Scheda previdenza di Marilde Provera
Il sistema pensionistico
PREMESSA
In questi giorni si torna a paventare il rischio di un deficit incombente sull’INPS a cui si rischia di dovere far fronte con un abbassamento delle prestazioni previdenziali.
Cosa questo significhi concretamente è difficilmente perscrutabile in quanto l’attuale mole di uscite per CIG (a diverso titolo e in diversa forma), per ristori assistenziali COVID (riguardanti le più diverse categorie del mondo del lavoro) non hanno nulla a che fare con il sistema previdenziale ma riguardano solo la parte di intervento assistenziale.
Certamente, nella cultura politica (LE SCELTE CHE FANNO LE FORZE POLITICHE) sta prevalendo quella espressa dal movimento 5Stelle che vorrebbe trasformare completamente l’INPS in un ente statale di erogazioni assistenziali.
PECCATO CHE QUESTA CONCEZIONE COZZI CON IL FATTO CHE L’INPS E’ COSTITUITO PRINCIPALMENTE DA CONTRIBUTI VERSATI DAI SOLI LAVORATORI a titolo quasi esclusivamente PREVIDENZIALE e per alcuni interventi di tipo assistenziale interni al percorso del lavoratore quali ad es. la CIG, la maternità. lo Stato versa, prelevando dalla fiscalità generale, la parte che riguarda prestazioni puramente assistenziali e neppure coprendole per intero.
Questa stortura nel definire il ruolo dell’INPS nasce da lontano.
Già prima di questa crisi legata alla pandemia del CORONAVIRUS gli attacchi al sistema previdenziale si sono susseguiti con varie riforme che hanno peggiorato la prestazione pensionistica dei lavoratori dipendenti, vedi per ultima la Legge Monti/Fornero. Questo attacco ha teso ad affermare che il dramma del disavanzo dello Stato era dovuto al peso delle pensioni erogate.
In realtà non è mai stato così.
(Vedi più avanti le note da pag. 3)
IPOTESI PER AFFRONTARE UNA RIFORMA
E’ ormai indispensabile avere la separazione delle casse INPS che erogano prestazioni previdenziali (finanziate dai contributi versati dai lavoratori e dalle lavoratrici) da quelle che erogano prestazioni assistenziali (che devono essere a carico della fiscalità generale, quindi dello Stato).
Sarebbe necessario costruire una proposta che riproponga un patto forte fra generazioni, con il mantenimento di un sistema a ripartizione e in modo e misura tali che accanto alla garanzia del mantenimento del potere di acquisto delle pensioni in rapporto ai contributi versati e incrementati da percentuali di rivalutazione e di interessi, si costruisca una garanzia di previdenza minima per tutte le lavoratrici e i lavoratori legati ad una contribuzione minima da versare e al riconoscimento di un valore minimo delle pensioni legato al minimo vitale.
Va ridefinita con certezza un’età fisica (62 anni vi sembran pochi? Provate voi a lavorar in condizioni di fatica e/o ripetitività) e contributiva (41 anni di lavoro vi sembran pochi?Provate voi a lavorar in condizioni di fatica e/o ripetitività ) in cui sia possibile accedere alla quiescenza senza perdite reddituali.
Piuttosto vanno ridefiniti percorsi premianti per chi ritiene di potere restare nel mondo del lavoro. Vanno previsti premi:
- per il lavoro di cura famigliare
- per percorsi lavorativi usuranti, non solo per fatica fisica.
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Ci sono alcune questioni che sono già nelle richieste delle organizzazioni sindacali, seppure sostenute con poca convinzione specie in questo periodo:
-OPZIONE DONNA, da rendere permanente e soprattutto legata a criteri di
riconoscimento di contribuzione legata alla meternità;
-NO TAX AREA :
Detrazione IRPEF pensionati che va ridotta come avviene in tutti i Paesi UE
IRPEF azzerata per tutti redditi inferiori a 8.125 EU/anno
-Necessario definire platee riguardo a Lavoratori precoci ed APE Agevolata; ad es.:al momento sono esclusi i disoccupati da contratto di lavoro a tempo determinato, si devono considerare le mansioni e non i settori per lavori gravosi, vanno previsti i 6 anni continuativi (si escludono gli edili)
-Assumere come nucleo centrale giovani e figure deboli del mercato del lavoro (m.d.l.). e quindi:
*Pensione contributiva di garanzia : correzione calcolo attuariale con criteri di solidarietà per ingresso tardivo nel m.d.l.,riconoscimento di periodi contributivi dovuti a interruzioni non volute del percorso orativo lavorativo,precarietà,lavoro di cura, salari poveri.
