Rifondazione per l’Unione popolare

Rifondazione per l’Unione popolare

Intervista a cura di Alba Vastano –

Oltre un trentennio è passato. Dalle ceneri del Pci, dopo la svolta della Bolognina, risorge come l’araba fenice un nuovo partito, inizialmente movimento. E’ il partito della Rifondazione comunista, ad oggi uno dei più strutturati partiti comunisti nazionali, che sopravvive nonostante una sinistra di classe troppo frammentata, sopravvissuta al partito di Berlinguer e alla nuova sinistra degli anni 70.

Nel sentire comune, per noti motivi legati sia alla crescita esponenziale delle politiche neoliberiste che hanno contribuito a smantellare lo Stato sociale, al radicamento della globalizzazione che ha eliminato le classi sociali, alla scarsa influenza dei sindacati di base, all’era digitale che ha favorito la disintermediazione fisica dalle istituzioni, come le sedi dei partiti in cui si costruiva la politica buona, la parola comunismo è sparita e l’idea di una società in cui tutti possano usufruire degli stessi diritti e lottare per un mondo migliore è anch’essa desaparecida.

Per avere cognizione sul percorso passato e in particolare nel presente e futuro del partito della Rifondazione diamo la parola a Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Prc, e a Ezio Locatelli, responsabile dell’organizzazione del PRC.

Alba Vastano: Per i nostri lettori è possibile fare un veloce excursus di questi 30 anni di partito, fra sconfitte dovute alle dolorose scissioni e alcune vittorie politiche, quando si era in Parlamento? Come è cambiato quel partito che per i comunisti di allora rappresentava un baluardo forte alle destre anche nel Parlamento? E quali eredità e valori del partito di massa di Berlinguer e della sinistra di classe si propone di coltivare la Rifondazione comunista, pur essendo cambiata radicalmente la storia e la società?
Maurizio Acerbo: Rifondazione Comunista è nata dentro la lotta contro la svolta di Occhetto. Come profetizzato allora il cambiamento di nome del PCI non era un semplice tentativo di allargamento ad altre aree e culture della sinistra, ma un’operazione di liquidazione dell’esperienza originale del comunismo italiano e di superamento definitivamente del carattere anticapitalista e di classe del partito. Si concludeva un’involuzione che aveva radici profonde. Oggi sappiamo che Berlinguer che dal 1980 ricollocò il partito in una posizione di alternativa, innovazione e radicalità non fu sostenuto dalla maggioranza del gruppo dirigente. Il 1991 segnò l’omologazione dell’anomalia italiana, di un paese dell’Europa occidentale dove il principale partito della sinistra era quello comunista. Nel decennio precedente era avvenuto un processo analogo nel partito socialista che passò con il craxismo da partito del movimento operaio a formazione che cavalcava la nuova onda neoliberista della centralità dell’impresa e del mercato in funzione antioperaia.

Credo che noi dobbiamo rivendicare e valorizzare l’eredità comune che vide l’incontro tra compagne e compagni che venivano dal Pci e dalle esperienze della “nuova sinistra” degli anni ’70 – DP, PdUP e non solo – che si ritrovarono in Rifondazione il cui nome ricordo deriva da quello proposto da Pietro Ingrao per la mozione del NO allo scioglimento del Pci. Tutte e tutti si conveniva sul fatto che il crollo dei regimi del “socialismo reale” non implicava la morte del comunismo e del socialismo come vorrebbe da trenta anni imporci la narrazione dominante. Questa presa di posizione netta fu possibile perché sia il Pci che la nuova sinistra da tempo avevano consapevolezza della necessità di immaginare una via e una visione del socialismo diversa dalle esperienze autoritarie che avevano preso a modello il particolare tipo di società e stato che si erano sviluppate in URSS dopo la rivoluzione d’Ottobre in circostanze storiche drammatiche.

