Scheda inchiesta Rete di Nadia Rosa

GENESI DELLA RETE
L’emergenza sanitaria Covid-19 ha determinato un utilizzo massivo ed improvviso del “lavoro da casa”, finalizzato allo scaglionamento della presenza all’interno dei luoghi di lavoro.
Molte e molti di noi si sono quindi ritrovati di punto in bianco, senza alcuna formazione e spesso utilizzando i propri strumenti, a dover ricavare uno spazio in casa per poter svolgere le proprie mansioni.
Il tutto tentando di conciliare spazi, mezzi e tempi, con figli/e in DAD e compagni/e, mariti/mogli nelle stesse condizioni.
Isolati nelle nostre abitazioni, con inevitabile sovrapposizione tra tempi di vita e tempi di lavoro, senza aver chiaro quali fossero i nostri diritti, nell’incertezza di notizie urlate e spesso contrastanti, non sapendo quando e se si sarebbe tornati alla “normalità”.
Da qui l’esigenza di confrontarci con altri colleghe e colleghi per analizzare cio’ che ci è successo, cosa accade ora e soprattutto per costruire il futuro. Abbiamo iniziato in pochi creando una pagina social e, grazie ai contatti ricevuti, abbiamo in breve capito che eravamo (e siamo) invece in molte e molti con la stessa difficoltà nell’orientarsi in questa nuova giungla chiamata lavoro agile, con la stessa necessità di confrontarsi, scambiarsi esperienze e uscire dall’isolamento forzato.
Abbiamo deciso quindi di formalizzare questa connessione, creando la “Rete dei lavoratori e delle lavoratrici agili”, un primo passo per diventare protagonisti della narrazione, spesso errata e fuorviante, che ruota attorno al fenomeno ormai massivo del lavoro da remoto.
Ci siamo dotati di un indirizzo e-mail e “invaso” tutti i principali social (Facebook, Instagram e Telegram) per entrare in contatto con altre lavoratrici e lavoratori, di tutti i settori, in tutta Italia. Ad oggi la Rete è composta da 244 lavoratori/lavoratrici da remoto.

OBIETTIVI INCHIESTA
Conoscere dai diretti interessati come abbiano organizzato il lavoro da casa, quali i vantaggi e gli svantaggi, quali le difficoltà materiali e psicologiche che ognuno e ognuna di noi si è trovato ad affrontare, spesso in solitudine.
Aprire un confronto con le lavoratrici e i lavoratori su come rendere il lavoro davvero agile affinché possa inserirsi in un rapporto chiaro, con regole definite, sotto tutti i punti di vista.

METODOLIGIA DELL’INCHIESTA
Abbiamo tradotto in un questionario composto da 37 domande e diviso nelle seguenti 8 sezioni
Informazioni generali
Lavoro agile prima delle misure anti Covid-19
Tempi di vita e di lavoro prima e dopo le misure anticovid-19
Strumenti di lavoro e organizzazione
Trattamento economico
Diritti e sindacato prima e dopo le misure anticovid-19
Sicurezza sul Lavoro
Considerazioni personali

le varie suggestioni, domande, segnalazioni che ci sono pervenute sia dai social che attraverso il passaparola tra i lavoratori.

Il link al questionario (rigorosamente online, molto smart e compilabile in 5 minuti da qualsiasi dispositivo elettronico connesso ad una rete) è stato inizialmente inviato a tutti i contatti intercettati tramite i vari canali (circa 500), invitando i destinatari a diffonderlo a loro volta tra i propri colleghi e colleghe, anche attraverso le RSU e RSA presenti nei propri luoghi di lavoro.
Il primo link è stato inviato il 10 di ottobre 2020 e, ad oggi, è possibile stimare che il questionario abbia raggiunto una platea di circa 5.000 tra lavoratrici e lavoratori.