-NO a Pensione minima di garanzia perché incoraggia piani pensionistici individuali privati ed evasione contributiva
-Sistema di rivalutazione da riadeguare
-Rafforzamento progressività nel sistema fiscale e lotta all’ evasione
-Riconoscimento che a diversità di lavoro corrisponde una diversa aspettativa
di vita
-Riforma della Governance dell’ INPS e dell’insieme della sua organizzazione
-In particolare l’assunzione per l’INPS della centralità del PENSIONATO come
portatore del diritto di sapere e conoscere le proprie condizioni di pensione,
anche se non ha competenze e/o mezzi informatici. Diritto a ricevere in
cartaceo la propria documentazione.
NOTE
Queste note partono da considerazioni sul deficit dello Stato in quanto è stato sempre utilizzato come inevitabile problema che è causato in buona parte dalle pensioni, ma così NON E’.
DEFICIT dello STATO
Il disavanzo primario (la differenza tra spese e tasse al netto degli interessi sul debito) inizia ad allargarsi verso la metà degli anni ’60 e tocca il suo picco a metà degli anni ’70 .
Dal 1964 al 1975, la nostra spesa pubblica passa dal 31,5 al 41,9 percento del Pil. Un aumento simile a quello che si registra in Francia, Gran Bretagna e Germania Ovest che passano dal 30 percento al 40 nello stesso decennio.
Le nostre entrate, però, rimangono invariate (attorno al 30 percento), mentre negli altri paesi fanno registrare aumenti equiparabili a quelli dal lato delle spese (nell’ordine di 10 punti di Pil).
È quindi dal lato delle entrate che si annida l’anomalia italiana: ovvero politica fiscale, alta evasione fiscale (male endemico)
Considerazione:
Da quanto sopra si potrebbe dedurre che si verifica un tacito patto tra evasori fiscali-Stato tale per cui con i proventi dell’evasione si acquistano titoli di Stato e la pressione fiscale aumenta in virtù del fiscal drag :
IN ENTRAMBI I CASI,
IL LAVORO DIPENDENTE È PENALIZZATO
DIVORZIO BANCA d’ITALIA – TESORO
E’ nei primi anni ‘80 che il debito pubblico ha un’impennata
Dal 1981 si consumò il divorzio tra Tesoro e Banca d’ Italia (Andreatta-Ciampi), grazie al quale la Banca d’ Italia divenne autonoma dalla politica a seguito della cancellazione dell’obbligo di acquisto illimitato di debito.
Ovvero, il Tesoro doveva ricorrere al mercato e così, nei successivi 15 anni circa, il debito esplose.
Il perché del divorzio Tesoro – Banca d’ Italia
Lo spiega il suo autore, l’allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta.
Uno degli obiettivi era quello di abbattere i salari, imponendo una deflazione che desse la possibilità di annullare “il demenziale rafforzamento della scala mobile, prodotto dall’accordo tra Confindustria e sindacati”. Infatti, nel 1984 con gli accordi di San Valentino la scala mobile fu indebolita e nel 1992 definitivamente eliminata.
Vedere testimonianza di ciò di Beniamino Andreatta su uno suo scritto per il “Sole 24 ore” del 26 luglio 1991 al seguente URL : http://www.ilsole24ore.com/fc?cmd=anteprima&artId=891110&chId=30
Quindi, il debito pubblico italiano, tra gli anni ’80 e ’90, passò dal 57,7% sul Pil nel 1980 al 124,3% nel 1994. (vedi grafico pagina successiva)
Tale crescita, molto più consistente di quella degli altri Paesi europei, quindi non fu dovuta ad una impennata della spesa dello Stato, che rimase sempre al di sotto della media della Ue e dell’eurozona.
Nel 1990 il debito pubblico era a quasi 668 mld di €, nel 2008 diventa 1663 mld di €: in questi 18 anni il Tesoro ha pagato interessi cumulati per 1605 mld di €.
Dal 1990 il debito cresce a causa degli interessi da pagare !
PER IL DEFICIT COMMERCIALE
Il disavanzo della bilancia commerciale ha caratterizzato il sistema economico italiano (fatta eccezione al riequilibrio dei conti commerciali con l’estero nel periodo 1993-2000).
Poiché le importazioni superavano strutturalmente le esportazioni, il paese era nella perenne necessità di riequilibrare i conti con l’estero con un avanzo della bilancia dei capitali
ALTA EVASIONE FISCALE E BASSA COMPETITIVITA’
La spesa pubblica italiana non è stata eccessiva, ma è stata finanziata comunque a debito a causa dell’insufficienza del gettito fiscale effettivo.