Parallelamente rimanevano evidenti i limiti delle socialdemocrazie occidentali sempre più omologate e in via di trasformazione negli anni ’90 in formazioni centriste neoliberiste. Proponemmo l’orizzonte comunista non solo come difesa di una storia – da sottoporre comunque a critica – ma come punto di vista per analizzare il presente del capitalismo e le sue contraddizioni. L’impostazione si è dimostrata giusta da questo punto di vista perché oggi dal “femminismo del 90%” all’ecosocialismo riemerge la necessità di un punto di vista anticapitalistico, anche come fondamento delle lotte contro la catastrofe ecologica o per connettere in maniera intersezionale le lotte contro le diverse forme di oppressione del presente. Chi gettò il comunismo nella spazzatura come zavorra da cui liberarsi per legittimarsi come forza di governo è finito nel giro di pochi anni tra le braccia del neoliberismo.
Ezio Locatelli: Rifondazione Comunista nasce in risposta all’ondata di annientamento del comunismo, ondata che è sollevata non solo da un’offensiva di parte capitalistica ma è il anche il portato dell’adesione della maggioranza della sinistra al modello neoliberista dopo aver abiurato alla sua storia. Un’ondata che puntava a seppellire in via definitiva qualsiasi idea di superamenti del capitalismo celebrato come il punto più alto dell’evoluzione della civiltà umana. Abbiamo fatto bene a reagire a questa ondata di denigrazione e demonizzazione. Per troppi anni ci siamo sentiti ripetere che non aveva più senso l’esistenza di un partito comunista, che bisognava smobilitare, tornare a casa. Non l’abbiamo fatto. La rifondazione di una forza comunista era e rimane più che ma un punto irrinunciabile non per un fatto di ostinazione, di mera volontà, tantomeno per nostalgia ma per dignità di un modo di abitare il mondo contemporaneo, l’indisponibilità a essere cittadine/i coatti in un mondo attraversato sempre più da ingiustizie, sopraffazioni, sfruttamento e guerre, da pulsioni di autodistruzione

Certo siamo passati da fasi di entusiasmo – come non ricordare l’entusiasmo iniziale di tante compagne e compagni provenienti da storie diverse impegnate/i a costruire il nuovo partito dalle fondamenta o la fase straordinaria della nostra presenza nel “movimento dei movimenti”, di critica della globalizzazione capitalistica – a fasi di sconfitta e di arretramento non scevre da errori politici. Il fatto è che il nostro partito ha dovuto fare presto i conti con la modifica in negativo dei rapporti di forza sociali (gli anni della concertazione e delle compatibilità sindacali al ribasso con il padronato) e dei rapporti politici (l’attacco al proporzionale, il passaggio al sistema maggioritario fatto apposta per uccidere le opposizioni). Anni di alti e bassi ma essendo più i bassi legati a sconfitte e passivizzazione di massa anni che ci hanno molto indeboliti. In ogni caso non sono per nulla pessimista. Siamo in una situazione nuova, di palese fallimento del capitalismo e di inversione del senso comune di massa. In questa situazione c’è la possibilità alla riapertura di uno spazio sociale e politico grande per una forza comunista.

A.V.: Parliamo di oggi. Come sta il partito? Militanti, organizzazione, circoli. E’ presente in tutti i territori ed ha una buona risposta politica, nel novero dei consensi, almeno dalla parte degli strati sociali più affini alle politiche della sinistra di classe? Se la risposta non c’è, quali potrebbero essere le cause? La disintermediazione? L’era della globalizzazione che ha fagocitato online i nativi digitali, dai Millennials nativi fine Novecento? Troppe sigle e poche risposte in termini di credibilità e di risultati elettorali sempre allo 0, …

M.A.: Il nostro partito è ancora dal punto di vista del numero e della diffusione territoriale quello più “forte” nella sinistra radicale. Lo testimonia anche il dato del 2×1000 che ci ha visto per anni al quarto posto tra i partiti italiani ,pur essendo invisibili sui media. Però questo dato non ci può rincuorare, perché non indica la nostra forza quanto la debolezza generale della sinistra e la profonda crisi della politica. Ѐ evidente che il progetto di costruire un partito comunista di massa è andato in crisi a seguito di uno stillicidio di scissioni che spesso hanno avuto come protagonisti figure di primo piano del partito. Questa tendenza alla frammentazione è stata il prodotto della nostra sconfitta politica dentro un bipolarismo maggioritario che tende a cancellare una sinistra autonoma e alternativa. Ovviamente pesano errori soggettivi e i rapporti di forza nella società. Basti pensare al peso che il centrosinistra ha avuto nell’anestetizzare il conflitto sociale nel nostro paese, grazie al peso che ha avuto nei sindacati e nelle organizzazioni di massa.

