laurea per accaparrarsi gli studenti e le studentesse, competizione tra i dipartimenti per l’assegnazione delle risorse distribuite dagli Atenei, competizione tra i gruppi di ricerca per ottenere punti-organico e infine competizioni tra i singoli docenti per ottenere i famigerati parametri necessari per poter essere candidabili nelle commissioni, nei concorsi o finanche per far parte dei collegi dei Dottorati. Tali competizioni, giocate su tutti i livelli, hanno finito, come era prevedibile, per erodere il “tessuto connettivo” che teneva insieme le piccole e grandi comunità accademiche.

Pur riconoscendo il valore di un sano confronto per la qualità e consapevoli della necessità di riconoscere e premiare i meritevoli, riteniamo che le distorsioni e le criticità prodotte da decenni di esasperata competizione a vari livelli superino largamente i benefici che deriverebbero dal continuare a perseguire queste stesse politiche.

Serve un drastico cambio di paradigma, e le politiche future dovranno essere volte a promuovere cooperazione. Cooperazione tra Atenei, ad esempio con razionalizzazione della offerta didattica (pensiamo agli Atenei che incidono sullo stesso territorio) o per la creazione di laboratori di avanguardia congiunti, cooperazione tra dipartimenti e tra gruppi di ricerca. Queste politiche, certamente più coerenti con una ricerca che è sempre più multi- inter- e trans-disciplinare, favorirebbero anche la nascita spontanea di partenariati di ricerca con “massa critica” sufficiente per essere autorevoli anche a livello internazionale.

Superare la valutazione numerico-burocratica dell’ANVUR
Al fine di raggiungere l’obiettivo brevemente espresso nel punto precedente, bisogna riformare alcuni strumenti, primo fra tutto la valutazione tanto degli enti quanto del personale. Complici i meccanismi sviluppati dalla agenzia preposta (l’ANVUR, che andrà profondamente riformata se non addirittura cancellata), la valutazione che abbiamo subìto negli ultimi anni è sbagliata tanto nei metodi quanto nei fini.

Nei metodi, perché i tentativi di indicizzare la qualità dei “prodotti della ricerca” sono risultati spesso goffi e privi di qualsiasi valore scientifico, hanno finito per condizionare negativamente il lavoro degli universitari, spesso costretti più a cercare di massimizzare gli “indici” che a produrre lavori di qualità, e hanno favorito grandemente alcuni tipi di ricerca rispetto ad altri (penalizzando, ad esempio, la ricerca “pura” e quella umanistica).

Ma la valutazione è stata anche sbagliata nei fini, perché la premialità riservata ai “primi della classe” ha finito per determinare preoccupanti squilibri delle risorse tra Atenei.

La comunità scientifica è da sempre in grado di valutare nel merito le ricerche e a riconoscerne la qualità senza dover ricorrere a enti esterni e a criteri burocratico-numerici. Per decenni l’Università italiana ha prodotto grandi risultati nella ricerca, a livello europeo e mondiale, a dispetto degli episodi di nepotismo che le hanno creato cattiva fama. Ogni sistema ha le sue pecche, bisogna colpire drasticamente queste ultime ma non abolire il sistema della libera e autonoma valutazione della ricerca da parte della comunità scientifica.

Al contrario di quanto fatto fino ad ora, noi crediamo che la valutazione debba avere come scopo ultimo quello di equilibrare nel Paese il sistema-università, e non già quello di produrre poche eccellenze, magari tutte concentrate in pochi Atenei del Nord Italia.

I meccanismi di governo degli Atenei

Ė urgente riformare i meccanismi di governo degli Atenei e lo stato giuridico dei docenti.

I problemi nelle università non iniziano certo negli ultimi anni, erano già evidenti nel 2010 quando fu approvata l’ultima radicale e micidiale riforma (Gelmini) dell’Università. Allora si pensò di risolvere i problemi attingendo a tutto il bagaglio delle ricette neo-liberiste: competizione, individualismo e gerarchizzazione, subordinazione al mercato. A distanza di dodici anni i problemi lamentati allora sono ancora tutti sul tavolo ed è evidente che la ricetta proposta si è rivelata inutile e dannosa.