L’evasione fiscale endemica, quindi, ha impedito strutturalmente la copertura della spesa pubblica e ha anche ridotto le risorse per investimenti pubblici e stato sociale: in sostanza lo Stato si è visto costretto ad indebitarsi per sostenere spese necessarie e indifferibili, ma cittadini e imprese hanno fruito di servizi di livello inferiore agli standard europei (non a caso la spesa pubblica primaria italiana è comunque inferiore a quella di altri paesi europei dove l’evasione fiscale è meno sviluppata).
Cionostante va sottolineato come dal 1995 in poi il Bilancio dello Stato registri un avanzo primario
QUESTI DATI CONFERMANO CHE LAVORATORI DIPENDENTI E PENSIONATI SONO I MAGGIORI CONTRIBUENTI
Pubblicati i dati delle dichiarazioni fiscali 2019
Ecco in sintesi cosa emerge dai dati. Oltre 12 milioni di persone nel 2018 non hanno pagato un euro di Irpef a causa di redditi molto bassi o per effetto delle detrazioni. La metà dei contribuenti ha un reddito tra i 15 mila e i 50 mila euro e paga il 56% dell’Irpef totale, mentre solo il 6% ha un reddito superiore a 50 mila euro pari al 40% dell’Irpef. I redditi dichiarati sopra i 300 mila euro sono solo lo 0,1% del totale.
C’è un leggero aumento (+0,4%) del numero dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi: 41,4 milioni di persone. Il reddito totale (pensione, lavoro dipendente e lavoro autonomo) dichiarato è stato di circa 880 miliardi, cioè 42 miliardi in più rispetto al 2017 (+ 5%) con un reddito medio di 21.660 euro, cresciuto del 4,8%.
La maggior parte dei redditi dichiarati derivano da lavoro dipendente (53%) e da pensione (29%).
Cresce (+6,3%) il reddito medio da lavoro autonomo, ma anche quello da pensione (+2,5%) nonostante sia calato il numero dei pensionati, effetto però, spiega il Mef, della riforma Fornero. La Lombardia è stata la regione con il reddito medio complessivo più alto con 25.670 euro, seguita dai 24.760 euro di Bolzano. La Calabria è quella con il reddito medio più basso: 15.430 euro. «Anche nel 2018 rimane cospicua la distanza tra il reddito medio delle regioni centrosettentrionali e quello delle regioni meridionali. Scorporando i dati, il reddito degli autonomi, nella dichiarazione del 2018, risulta essere più del doppio rispetto a quello del lavoro dipendente con 46.240 euro dichiarati, rispetto ai 20.820 euro dei lavoratori dipendenti. Per i titolari di ditte individuali invece è stato di 20.940. I pensionati in media hanno dichiarato 17.870 euro. Dalla pur sommaria lettura risulta evidente quante siano ancora le dichiarazioni che non rispecchiano la reale situazione reddituale. Si pone con forza nuovamente la questione di una seria lotta all’evasione fiscale e contributiva, male endemico di questo Paese.
https://www1.finanze.gov.it/finanze3/analisi_stat/index.php?tree=2019
DISAVANZO INPS E DEFICIT PUBBLICO
Nella ricerca “La cosiddetta riforma delle pensioni 2011 – Ideologia, arroganza e menzogna nel governo Monti” della prof.ssa Maria Luisa Pesante e presentata all’Unione Culturale di Torino lo scorso anno, si cita il secondo il rapporto del NUVSP (Nucleo di valutazione della spesa previdenziale) dell’aprile 2012 e quindi alla vigilia della riforma Fornero la situazione è ben diversa da come veniva rappresentata.
Il saldo negativo tra i contributi pensionistici versati dai lavoratori e le prestazioni pensionistiche pagate dall’Inps era di 13 miliardi, lo 0,84% del PIL, che però si riferisce ai contributi al lordo della tassazione.
Invece:
al netto delle tasse (37 MD), nel 2010, il saldo pensionistico previdenziale dell’Inps era positivo per circa 24 miliardi.
Anche se comprendessimo nel disavanzo la spesa per interventi assistenziali (33 MD+ 13 = 46MD), togliendo però l’importo delle tasse (37 MD) si arriverebbe a un disavanzo di soli 9 miliardi, ossia circa lo 0,6% del Pil, contro una previsione del 4,4% che era alla base dello studio della Fornero!!!
CHI PAGA LE PENSIONI ?
LA SPESA PER LE PENSIONI È TROPPO ALTA?