La differenza con la Francia dove ogni controriforma neoliberista ha incontrato una fortissima opposizione sindacale e sociale aiuta molto a capire il perché ci siamo ritrovati così isolati anche dalla maggioranza di quello che veniva un tempo definito “popolo di sinistra”. Ha pesato l’onda populista che noi non abbiamo colto per errori e limiti culturali. Lo dico per esperienza diretta, perché quando ponevo temi come quelli del taglio delle retribuzioni dei parlamentari ,quando eravamo forti e visibili, mi ritrovai isolato e incompreso come mi accadde nel 1999 quando proposi con pochi altri di inserire nella piattaforma programmatica del partito il reddito di base. Pesa l’egemonia e l’omologazione neoliberista della politica che produce a sua volta la disaffezione e la spoliticizzazione delle classi popolari e lavoratrici.

La disintermediazione è una questione su cui ragionare a fondo. Come costruire organizzazione nel presente? Marx insegnava che i proletari possono contare sul numero, ma che questo pesa solo se si organizzano. Quali le forme oggi in una società come la nostra? Il problema prima che organizzativo è politico. Viviamo dentro una lunga transizione post Novecento in cui a livello internazionale si sperimentano nuove forme o si remixano con le più antiche. Ci chiamiamo Rifondazione perché assumiamo questo terreno con spirito gramsciano e non pensiamo che la mera reiterazione del passato sia sufficiente. D’altronde la storia del movimento comunista, da Marx in poi ,è quella di una continua rifondazione. L’importante è non arrendersi alla rassegnazione.

E.L.: Nel contesto di una sinistra dispersa e frammentata Rifondazione Comunista mantiene un insediamento territoriale superiore ad altre forze. Tuttavia un insediamento e un’attrezzatura soggettiva che sono ben lontani dal rispondere ai problemi enormi che ci stanno di fronte. Mi chiedi le ragioni di queste difficoltà. In parte mi sembra di aver risposto prima. Non è stato facile tenere aperto uno spazio politico in anni in cui il capitalismo, con poche eccezioni, ha occupato tutto lo spazio del pensabile. Non è stato facile negli anni della distruzione del pluralismo sociale e politico, del soffocamento delle opposizioni. “La tecnica di potere di questi anni perseguita con l’appoggio politico e organizzativo delle forze di centrosinistra – uso le parole di Zygmunt Bauman – è stata “la disintegrazione sociale e degli organismi di azione collettiva”.

Possiamo sollevarci da questa situazione evitando di ridursi ad essere semplice testimonianza? Certo. La premessa necessaria è nella ripresa di un forte movimento di base, di massa di contro alle politiche antisociali e di guerra perseguite dal governo Draghi e dalle forze di sistema di centrodestra e centrosinistra. Noi dobbiamo lavorare a questo movimento sapendo che siamo entrati una fase di acutizzazione delle contraddizioni sociali, di una crescita della rabbia e della protesta delle classi sociali impoverite, di un distacco del consenso popolare dal sistema politico dato in termini mai visti prima.

A.V.: L’oscuramento dei media che favoriscono la visibilità dei partiti governativi, come il centro sinistra, Lega e FdI, specie in fase elettorale, quanto contribuisce a far sì che le politiche antiliberiste e anticapitaliste del partito della Rifondazione non abbiano risonanza nell’opinione comune?

