Se otto ore vi sembran poche di Tonino Tardi
La riduzione dell’orario di lavoro
Nella storia del movimento operaio e dei lavoratori la riduzione dell’orario di lavoro è sempre stata una lotta densa di liberazione umana , poiché rappresenta una delle condizioni materiali per un altro vivere sociale, più dignitoso per tutte e tutti. Nel corso degli anni è stata agitata nelle lotte degli operai e dei lavoratori dipendenti tanto in Europa, quanto negli Stati Uniti. E talvolta è persino evocata in ambienti del tutto insoliti, come governi e esponenti delle organizzazioni padronali, che in cambio di benefit economici e flessibilità con accordi con le istituzioni ,o con le associazioni sindacali di alcune categorie del lavoro subordinato hanno ridotto l’orario d’impiego dei lavoratori. La Francia ad es. con un accordo governo- padronato –sindacati, alla fine degli anni 90 l’orario di lavoro è stato portato a 35h
E però oggi , la confusione sulla questione della riduzione dell’orario di lavoro ha raggiunto livelli talmente incredibili che sembra non essere più nelle dinamiche rivendicative del movimento operaio, e di aver perduto la sua potenzialità ,come forza trasformatrice per cambiare ,la vita stessa e la società. Questa percezione attualmente è ancora più forte, sia per le difficoltà che hanno i lavoratori a mettere in piedi percorsi di lotta, sia perché nella nuova epoca tutto tende ad essere a disposizione esclusiva del capitale e della sua valorizzazione perfino il tempo del non-lavoro.
In breve la riduzione dell’orario di lavoro, tanto agitata nelle lotte del novecento, è diventata nelle attuali condizioni, uno strumento utilizzato dal padronato per ottenere maggiore flessibilità e sfruttamento dei lavoratori .
Questo processo è venuto avanti da diverso tempo. In questi anni infatti abbiamo assistito ad una vera e propria decostruzione operata dal capitalismo, che ha trasformato la riduzione dell’orario di lavoro, da mezzo per i lavoratori atto a mitigare lo sfruttamento e recuperare tempo di vita, in un meccanismo utile alla propria valorizzazione. E questo avviene ogni giorno, con sempre maggior intensità, attraverso contratti di solidarietà e part time verticali e orizzontali, volontari e non. Il tutto è contrattato dalle organizzazioni sindacali maggioritarie con le aziende, come scambio per bloccare i licenziamenti dei lavoratori ricevendo meno salario. Come conseguenza abbiamo, che il lavorare meno lavorare tutti degli anni ’70 e 80, che alludeva a un futuro migliore , che prospettava un’era in cui il lavoro costrittivo avrebbe pesato di meno nella vita delle persone grazie al progresso e sotto la spinta delle lotte, sembra non attrarre più i lavoratori. Ed anche sono lontani i tempi in cui la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario veniva inserita nei programmi elettorali, ed era persino causa della caduta dei governi come avvenne sul tema delle 35h nel caso del governo Prodi sul finire degli anni 90. Attualmente invece , la durata del tempo di lavoro, declinata in una logica tutta capitalista , fatta di scambi , di precarietà, di decurtazioni salariali, e contratti di solidarietà è diventata, nella coscienza collettiva qualcosa di non significativo. E divenuta un affare esclusivamente per il padronato. Per i lavoratori, in sostanza , risulta essere un ammortizzatore sociale soft. Il male minore preferibile al peggio; che di fatto li immiserisce, frena la conflittualità dovuta ai licenziamenti ,e il risultato è che con meno salario sono costretti a lavorare in nero per sbarcare il lunario, andando ad arricchire l’insieme dei capitalisti.
