Teatro Valle occupato, buon compleanno

Teatro Valle occupato, buon compleanno

di Teatro Valle Occupato -
Sono passati due anni dal 14 giugno 2011, giorno in cui artisti e operatori dello spettacolo occuparono lo storico teatro di Roma. Quel luogo è diventato un simbolo della resistenza in nome dell’arte e della cultura. Per un nuovo modo di gestire gli spazi pubblici grazie alla Fondazione Valle Bene Comune. Ecco il racconto di questa straordinaria avventura.

In Italia non esiste una industria culturale. La cultura nel nostro paese sopravvive in una condizione preindustriale. In alcuni casi come nel cinema e nella televisione la regola è quella del latifondo. Da trent’anni due soggetti: Pubblico e Privato si spartiscono il mercato, non è la storia di una competizione ma quella di una armonia prestabilita.

In altri casi è un territorio in cui scorribande di privati inducono il pubblico a cedere terreno, il terreno di tutti: la cultura. Questo è il caso di due siti archeologici che distano pochi chilometri l’uno dall’altro: Pompei ed Ercolano. Il primo gestito dal pubblico, con intere parti che crollano sotto gli occhi dei visitatori, il secondo gestito da una fondazione privata che lo cura come un giardino inglese. Il primo senza un piano regolatore che trattenga i flussi turistici, il secondo con diversi alberghi a 5 stelle. Nella politica il caso non esiste. Quello che esiste è la volontà di dimostrare che il pubblico non è in grado di gestire i beni culturali e che la sola soluzione è la svendita ai privati. Questa dicotomia tra pubblico e privato è la battaglia a cui vogliamo sottrarci. Ci sottraiamo attraverso la pratica del Bene Comune, una pratica che restituisce il diritto alle comunità dei cittadini di autogovernare i Beni comuni che il pubblico vorrebbe dismettere e vendere o regalare ai privati. Questo diritto delle comunità è sancito dall’Art. 43 della Costituzione, ma al riguardo non vi sono leggi attuative dello stato. I Beni comuni e le comunità che li praticano sono quindi illegali giuridicamente quanto legittimi costituzionalmente. Poi ci sono le nicchie culturali, quei territori che il pubblico considera terre di nessuno da una parte e colonia di sedie per politici trombati dall’altra. È il caso del Teatro. Il Teatro è abbandonato a logiche privatistiche messe in campo dal Pubblico, logiche che pensano quei luoghi come avulsi dalla città  e dai suoi abitanti, aperti due ore al giorno, luoghi lontani dalle narrazioni del presente e dalla Polis. Il Teatro nasce lì, come Agorà, come luogo eminentemente politico in cui la città ci precipita dentro. Se altri paesi dell’Unione Europea avessero anche solo il 10% del nostro patrimonio culturale nessuno di questi paesi avrebbe dei cittadini disoccupati, perché la cultura è una enorme risorsa economica, turistica e politica. Che dire di un paese che possiede l’85% dei beni culturali (in una visione eurocentrica) dell’umanità e riesce a viverli come un peso e non come una risorsa.  Lo stesso paese che invece di investire sulla bellezza, sulla trasmissione ecologica della bellezza alle generazioni future, investe in armamenti e finanzia l’industria automobilistica anziché la cultura? Noi diciamo basta da due anni, da quando abbiamo occupato il Teatro Valle, creando una soggettività attiva attorno ai temi dei Beni comuni. Della Cultura Bene Comune. Le tavole del palcoscenico del teatro più antico della capitale sono la nostra barricata più esposta. Immaginiamo e pratichiamo un Teatro aperto 24 ore su  24, con incontri pubblici, spettacoli alla portata di tutte le tasche e formazione, tanta formazione. È questo che dovrebbe fare un teatro pubblico.  