I dati riportati nell’analisi si riferiscono ad un campione di 2.846 lavoratori “da remoto” le cui risposte al questionario sono state registrate tra il 10 ottobre e il 30 novembre 2020, dei quali 1.281 sono uomini e 1.565 donne, 936 del settore pubblico e 1.910 del privato, principalmente operanti nel centro-nord Italia ( Lombardia, Toscana e Lazio) in una fascia di età compresa tra i 18 e i 60 anni.
ANALISI DEI DATI
LE LAVORATRICI E I LAVORI DICONO SI ALLO SMART WORKIG, PURCHE’ SIA REALMENTE SMART E CON LE DOVUTE TUTELE
Dai primi risultati dell’inchiesta emerge un’indicazione chiara: Smart working sì, ma con alcuni importanti punti fermi.
Se il 95% degli intervistati ha infatti dichiarato la propria propensione ad un eventuale proseguimento nell’utilizzo del lavoro da remoto anche nella fase post pandemica, la quasi totalità degli stessi ha posto delle condizioni sine qua non.
Una su tutte è che lo smart working debba essere volontario (98%).
Come evidenziato nella tabella n.1, anche la mancanza di rapporti interpersonali, di interazione con i colleghi e il non uscire dall’ambiente domestico conseguenti all’impossibilità di recarsi sul posto di lavoro ha pesato molto sulle lavoratrici e i lavoratori nel periodo emergenziale. Il 78% degli intervistati indica infatti che, qualora il lavoro da remoto dovesse essere confermato come modalità di prestazione di lavoro anche per il futuro, occorre in ogni caso che sia garantita la possibilita’ di rientro in ufficio per qualche giorno a settimana qualora il lavoratore/lavoratrice lo richieda (quindi la postazione di lavoro deve essere garantita per tutte e tutti dall’Azienda).

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Inoltre, si sono registrate diverse inadempienze rispetto quanto normato dalla Legge 81/2017 che regolamenta lo smart working, specie per quanto riguarda la prescritta parità di trattamento economico rispetto al lavoro in presenza. Piu’ del 55% degli intervistati ha infatti dichiarato che l’Azienda NON ha mantenuto tutti i diritti garantiti in presenza.
In particolare:
non è stato piu’ erogato il Ticket, non è stato previsto alcun rimborso pasto per chi usufruiva del servizio mensa e non sono stati riconosciuti gli straordinari.
Per lavorare da remoto piu’ del 50% degli intervistati ha dichiarato di aver dovuto utilizzare le proprie apparecchiature elettroniche (dovendo spesso procedere all’acquisto senza alcun rimborso) e nel 93,8% dei casi ha dovuto utilizzare (o potenziare in base alla maggiore necessità di flusso dati) il proprio personale contratto internet (ovviamente a proprie spese). Solo nel 3,3% dei casi è stata l’Azienda a fornire un dispositivo per collegarsi alla rete.
Tutto cio’ a fronte del fatto che alcune Regioni, come ad esempio la Lombardia, abbiano stanziato un ingente somma a fondo perduto destinata alle imprese per favorire lo smart working.
In alcuni casi è stato segnalato che il lavoratore posto in Cig in maniera intermittente abbia dovuto continuate a lavorare, sotto ricatto del datore di lavoro.
la postazione ricavata nelle case viene percepita come inadeguata per illuminazione, ergonomicità e climatizzazione per quasi il 50% degli intervistati
Un altro dato che stride con la ratio della sopra citata legge è che, nel 95% dei casi, la prestazione di lavoro sia stata erogata dalla propria abitazione, senza possibilità di interrompere il lavoro durante la giornata di lavoro e con processi e struttura organizzativa identici rispetto al lavoro in presenza.
Ne emerge sostanzialmente un quadro (Rif. Tabella nr. 2) che ha a piu’ che fare con la replicazione della prestazione di lavoro normalmente svolta in ufficio, nelle abitazioni private.
Nella maggior parte dei casi si tratta quindi una modalità di lavoro caratterizzata dalla rigidità e dalla negazione del concetto stesso di agilità.

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Altra indicazione importante che l’indagine fornisce è l’urgenza espressa dalle lavoratrici e dai lavoratori rispetto alla necessità di normare in modo collettivo l’attività da remoto.

Posto che la deroga alla Legge 81/2017 contenuta nel DPCM di Marzo (e valida ancora oggi), introduce la possibilità di procedere con l’implementazione dello “smart working” da parte dell’Azienda in maniera univoca, negando di fatto al singolo lavoratore la possibilità, prevista invece in origine dalla legge, di contrattare anche se singolarmente, le condizioni di implementazione del lavoro da remoto, il 79% degli intervistati ha comunque dichiarato che lo strumento attraverso il quale lo smart working andrebbe normato dovrebbe essere il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria. Questo anche a fronte delle troppe disuguaglianze di trattamento tra un’Azienda e l’altra, ma soprattutto a causa dei rapporti forza nei luoghi di lavoro, sempre piu’ sfavorevoli nei confronti dei lavoratori.

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Nadia Rosa

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