Ma se per i lavoratori la riduzione dell’orario di lavoro è in generale scomparsa dagli orizzonti da raggiungere, in altri ambienti assolutamente inaspettati , istituzionali e non, se ne discute eccome! Ovviamente nella scia delle necessità del sistema. Tra le voci più autorevoli che solo in questo ultimo periodo in modo diverso si sono dichiarati favorevoli a diminuire l’orario di lavoro , troviamo la ministra del lavoro Nunzia Catalfo , il presidente dell’inps Tridico ,alcuni esponenti della maggioranza di governo , il sociologo ex consigliere per il lavoro 5 stelle Domenico De Masi, e vari esponenti appartenenti alle varie organizzazione sindacali maggioritarie . Resta contraria la Confindustria , che con le sue pressioni ha fatto bocciare la proposta inserita nel decreto rilancio nel mese di maggio ,presentata appunto dalla ministra del lavoro Catafalco. Tuttavia , il padronato , pur bocciando la misura proposta dal governo, aspetta comunque di trarre vantaggi in termini di flessibilità nell’organizzazione del lavoro , bonus, sgravi fiscali e quant’altro serve a valorizzare il capitale. E la Confindustria da questa attesa ha ben da sperare , poiché negli ambienti favorevoli a ridurre l’orario di lavoro, le proposte ruotano sostanzialmente intorno a una riorganizzazione funzionale al sistema.
Le nuove necessità sociali e produttive del capitalismo devono andare incontro , di fatto, alla nuova rivoluzione industriale ,quindi al passaggio dal lavoro analogico –meccanizzato a quello digitalizzato –robotizzato negli uffici e nella produzione . Questa nuova epoca è iniziata qualche decennio fa e ora aspetta di essere realizzata con i suoi risvolti sociali. Su questo s’arrovellano le classi dominanti in Italia e non solo. La nuova modernità , infatti, oltre a portare ad un aumento ulteriore della valorizzazione del capitale ed a richiedere un ’adeguata formazione, comporta un aumento molto sostenuto della disoccupazione . Le nuove tecnologie renderanno a breve obsoleti ed inutili milioni di posti di lavoro come riportano importanti istituti di ricerca. Nel rapporto del 2017 intitolato jobs lost, jobs gained, la società di consulenza McKinsy ad es. sostiene ,che da qui al 2030, fra 75 , e 375 milioni di lavoratori a livello globale potrebbero essere colpiti dall’automazione perdendo il lavoro attuale. Se dovesse avverarsi l’ipotesi massimale si tratterebbe del 14% di tutti gli occupati del mondo. Ma volendoci concentrare sull’Italia si può fare riferimento al rapporto dell’istituto Ambrosetti, “tecnologia e lavoro governare il cambiamento” pubblicato nel 2018; l’istituto valuta che nei prossimi 15 anni il 14,9%del totale degli occupati pari a 3, 2 milioni potrebbe perdere il posto di lavoro a causa dell’automazione. Certo le nuove tecnologie creeranno anche nuovi posti di lavoro . Soprattutto per ingegneri, programmatori ,analisti esperti di sicurezza informatica , ma non oltrepasserebbero i 50 milioni a livello globale come rileva McKinsey per cui si avrebbe un saldo negativo pari a 300 milioni di posti di lavoro.
E’ una prospettiva che potrebbe creare problemi di tenuta sociale. In Italia per scongiurare questa situazione che viene avanti, qualificati esponenti del PD dell’attuale maggioranza avevano prospettato già a febbraio scorso un emendamento finalizzato a rendere più agevole la redistribuzione del lavoro che c’è, qualcosa simile ai contratti di solidarietà , pensando con tale misura di allontanare un probabile conflitto sociale . La ministra del lavoro Nunzia Catafalco da parte sua, ha puntato invece ad una riorganizzazione del sistema produttivo supportato dalla formazione per l’uso delle nuove tecnologie: le ore di formazione sottratte alla produzione, nelle intenzioni della rappresentante del governo , dovevano essere comprese nell’orario di lavoro attuale e sostenute dallo stato. Come detto, le pressioni di Confindustria hanno bloccato l’esperimento. Ma non è detto che la cosa non venga a breve ripresa , come sollecitano diversi esponenti sindacali compreso il segretario della Uil Bombardieri , che ha richiamato l’attuazione di questa misura per le aziende ed i lavoratori nel suo discorso di investitura come responsabile dell’organizzazione .