È questo che facciamo da 700 giorni, da 16.800 ore. È quello che fanno i Teatri in rivolta e sono oltre una decina i Teatri Occupati in Tutta Italia, contagiati dai beni Comuni, Lo facciamo perché crediamo che per cambiare questo paese dobbiamo cambiare l’approccio alla cultura e forse anche la cultura di questo paese. Una cultura che ha consegnato per trent’anni il suo popolo o meglio la sua moltitudine al degrado della televisione e abbandonato i musei al saccheggio di privati che alla comunità lasciano solo i costi e trattengono, rubano i profitti, tutti i profitti. Privati che usano la cultura di tutti come pozzi di petrolio privati, in una logica estrattiva dell’economia della cultura. Noi pensiamo che la cultura sarà il volano di una economia di fuoriuscita dalla crisi, una economia generativa che nel suo farsi valore, sarà capace di valorizzare anche la persona. Ecco per noi è questa l’economia dei Beni comuni della Cultura: un’economia generativa e non estrattiva che nel suo farsi valore valorizza la persona e i suoi diritti. Già i diritti…i diritti sono un optional…Ma i diritti costano molto di più nella loro assenza che nella loro presenza, non solo su un piano sociale, quanto su un piano meramente economico. È anche per questo che abbiamo avviato al Valle, con Stefano Rodotà, i lavori della Costituente dei Beni comuni, che si propone, partendo dal lavoro della commissione Rodotà,  di  definire un codice giuridico dei Beni comuni.  Una Costituente itinerante che partita dal Valle ha raggiunto l’Aquila e Pisa e poi raggiungerà le altre realtà in lotta sui temi dei Beni Comuni, da Taranto alla Val di Susa. Nel frattempo la Commissione giuridica redigerà pubblicamente il Codice dei Beni comuni. È stata inoltre lanciata una “Convenzione per la democrazia costituzionale”, che estenderà la riflessione e l’elaborazione giuridica anche sul piano costituzionale: quel lavoro di buona manutenzione della seconda parte della Carta (“Ordinamento della Repubblica” Ndr) più volte richiamato da Stefano Rodotà, che è diretta e necessaria conseguenza della codificazione dei beni comuni, e che avrà anche la funzione di contrastare la deriva cesaristica celata dietro un’eventuale riforma semi-presidenzialista della forma di governo. Diciamo questo perché crediamo che la situazione dei Teatri e la situazione dell’Ilva di Taranto siano figlie della stessa cultura politica, incapace di prospettare piani industriali sostenibili e caricando sulle spalle dei lavoratori il ricatto tra diritto alla vita o lavoro. Questa cultura dominante è la stessa che ha dissipato gran parte del patrimonio culturale e professionale nel nostro paese. È la stessa cultura che pensa grandi opere come la Tav in Val di Susa o il Ponte sullo Stretto, opere inutili per la comunità e utili soltanto per i pochi privanti il cui unico interesse è estrarre dalle risorse della comunità i propri profitti. Questo sacrificare il paesaggio a un monumento all’inutilità, in aperta violazione dell’art. 9 della Costituzione, non può essere realizzato a colpi di maggioranza da un governo a termine, ma richiede la stessa attenzione, gli stessi numeri e passaggi che sono richiesti al Parlamento per cambiare la Costituzione.

In questi due anni con l’azione collettiva dell’occupazione abbiamo restituito alla città il Teatro Valle.

Abbiamo costruito un processo partecipato e condiviso verso la Fondazione Teatro Valle Bene Comune, la prima fondazione del comune del nostro paese.

Si tratta di una Fondazione partecipata ad oggi da oltre 5000 cittadini e da essi governata attraverso una assemblea sovrana che deciderà le linee guida e la sua gestione attraverso il principio di una testa un voto.

Il 14 giugno, in occasione del nostro secondo compleanno, regaleremo alla città  una nuova istituzione, consegnando nelle mani del notaio l’atto costitutivo della Fondazione Teatro Valle Bene Comune. Questa per noi non è la fine di una esperienza ma un nuovo inizio, ci sono ancora molte lotte da fare.

La bellezza non può attendere.

da Left.it


Sostieni il Partito con una



 
Appuntamenti

PRIVACY






IT25W0538703202000035040300 presso BPER Banca o IT16C0760103200000039326004 presso PosteItaliane S.p.A.