M.A.: Ѐuna questione fondamentale per la democrazia. Direi che senza una democratizzazione dei media non possiamo parlare neanche di una corretta dialettica democratica. Le proposte politiche anticapitaliste e antiliberiste non hanno accesso allo spazio mediatico e quindi al dibattito pubblico, non entrano nelle case di milioni di italiane e italiani o nei luoghi di lavoro. Non è solo un problema di ostracismo maccartista nei nostri confronti ,ma anche di pensiero unico che si afferma come senso comune. Sono convinto che le nostre proposte sono molto popolari, ma gran parte del popolo neanche ha la possibilità di discuterne. Dobbiamo fare di più per utilizzare le reti sociali, ma la questione può essere affrontata solo se costruiremo un progetto politico unitario che abbia una forza tale da non poter essere oscurato.

E.L.: Ѐ evidente che la censura, l’oscuramento mediatico ci danneggiano fortemente. Detto ciò è inutile aspettarsi che i grandi media dominanti ci diano spazio. Non siamo più in una democrazia liberale. Siamo in un regime oligarchico, del governo dei pochi, a forte concentrazione di potere e di denaro. Dunque anche a forte concentrazione dell’informazione o meglio delle leve della disinformazione. I grandi media fanno precisamente il loro mestiere di manipolazione e di assoggettamento dell’opinione pubblicai. Si chiamano pratiche govermamentali. Pratiche che però non sempre arrivano a segno.

Cresce la percezione che così com’è adesso non si può andare avanti. Basti pensare alla contrarietà alla guerra della maggioranza di popolazione pure a fronte del bombardamento mediatico pro bellicista. Sfruttiamo queste falle. Siamo in presenza di una crisi di sistema che si tramuta anche – ecco l’elemento che nessuna censura può occultare – in una critica di massa, nel costituirsi in una diversa, potenziale coscienza di massa. Senza rinunciare alla battaglia per una informazione corretta il problema è di avere nostri strumenti di collegamento, di informazione che diano risonanza al progetto e al lavoro politico di trasformazione che portiamo avanti.
A.V.: Sulla base dei consensi ottenuti in Francia da Melenchon e dalla Nupes è auspicabile che anche in Italia si riesca a mettere in campo un movimento che unisca le forze di sinistra in opposizione al governo Draghi, considerando che con la guerra in corso, si sono consolidati ancora di più i partiti atlantisti, come il Pd e FdI?

M.A.: In Italia il governo Draghi ha disvelato che il bipolarismo è un gioco truccato in cui sulle scelte fondamentali i due poli che litigano nei talk show convergono. La “nuova unione popolare ecologista e sociale” francese non è nata in un giorno e si è avvantaggiata di un clima sociale segnato dai grandi scioperi contro le riforme del lavoro e delle pensioni e dal movimento dei gilet gialli. In Italia è tutto più difficile ma abbiamo il dovere di provarci, perché la frammentazione non porta da nessuna parte. Se i partiti neoliberisti, dal governo Monti a quello Draghi, sanno praticare la convergenza non vedo perché non dobbiamo farlo noi.

Sulla base di un programma di radicale cambiamento che metta al centro la pace, la questione sociale e l’emergenza ecologica bisogna cercare di aggregare i partiti e coinvolgere il diffuso tessuto di attivismo sociale, culturale, sindacale, ambientalista che c’è nel paese. L’unità è fondamentale ma è solo un prerequisito, ma non basta. C’è bisogno di andare ben oltre i circuiti militanti e di parlare a larghi settori della società. Soprattutto a chi paga più duramente le conseguenze della crisi alle classi lavoratrici e popolari, ai giovani e alle donne che sono le più penalizzate. Se i due poli sono dalla parte del capitale c’è bisogno di uno schieramento che invece cerchi di dar voce gli interessi delle classi lavoratrici. Purtroppo in Italia ci sono formazioni rossoverdi che fanno la scelta della “sinistra ornamentale”, cioè di allearsi con i macroniani nostrani invece di aiutarci a costruire uno schieramento di alternativa pur sapendo di non incidere sul profilo programmatico di un PD che si identifica con Draghi. Noi proviamo a costruire un’aggregazione di unità popolare con De Magistris e chi ci sta.