Questo sollevare da più parti la necessità della riduzione dell’orario di lavoro è certo dovuto alla crisi pandemica (che sta funzionando da acceleratore)e al lavoro digitalizzato e robotizzato, che sta rendendo inservibile il vecchio orario di lavoro della fase fordista-Taylorista, effettuato per lo più nelle ore diurne nella produzione. Tanti uffici vanno ora avanti anche con lo smart working che pure pone l’esigenza di essere riorganizzato per ridurre i costi, avere maggiore flessibilità e produttività ,distribuendo i lavoratori su tutto l’arco delle 24h. Non c’è traccia nei ragionamenti e nelle dichiarazioni dei favorevoli di parte governativa e sindacale a ridurre l’orario, dei sopraprofitti che il padronato ricava dalle flessibilità, con l’uso delle nuove tecnologie e con meno personale da impiegare nella produzione e negli uffici. Ne c’è discussione , sul punto decisivo che emerge da queste trasformazioni: e cioè che , con lo sviluppo della tecnica- lo affermano gli stessi economisti e centri studi padronali – il lavoro vivo veramente necessario , quello che serve per riprodurre la vita materiale del lavoratore, diviene adesso appena di due ore; e le restanti ore di lavoro producono solo profitto ,capitalizzazioni e sprechi. Non si discute, insomma, sul fatto che il progresso tecnologico si traduca in vantaggio esclusivamente per il capitale, mentre per il lavoratore si delineano solo pericoli: per non pochi di essi c’è la prospettiva dell’espulsione dal ciclo produttivo poiché il loro lavoro è sussunto dal sistema macchinico e ciò li rende inutili per il sistema capitalistico.
Ma proprio perché si delinea un tale scenario , la riduzione dell’orario di lavoro diventa per i lavoratori un elemento cruciale per la difesa e l’emancipazione della propria condizione. E’ una questione che va strappata all’uso profittevole che si appresta a fare il capitale e che va riconsegnata alla coscienza collettiva. Una leva insomma che cambia la società e con essa lo stato di cose presenti. La riduzione dell’orario di lavoro deve significare guadagnare tempo di vita, deve tradursi in miglioramento reale della condizione di vita dei lavoratori. Non è una questione che può essere condivisa con padroni, manager e dirigenti istituzionali che hanno come orientamento la crescita all’infinito del capitale e l’aumento del P.I.L. a discapito dei lavoratori, della società e dell’ambiente. Non è pensabile che nella prospettiva che si va delineando che abbassando le pretese si difendono meglio i lavoratori. E’ una convinzione sbagliata , e lo si vede anche dalle statistiche : solo nel 2019 i contratti di solidarietà sono aumentati del doppio rispetto agli anni precedenti, arrivando a 775 ossia nel 62% di tutti i decreti firmati per crisi industriali; e le ore di cig richieste nel 2019 sono state 259 milioni, con un aumento del 30% di quella straordinaria. Ed ancora: il reddito di cittadinanza è usufruito da 1milione e 119 mila persone (dati inps) e i disoccupati, e inoccupati , sono circa 6 milioni secondo le tabelle istat. Tutti i dati del 2019 indicano un peggioramento delle condizioni delle classi subalterne già nel periodo precovid. E tutti sappiamo come siano peggiorate nell’attuale fase pandemica.
Di fronte a questa catastrofe sociale una sostanziale riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario , diventa una prospettiva realistica per arrivare a un’equa e generalizzata ripartizione dei carichi di lavoro. E per mitigare almeno la disoccupazione e le ingiustizie.
Tonino Tardi