Oggi bisogna avere il coraggio di proporre scelte opposte. Abbiamo già detto della necessità di contrapporre alla competizione la cooperazione, ma bisogna anche ottenere che Rettori e Direttori siano veramente primi tra pari. È essenziale inoltre istituire il ruolo unico della docenza. Il ruolo unico, distinguendo in modo netto tra reclutamento e progressione di carriera, aumenterebbe enormemente gli spazi di discussione democratica negli Atenei. L’autorevolezza dei più capaci sostituirebbe l’autoritarismo delle fasce. Meccanismi volti a premiare i più meritevoli tra i docenti e a favorirne la mobilità tra gli Atenei si possono facilmente individuare senza bisogno di istituire concorsi per ogni cambio di fascia, troppo spesso concorsi-farsa che producono in modo subdolo improprie sudditanze.

Infine, per favorire meccanismi di decisione democratici e rappresentativi anche a livello centrale, riteniamo che il Consiglio Universitario nazionale (CUN) vada rafforzato, ampliandone le prerogative, e non sostituito indebitamente dalla CRUI come rappresentante del sistema universitario.

A conclusione di questo punto, aggiungiamo che ci piacerebbe che l’Università si riappropriasse del proprio ruolo di faro per il Paese e che questi cambiamenti possano definitivamente portare al superamento della stagione degli “uomini soli al comando” anche nelle Istituzioni, oltre che nella vita accademica.

La priorità: una seria lotta al precariato

L’Università si è sostenuta nell’ultimo decenni grazie al lavoro di migliaia di docenti e ricercatori precari.

Una intera generazione è stata esclusa dall’accesso ai ruoli universitari, e spesso i migliori sono stati costretti all’emigrazione. Bisogna dare dignità al lavoro universitario e offrire ai precari concrete prospettive di stabilizzazione nei ruoli. Per fare questo, è necessario abbandonare la logica degli innumerevoli piani straordinari, ma occorre pianificare assunzioni annuali che portino entro la fine della legislatura il numero dei docenti strutturati rispetto a quello degli studenti a livello degli altri grandi Paesi europei.

È stata recentemente introdotta la figura del contrattista di ricerca, che certamente darà più garanzie ai precari dopo il Dottorato. Tuttavia la riforma, senza adeguati finanziamenti rischia di essere un boomerang che potrebbe ridurre le opportunità per i dottori di ricerca di intraprendere la carriera accademica, mettendo in crisi soprattutto quei settori scientifici che con maggiore difficoltà ottengono finanziamenti da fonti esterne alla Università. Nel periodo della transizione tra le due figure, bisognerà prevedere dei finanziamenti per coprire i maggiori costi del contratto di ricerca rispetto al vecchio assegno, anche nei casi in cui queste figure vengano finanziate con fondi esterni.

Ma tutta la carriera del docente, tramite l’istituto del ricercatore a tempo determinato, è pensata per creare figure subalterne, educate all’ubbidienza accademica, piegate ai meccanismi delle carriera. Anche gli studi subiscono la stessa logica: produzione di brevi saggi per accumulare punteggi nella gara verso la docenza. Si crea così una élite obbediente, iperspecialistica, destinata a riprodurre la società gerarchica che l’ha generata. La cultura che ne consegue è priva di ampiezza di visione, di approccio critico e di innovazione, serve alla conferma dello status quo.

La didattica e i settori scientifico-disciplinari
I cambiamenti recentemente introdotti negli ordinamenti didattici e nei settori scientifico disciplinari (condotti senza un adeguato dibattito nella comunità universitaria), seppure indirettamente, rischiano di mettere in crisi l’istituto del valore legale del titolo di studio. Noi riteniamo che il valore legale del titolo di studio vada salvaguardato, e con esso la necessità di garantire un livello di qualità degli Atenei che sia omogeneo in tutto il Paese.

Gli investimenti
La percentuale del PIL investito nell’alta formazione e nell’Università mette l’Italia agli ultimi posti in Europa; secondo Eurostat nel 2020 l’Italia ha investito solo lo 0.3% del PIL in istruzione terziaria, contro lo 0.7% della Francia e lo 0.8% della Germania]. L’obiettivo deve essere portare questa cifra almeno allo 0.8% del PIL che rappresenta la media della UE-27 (Dati Eurostat 2020).