E.L.: Melenchon si afferma con una linea di sinistra popolare e antiliberista aggregando la sinistra di alternativa, conflittuale sul piano sociale e ambientale, quella che è in opposizione al sistema dominante. Questo è quello che dobbiamo fare nel nostro Paese. Puntualizzo: più che costruire “l’unita della sinistra” nel senso tradizionale del termine, delle relazioni politiche tra microforze, occorre costruire una coalizione popolare, certamente di sinistra, che intercetti il disagio sociale diffuso, il sentimento di estraneità e di rabbia di gran parte della popolazione ormai priva di rappresentanza, che non si riconosce in un sistema politico e in partiti, dal Pd a Fdl, che rispondono a logiche e interessi che nulla hanno a che fare con la propria vita. .

A.V.: Come si sta muovendo la Sinistra europea riguardo una posizione unitaria contro la Nato e l’invio alle armi? Mentre i leader europei pro Nato e bellicisti si uniscono e concordano piani pro armamenti, la Sinistra europea come pensa di organizzarsi per contrastare unitamente il prosieguo della guerra e l’invio alle armi?

M.A.: Ci sono iniziative, tante iniziative in atto come il manifesto lanciato da Podemos a marzo o il meeting e la manifestazione contro la NATO di Madrid co-promosso dalla Sinistra Europea, da Izquierda Unida e PCE. Dobbiamo batterci per il cessate il fuoco e la trattativa, per il riconoscimento dei legittimi diritti di tutte le parti senza alcun cedimento agli opposti nazionalismi e denunciando il fatto che chi getta benzina sul fuoco lo fa sulla pelle del popolo ucraino. E’ ampia la consapevolezza che la questione della NATO sovradetermina le possibilità per l’Unione europea e i singoli Stati di sviluppare una politica di pace, cooperazione e multipolarismo. Costruire un movimento europeo per la pace e il disarmo nucleare e convenzionale, contrastare l’isteria bellicista e la spirale da 1914 sono imperativi per la sinistra europea.

I partiti “socialisti” e “socialdemocratici” hanno fatto dell’atlantismo la loro ideologia insieme all’ordoliberismo dei Trattati europei. Il risorgere delle ideologie nazionaliste o fondamentaliste dentro il capitalismo globale è conseguenza dell’esplodere di contraddizioni e contrasti di natura imperialista. Quando la guerra – che è cominciata già alla fine della prima guerra fredda – diventa uno scenario permanente c’è bisogno di fabbricare mentalità che la assecondino nelle opinioni pubbliche. Noi dobbiamo proporre una visione alternativa di pace e giustizia sociale/ambientale fondata sui valori internazionalisti propri della tradizione socialista/comunista e in Italia sui principi della Costituzione nata dalla Resistenza. Dobbiamo opporci al rilancio in atto di un’ideologia che sotto la retorica dei diritti umani e della democrazia nasconde la riproposizione della “missione civilizzatrice” del colonialismo e dell’imperialismo occidentali i cui crimini sono stati rimossi nella coscienza collettiva negli ultimi decenni.

E.L.: Il Partito della Sinistra Europea è costituito da Partiti antiliberisti non tutti provenienti dalla tradizione comunista, ma sempre convergenti nel considerare la pace come uno degli obiettivi irrinunciabili per la sinistra: L’impegno della Sinistra Europea è nel senso di contrastare militarismo, nazionalismo, razzismo, culture e tutto ciò che è volto a far sì che le popolazioni accettino la guerra come normale continuazione della politica, come esercizio di potenza e di sopraffazione. Più precisamente nel documento sulle relazioni internazionali si dice “La Nato è la più grande alleanza offensiva del mondo e rappresenta oggi la più grande minaccia per la pace. Un’ alleanza controllata dagli USA, che rappresenta anche la piattaforma militare, neocoloniale delle imprese euroatlantiche. L’attuale forte riarmo della Unione Europea è completamente interno alla Nato e mira ad avere più peso politico al suo interno”.
A.V.: Fra un anno le politiche in Italia. Ci sono novità importanti per Rifondazione in coalizione con il nuovo gruppo parlamentare ManifestA? Come verrà costruita questa nuova coalizione, che vede l’endorsement e il coinvolgimento personale e politico di De Magistris, e quali le prospettive per dare al partito una voce in Parlamento, considerando anche il limite della legge elettorale vigente?

