Citto Maselli: “Il mio maestro Visconti mi insegnò il legame tra cinema e politica”

Citto Maselli: “Il mio maestro Visconti mi insegnò il legame tra cinema e politica”

di Giuseppina Manin -

Il regista, 90 anni, sarà a Venezia 78: il 6 settembre la Biennale con le Giornate degli Autori e la Settimana della Critica gli dedicherà un omaggio

Se a 90 anni sei ancora pronto a fare la rivoluzione, è la prova che l’anagrafe è solo un’opinione. «Non solo s’ha da fare, ma di certo si farà» profetizza Citto Maselli, da 70 anni testimone appassionato del ‘900 sul grande schermo e nella vita civile del Paese.

Come fa a esserne sicuro?

«Questa società orrenda, carica d’ingiustizie, non può reggere a lungo. Se non saranno i nostri giovani, a far la rivoluzione saranno quelli arrivati da fuori. Gli sfruttati, gli esclusi. Poco prima di morire Monicelli mi confidò: “Citto, qui c’è bisogno di una Rivoluzione”. Condivido».

Cinema e politica, un binomio per lei inscindibile?

«Scoperti insieme. A 14 anni ho preso la prima tessera del Pci, l’ultima nel ’91, quando il Pci è stato ucciso. Non sono stato io a lasciare il Partito ma lui a lasciare me e milioni di italiani. Ma non ho rinunciato a essere comunista, sono stato tra gli ideatori di Rifondazione. Quanto al Pd, oggi non ha più niente a che vedere con la sinistra».

Alcuni suoi film, Gli sbandati, Gli indifferenti, Lettera aperta a un giornale della sera , sono una critica senza sconti a una sinistra velleitaria

«Critica e autocritica. Nella Lettera c’era un mondo di cui ero parte anch’io. Degli intellettuali engagé che per sfidare la noia si offrivano di andare a combattere in Vietnam. Salvo tirarsi indietro appena l’ipotesi si faceva reale. Lo stesso ne Gli sbandati: rampolli di un mondo dorato, il loro impegno contro il fascismo naufragava alla prova dei fatti».

Gli sbandati, suo primo film, premiato a Venezia. Che il 6 settembre le dedicherà un omaggio, seguito dalla proiezione di Storia d’amore, Gran Premio della giuria e Coppa Volpi a Valeria Golino

«Alla Mostra sono legato da sempre, da regista, da presidente dell’ANAC (l’Associazione Nazionale Autori Cinematografici da lui creata), da spettatore. A 18 anni al Lido vidiLa terra trema , il più bello di tutti. Metà del pubblico gridava al capolavoro, metà fischiava. Naturalmente stavo coi primi».

Visconti suo primo maestro. Chi altri?

«Antonioni. All’esame d’ammissione al Centro Sperimentale fu lui a interrogarmi. A ogni mia risposta faceva no con la testa, solo dopo scoprii che era un tic nervoso. Mi prese come suo assistente, mi insegnò l’estrema attenzione all’immagine. Poi vennero Zavattini e Moravia. Con il primo collaborai a Amore in città, del secondo portai sullo schermo Gli indifferenti. “E’ bellissimo, mi disse, hai fatto un altro testo, tuo, originale”. Ma è a Visconti che devo di più, mi ha fatto capire il legame tra cinema e politica, mi ha spinto a fare il primo film. Più di un padre per me».

Il suo vero non l’aveva sostenuta?

«La mia era una famiglia di intellettuali, Pirandello è stato il mio padrino di battesimo… La strada doveva essere quella. Quando dissi a mio padre che volevo fare cinema ci rimase male. Un figlio comunista e cineasta non era quello che sognava. Cocciuto, realizzai il primo documentario, Bagnaia. Quando lo vide mi disse: “E’ orrendo, non ti vergogni?”. Se non c’era Luchino non avrei avuto la forza di girareGli Sbandati ».

Protagonista Lucia Bosé. Come la ricorda?

«Bella e povera. Viveva in una casa di ringhiera col gabinetto in comune. Quando Antonioni la chiamò per Cronaca di un amore non le parve vero di avere una camera d’albergo con un bagno tutto per sé. Ho lavorato con attrici meravigliose: Cardinale, Golino, Ornella Muti, Nastassia Kinskij. Con Monica Vitti girai Fai in fretta a uccidermi… ho freddo. Ma la commedia all’italiana non faceva per me. Salvo Scola e Monicelli, non mi è mai piaciuta».

E Volonté?

«Fu protagonista deIl sospetto . Attore magnifico, nevrotico insopportabile. S’inventava polemiche di continuo per creare tensioni».

Fellini, le piaceva?

«Il suo genio non si discute ma il suo cinema era l’opposto del mio. Era simpatico, ci si frequentava. Avevo la mania di andare a scrivere nel salone delle Poste, lui passava a prendermi con la sua Buick, andavano a mangiare in una trattoriaccia. Sapendo come la pensavo, diceva di essere anche lui di sinistra. Federico era un furbacchione»

Che registi apprezza oggi?

«Daniele Vicari e Mario Martone. Che ha portato in teatro la storia di Goliarda Sapienza, a lungo la mia compagna. Mi sono emozionato».

Moretti?

«Bravo ma troppo snob».

È vero che la sua terza passione è l’opera?

«Colpa di Toscanini. Mi prese in simpatia, per gli Gli sbandati mi offrì come set la sua villa vicino a Cremona. Poi mi ospitò per un anno nella sua casa di Milano: alla Scala lo vidi dirigere il Franco cacciatore. Mi innamorai così tanto dell’opera che nel ‘60 aprii la stagione della Fenice con Trovatore. La mia sola incursione nella lirica. Poi il cinema ebbe la meglio».

www.corriere.it

maselli23


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