Gli investimenti dedicati a Università ed innovazione nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) possono rappresentare, per entità, una occasione molto rara di finanziamento, tuttavia le modalità con cui questi fondi sono gestiti e la loro finalità destano in noi grande preoccupazione. Ci sembra che le finalità siano state definite senza una adeguata consultazione del mondo accademico; probabilmente si è deciso di ascoltare con maggiore attenzione le proposte arrivate dal mondo produttivo (leggi: Confindustria). Ravvisiamo in questo un ruolo di subalternità dell’università che, ci pare, sia stato accettato dai vertici dell’Accademia, a cominciare dalla Conferenza dei Rettori (CRUI). Noi non vogliamo rassegnarci alla ineludibilità di questa dinamica. Pensiamo che l’Accademia, nella sua totalità, possa e debba essere guida e non rimorchio nella definizione delle scelte strategiche per la innovazione del Paese.

Osserviamo inoltre che la ingente quantità di risorse che il PNRR dedicata alla innovazione rischia di squilibrare ulteriormente il sistema accademico a svantaggio dei settori che non svolgono ricerca applicata. Auspichiamo che meccanismi compensativi di finanziamento a vantaggio di tali settori vengano individuati e implementati (con particolare attenzione per le università del Mezzogiorno) anche ricorrendo a finanziamenti ordinari, esterni al PNRR.
Infine, la ricerca e la innovazione non possono prescindere da piani nazionali di finanziamento erogati con regolarità; troppo spesso su questo punto l’Accademia è stata imbrogliata con promesse poi disattese.

Contro la burocratizzazione del lavoro universitario
Chiunque viva le università, sia docente o personale tecnico-amministrativo o bibliotecario, lamenta una eccessiva burocratizzazione che sembra progressivamente amplificarsi. Riteniamo che una riforma vada fatta che semplifichi molte procedure amministrative, legandosi a una radicale opera di de-legificazione.

Tale riforma, unita a una valorizzazione mediante corsi di aggiornamento continuo del personale, consentirebbe di concentrare risorse ed energie nei settori strategici degli Atenei (ad esempio a supporto della preparazione di progetti per acquisire fondi in bandi competitivi nazionali ed internazionali, nell’orientamento degli studenti o a sostegno di attività di “terza missione”, etc.).

Il diritto allo studio
Riserviamo il nostro ultimo punto alla categoria che è certamente la più importante nelle Università: gli studenti e le studentesse. Riteniamo che troppo spesso in passato il diritto allo studio sia stato svilito. Laddove ci saremmo aspettati un incondizionato “whatever it takes” abbiamo invece accettato, senza scandalizzarcene troppo, perfino l’esistenza degli “idonei non beneficiari” (!) ed anche dei “dottorandi senza borsa” (!).

L’effetto di queste non-politiche è che l’Italia è agli ultimi posti dei paesi OCSE per numero di persone laureate (solo il 29% di laureati nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni nel 2020 contro una media UE pari al 41%, secondo Eurostat).

Il diritto allo studio non può rimanere solo un enunciato di principio, i finanziamenti vanno aumentati e l’istruzione universitaria deve essere garantita gratuitamente a tutti coloro che appartengono a famiglie a basso reddito.

Il numero chiuso che limita l’accesso ad alcuni corsi di laurea va inoltre abolito. Anni di numero chiuso a Medicina hanno avuto il risultato di determinare una carenza strutturale di medici in Italia, per questo soprattutto nelle professioni mediche l’abolizione del numero chiuso, legata a un incremento delle specializzazioni, è essenziale per potere pensare ad un piano di rilancio vero e duraturo del Sistema Sanitario Nazionale.

Infine, alcune condizioni rendono oggettivamente più difficile proseguire gli studi; bisogna prenderne atto e promuovere, con urgenza, politiche di sostegno alla genitorialità studentesca e di supporto agli studenti lavoratori.

Ma il prossimo governo dovrà anche gestire il post-pandemia che ha profondamento cambiato il modo di erogare la didattica.

Concludiamo queste proposte, osservando che è molto importante riportare nelle università gli studenti e le studentesse che la DAD o la didattica mista ha allontanato.

È importante che ciò avvenga per dare senso alla radice del concetto stesso di “università” che allude ad una formazione che va ben al di là degli insegnamenti curriculari e che solo una frequentazione in presenza delle aule universitarie può garantire. Riteniamo che sarebbe sbagliato pensare di ottenere questo fine “per obbligo”, semplicemente eliminando ogni forma di didattica a distanza. Sarebbe invece opportuno che il Ministero e gli Atenei facilitino in ogni modo la presenza degli studenti e delle studentesse, ad esempio promuovendo un piano di rilancio della edilizia universitaria e abbattendo le barriere logistiche (o architettoniche) che spesso ostacolano il raggiungimento delle sedi universitarie, oppure promuovendo progetti ed iniziative extra-curricolari fruibili solo in presenza che invoglino gli studenti a “vivere” i loro Atenei.