M.A.: Credo che abbiamo il dovere di tentare di riportare la sinistra ad avere rappresentanza in Parlamento. Non è un problema solo dei partiti come il nostro. Questa chiusura del dibattito politico alla dialettica tra poli ,che sulle questioni principali convergono sempre, rende deboli tutte le lotte e i movimenti e il palazzo sempre più impermeabile alle istanze popolari. Non sarà facile. Le difficoltà sono enormi. Oscuramento mediatico e legge elettorale sono muri da scalare. Però innanzitutto va creato un progetto inclusivo che superi la frammentazione e che riesca a parlare al Paese. E a suscitare coinvolgimento di nuove energie e a motivare l’impegno dei settori più attivi e critici della società italiana.

Per questo ci vuole generosità da parte di tutte e tutti, disponibilità, umiltà e spirito unitario. Dobbiamo convincere i settori che si sono lasciati egemonizzare dalla logica del meno peggio e riconquistare chi si è rifugiato nell’astensione. La crisi del Movimento 5 stelle può aprire uno spazio, ma nulla è scontato. Certo c’è bisogno di un programma che parli e dia risposte ai problemi di milioni di Italiane e Italiani e che esprima il ripudio della guerra.

E.L.: Intanto la nascita di ‘ManifestA’ a cui partecipa Rifondazione comunista e anche Pap ,sia alla Camera che al Senato, rappresenta un fatto rilevante che va nel senso di rompere la cappa di omologazione che investe tutte le forze politiche. Adesso possiamo contare su una opposizione in Parlamento, piccola ma vivace, alle politiche del governo Draghi. Detto ciò stiamo lavorando alla costruzione di una convergenza di forze alternative ai poli e agli schieramenti politici esistenti. La disponibilità e il coinvolgimento in questo percorso di De Magistris è importante ma ancor più sarà decisivo il terreno di costruzione di una trama nei territori, il coinvolgimento di realtà critiche, di esperienze sociali, di lotta.

Per avere successo, la coalizione in costruzione deve essere il prodotto di una accumulazione di cultura diffusa e popolare più che dipendere da una storia personale o di una combinazione politica. Molto è il lavoro da fare su questo terreno senza mai dimenticare che la nostra alterità vera e la possibilità di una rinascita della sinistra, al di là del posizionamento politico, risiede nella pratica sociale, nelle lotte che portiamo avanti, nella ricostruzione di un movimento sociale.

A.V. Dai documenti dell’ultimo congresso di Rifondazione si evince che si terrà a breve una conferenza di organizzazione del Partito? Quali sono le finalità per cui si è reso necessario, a pochi mesi dal Congresso, dare il via a questa conferenza impegnando nuovamente il partito ad un nuovo iter procedurale e organizzativo?

M.A.: Discutere di politica e organizzazione può essere utile per ragionare su come adeguare e rafforzare il nostro partito per attuare i compiti che ci siamo dati all’ultimo congresso. La nostra crisi è di lunga data e ha radici profonde nella sconfitta politica che abbiamo subito. Le sconfitte – anche per una giusta causa – alla lunga inaridiscono e demoralizzano. Non ci sono soluzioni organizzative salvifiche ,ma è bene non sottovalutare il tema. Abbiamo la necessità di generalizzare le buone pratiche di radicamento sociale, dare attuazione alle innovazioni statutarie, affrontare il tema delle nuove generazioni, superare il carattere ancora troppo monosessuato e bianco del partito, affrontare le questioni della digitalizzazione e della comunicazione. Su molti terreni stiamo già lavorando e spero che la conferenza segni un ulteriore passo in avanti sulla strada della gestione unitaria e del superamento del correntismo. Per affrontare le sfide che abbiamo di fronte abbiamo bisogno di un Partito unito.

