
Cie, costi inutili e disumani
Pubblicato il 12 giu 2013
di Sara Picardo -
Respingerli e maltrattarli costa più che accoglierli e sostenerli. Per l’Italia stanno diventando “costi disumani”, insostenibili e infruttuosi, quelli sostenuti dallo Stato per trattenere i migranti senza documenti nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie) o rifiutarli direttamente in mare. Questa la dettagliata conclusione a cui è giunto un dossier dell’associazione Lunaria, recentemente presentato a Roma grazie al contributo dell’Open Society Foundation, dal titolo: “Costi disumani. La spesa pubblica per il contrasto dell’immigrazione irregolare”.
Mai titolo è stato più efficace, perché diventare una nazione più “crudele” non ci ha fatto certo diventare più sicuri né tanto meno più ricchi. Anzi: ammonta a ben 55 milioni di euro la cifra che lo Stato spende ogni anno per i Cie, a fronte di una spesa complessiva che tra il 2005 e il 2012 è stata di almeno un miliardo e 600 milioni di euro con cui sono state finanziate le politiche di contrasto dei clandestini. Nonostante questa spesa enorme, i Cie sono ben lontani dall’aver prodotto i risultati attesi: su 169.126 persone “transitate” nei centri tra il 1998 e il 2012, sono state soltanto 78.081 (ovvero il 46,2% del totale) quelle effettivamente rimpatriate. A causa dei tagli della spending review, che ha portato la spesa procapite per i trattenuti a soli 30 euro al giorno più Iva, le condizioni nei centri sono diventate, se possibile, ancora più difficili.
I migranti, infatti, sono rinchiusi fino a 18 mesi in luoghi considerati da più parti dei veri e propri lager, gestiti con gare d’appalto al massimo ribasso e senza una visibile trasparenza nell’utilizzo delle risorse. Senza calcolare gli scarsi risultati ottenuti in termini di rimpatri. “La novità di questa ricerca – sottolinea Pietro Soldini, responsabile nazionale immigrazione della Cgil – sta nell’aver mostrato che i tagli della spending review non solo rendono questi posti, se possibile, ancora più simili a lager per i migranti, ma anche per il personale che ci lavora. I diritti umani non sono rispettati nei confronti di nessuno, tanto che come sindacato stiamo seguendo la vertenza dei lavoratori dei Cie di Bologna e Modena”.
Che i Cie vadano chiusi, poi, lo hanno mostrato nel tempo i racconti di chi ha potuto visitarli dopo la campagna LasciateCIEntrare promosso da alcune associazioni di giornalisti a cui era vietato l’ingresso nelle strutture: “I Centri di identificazione e di espulsione non sono prigioni ma la differenza sta solo nel nome”, così scrive Elisabetta Povoledo, la corrispondente del New York Times in un reportage da Ponte Galeria, uno degli 11 centri attivi in Italia.
Non sono solo i Cie, però, a far lievitare la spesa della non accoglienza: a 331,8 milioni di euro sono infatti spesi per il controllo delle frontiere esterne; 111 milioni hanno finanziato l’acquisto di nuove tecnologie, sistemi di identificazione e comunicazione nell’ambito del Pon Sicurezza per lo Sviluppo del Mezzogiorno; 60,7 milioni di euro sono stati stanziati nell’ambito del Fondo Europeo per i Rimpatri, mentre oltre un miliardo di euro, una cifra da capogiro, è stato impegnato per l’allestimento, il funzionamento, la gestione e la manutenzione di Cie, Cpsa, Cda e Cara, 151 milioni di euro, infine hanno finanziato progetti di cooperazione con i paesi terzi in materia di immigrazione.
Le politiche del “rifiuto” non sono riuscite nemmeno a frenare l’ingresso di irregolari, mentre la crisi continua a far nascere nuovi potenziali clandestini in ogni migrante che perde lavoro. Senza parlare di chi è nato in Italia o vi è arrivato da piccolo, ma non possiede la cittadinanza a causa dell’assenza in Italia dello Ius Soli (altra battaglia di associazioni, società civile e sindacato) per i bambini nati da genitori stranieri.
“Il modo migliore per contrastare l’immigrazione irregolare”, scrive l’associazione, “è quello di facilitare l’ingresso e il soggiorno regolare dei migranti in Italia”. Quello che anche il sindacato chiede da tempo: “Questo ‘cattivismo’ istituzionale, che fa addirittura pagare ai migranti i costi dei Cie attraverso la supertassa sul rinnovo dei permessi – continua Soldini – fa il paio con un’improduttività disarmante: siamo tra i paesi europei che fanno meno rimpatri, mentre la direttiva 115, che invita in prima ratio a regolarizzare i migranti e poi a operare rimpatri assistiti, da noi è stata totalmente travisata e disattesa, portando la detenzione nei centri addirittura a un anno e mezzo”. Salvo poi ributtare l’immigrato per strada una volta fallita l’identificazione, facile preda di una disperazione che solo chi è stato trattato come un “disumano” può capire.
da Rassegna.it
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