La nostra speranza è che queste proposte possano tradursi in un adeguato impegno politico e in una forte iniziativa legislativa nel prossimo Parlamento.
Su questa base, i/le sottoscritti/e docenti, ricercatori e personale universitario daranno il loro voto alle lista di Unione Popolare, e segnalano la presenza fra i/le Candidati/e di Unione Popolare dei seguenti nominativi di colleghi e colleghe:
Piero Bevilacqua, Alessandra De Rossi, Angelo d’Orsi, Claudia Ortu, Elisabetta Forni, Emanuele Negro, Fabio De Nardis, Fulvio Vassallo, Laura Marchetti, Massimo Arcangeli, Paolo Vittoria, Pier Giorgio Ardeni, Raul Mordenti, Rossano Pazzagli, Simona Scocozza, Raffaellino Tumino,. Raffaele D’Agata

Adesioni:
Gianfranco Bocchinfuso Università di Roma Tor Vergata
Alberto Ziparo Università di Firenze
Alessandra Filabozzi Università di Roma Tor Vergata
Alessandra Ciattini Università Sapienza di Roma
Alessandro Giannanti Insegnante e ricercatore
Alessandro Porchetta, Associate Professor, University of Rome Tor Vergata
Amalia Collisani Università degli studi di Palermo
Andrea Penoni, Università degli Studi dell’Insubria
Annamaria Rivera, Università di Bari
Antonia Stanganelli- architetto
Arturo Mazzarella Univ. di Romatre
Attilio Trezzini, Dipartimento di Economia, Università di Roma Tre
Battista Sangineto Università della Calabria
Bianca Gustavino Università di Roma Tor vergata
Carlo Cellamare Università Sapienza di Roma
Daniela Romani insegnante di Filosofia e Storia
Diane Ponterotto Università di Tor Vergata
Eleonora Gallucci Università del Salento
Enzo Scandurra Università Sapienza di Roma
Fabrizio Scrivano Università di Perugia
Federico Bertoni Università di Bologna
Filippo Barbera Università degli studi di Torino
Fortunato Cacciatore Università della Calabria
Francesca Chiarotto Università degli studi di Torino
Francesco Campolongo Università della Calabria
Francesco Iannuzzi Università Ca’ Foscari Venezia
Francesco Marola Università degli studi dell’Aquila
Francesco Scanni Università degli studi di Teramo
Gaia Pallottino
Gennaro Agrimi Professore Associato di Biochimica all’Uniba
Gianfranco Laccone, Università di Bari
Gianni Fresu Università di Cagliari
Giuseppe Aragno, storico
Giuseppe Cantarano Università della Calabria
Giuseppe Sergi Università degli studi Torino
Guendalina Anzolin King’s College
Guido Liguori Università della Calabria
Guido Ortona Università degli studi di Torino
Iacopo Custodi Ricercatore
Imma Barbarossa Università di Bari
Lelio La Porta, Università Romatre
Loredana Vigliano Università di Tor Vergata
Loris Caruso Università di Bergamo, docente di Sociologia
Lucinia Speciale Università del Salento
Maria Adele Teti
Maria Grazia Meriggi Università di Bergamo
Maria Letizia Ruello Politecnica della Marche
Massimiliano Rossi Unisalento, presidente della Società Italiana di Storia della Critica d’Arte – Consulta Nazionale.
Massimo Modonesi UNAM
Matteo Giardiello Università Federico II di Napoli
Paolo Desogus Sorbonne Université
Paolo Favilli Università degli Studi di Genova
Paolo Gerbaudo Università Normale di Pisa e King’s College
Pasquale Voza Università di Bari
Patrizia Manduchi Università di Cagliari
Raffaelino Tumino Università di Macerata
Roberto Budini Gattai Università di Firenze
Salvatore Cingari Università per stranieri di Perugia
Salvatore Palidda Università di Genova
Stefania Portoghesi Tuzi Università Sapienza di Roma
Vito Teti Università della Calabria
Walter Greco Università della Calabria
Francesco Toto Università degli studi Roma tre
Vittorio Morfino Milano Bicocca
Mariannina Failla Roma Tre
Daniela Romani Università di Bologna
Massimo Zucchetti Politecnico di Torino
Franco Novelli

 


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