E.L.: La mia impressione è che ci sia un livello di comprensione della gravità della crisi che stiamo attraversando non sempre adeguato, e che ci sia una sottovalutazione del dato inedito rispetto alle crisi precedenti che è il fattore tempo. Penso che dopo una pandemia della portata di quella che abbiamo vissuto, in presenza di una guerra che volge in direzione di una terza guerra mondiale, in presenza di una crisi sociale e ambientale devastante sia quanto mai necessario per una forza comunista come la nostra il cercare di produrci in un “un salto di qualità”. Di fronte a un quadro generale in grande subbuglio non si resta fermi, in posizione d’attesa, ci si rinomina sul piano di una più efficace azione politica. Questo, non altro, avevamo detto in sede di Congresso Nazionale, unitamente alla necessità di “un percorso di rinnovamento che deve coinvolgere il nostro modo di essere che i nostri gruppi dirigenti”. Il percorso è tutto da fare.

Intanto il problema principale, strategico, nient’affatto organizzativistico consiste nel dislocare il partito dentro il conflitto sociale con le sue forme inedite e impreviste. Non domani ma subito. In autunno avremo un’impennata clamorosa di malcontento e di rabbia sociale per il peggioramento drammatico delle condizioni di vita di milioni di persone. Come pensiamo di incrociare e dare una risposta a questa rabbia? Penso che al nostro partito vada data una identità più marcatamente conflittuale, oppositiva, di classe. Questo significa riconvertire tutte le nostre energie, priorità, cultura organizzativa. Viviamo la condizione di urgenza di una crisi sconvolgente che è anche di possibile crescita di un movimento di protesta di massa, di riapertura di uno spazio sociale e politico. Possiamo stare a guardare? No di certo.

La Conferenza di Organizzazione non è e non può essere un iter procedurale avulso da ciò che sta succedendo Ѐ più che mai necessaria per suscitare uno scatto del partito circa i compiti della nuova fase.

In Italia il governo Draghi ha disvelato che il bipolarismo è un gioco truccato in cui sulle scelte fondamentali i due poli che litigano nei talk show convergono. La “nuova unione popolare ecologista e sociale” francese non è nata in un giorno e si è avvantaggiata di un clima sociale segnato dai grandi scioperi contro le riforme del lavoro e delle pensioni e dal movimento dei gilet gialli. In Italia è tutto più difficile ma abbiamo il dovere di provarci perché la frammentazione non porta da nessuna parte. Se i partiti neoliberisti, dal governo Monti a quello Draghi, sanno praticare la convergenza non vedo perché non dobbiamo farlo noi. Sulla base di un programma di radicale cambiamento che metta al centro la pace, la questione sociale e l’emergenza ecologica bisogna cercare di aggregare i partiti e coinvolgere il diffuso tessuto di attivismo sociale, culturale, sindacale, ambientalista che c’è nel paese. L’unità è fondamentale ma è solo un prerequisito ma non basta. C’è bisogno di andare ben oltre i circuiti militanti e di parlare a larghi settori della società. Soprattutto a chi paga più duramente le conseguenze della crisi alle classi lavoratrici e popolari, ai giovani e alle donne che sono le più penalizzate. Se i due poli sono dalla parte del capitale c’è bisogno di uno schieramento che invece cerchi di dar voce gli interessi delle classi lavoratrici. Purtroppo in Italia ci sono formazioni rossoverdi che fanno la scelta della “sinistra ornamentale”, cioè di allearsi con i macroniani nostrani invece di aiutarci a costruire uno schieramento di alternativa pur sapendo di non incidere sul profilo programmatico di un PD che si identifica con Draghi. Noi proviamo a costruire un’aggregazione di unità popolare con De Magistris e chi ci sta.

Alba Vastano
Giornalista. Collaboratrice redazione del mensile Lavoro e Salute
http://www.blog-lavoroesalute.org/rifondazione-per-lunita-popolare/

 


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