Per l’ISTAT il peso totale è del 16,6% del PIL,ma se si considerasse la spesa previdenziale pura sarebbe del solo 12.6 % (epurando la spesa totale dalla spesa per l’assistenza e dalle imposte restituite dai pensionati allo Stato con Irpef statale e locale). Inoltre, una ulteriore riduzione si avrebbe detraendo dal calcolo della Previdenza il TFR (Eurostat lo considera Spesa Previdenziale). Inoltre altre voci che riguardano i provvedimenti assistenziali, concorrono ai trasferimenti dallo Stato.
Lo Stato trasferisce all’Inps a sostegno della previdenza circa 50 mld all’anno.
I LAVORATORI DIPENDENTI PAGANO DI PIÙ
All’ Inps
Sul lordo della retribuzione:
-i lavoratori dipendenti versano il 33%
-i lavoratori autonomi il 22,2%
(i versamenti contributivi degli autonomi risultano più bassi per due fattori:
l’aliquota contributiva più bassa ed i redditi dichiarati mediamente inferiori a
quelli dei lavoratori dipendenti, leggi evasione ed elusione fiscale. Il reddito
figurativo su cui avviene il prelievo é pari a 15000 EU/anno)
-i parasubordinati era il 28% fino al 2014
È diventato il 30,72% dal 1°gennaio 2015
arriverà al 33% nel 2018
CHI VERSA DI MENO…
HA IL FONDO IN PASSIVO
IL COMPARTO DEI FONDI DEI LAVORATORI DIPENDENTI
Ha un attivo patrimoniale accumulato nel tempo di
+ 58,4 miliardi €
IL FONDO DEI PARASUBORDINATI
ha un attivo patrimoniale pari a
+ 89 miliardi
I FONDI DEI LAVORATORI AUTONOMI
(artigiaIni, commercianti, coltivatori)
hanno un passivo patrimoniale di
- 119,7 miliardi €
Questo significa che la somma dei contributi versati dai lavoratori dipendenti (Previdenza + GPT:gestioni previd.,temporanee) ha superato quanto hanno ricevuto in prestazioni (pensioni, cassa integrazione, disoccupazione, malattia…).
IL COMPARTO DEI LAVORATORI DIPENDENTI
È alimentato dai contributi per la pensione e da quelli per le prestazioni temporanee
È costituito dal fondo storico FPLD (fondo dei lavoratori dipendenti),
dai fondi di alcune categorie di lavoratori in esso confluiti ( telefonici, elettrici, trasporti e pubblici-ex INDAP), dall’Inpdai (Istituto nazionale previdenza dirigenti aziende industriali).
Fa altresì parte del comparto dei lavoratori dipendenti (alimentata da loro contributi) la GPT (gestione prestazioni temporanee) che eroga cig, disoccupazione, malattia, maternità e assegni familiari. Il suo forte attivo patrimoniale viene usato per coprire i passivi degli altri fondi.
I DIPENDENTI PAGANO
LE PENSIONI AI DIRIGENTI
Nel solo esercizio 2013 il Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti registra un attivo di 4,47 Miliardi di € mentre quello dei Dirigenti (Inpdai) è in passivo di 3,81Miliardi € !Nel solo esercizio 2013 il Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti registra un attivo di 4,47 Miliardi di € mentre quello dei Dirigenti (Inpdai) è in passivo di 3,81Miliardi € !
Mentre la media annua lorda di una pensione di ex lavoratore dipendente è di circa 15.028 € (dato 2015), l’importo medio annuale percepito da un dirigente in pensione è stato di 50.206 € nel 2014.
Praticamente i versamenti contributivi dei lavoratori dipendenti servono a pagare anche le elevate pensioni dei dirigenti: chi percepisce una pensione più bassa paga per chi percepisce una pensione più elevata:
una equità al contrario !
I DIPENDENTI PAGANO
LE PENSIONI AGLI AUTONOMI
Se consideriamo la situazione patrimoniale al 2013, i fondi del comparto lavoratori dipendenti vantano un attivo patrimoniale accumulato nel tempo di 58,4 miliardi €, mentre i fondi dei lavoratori autonomi (artigiani,commercianti, coltivatori) hanno un passivo patrimoniale di 119,7 miliardi €.
Quindi gli autonomi, che pagano meno contributi e tra cui si annidano consistenti fasce di evasori fiscali, si vedono coprire il passivo del loro fondo dall’attivo dei lavoratori dipendenti.
Chi paga più contributi e viene direttamente tassato sulla busta paga, fa solidarietà con chi paga meno contributi ed ha la possibilità di evadere il fisco:
un’altra equità al contrario !
Impatto dei nuovi requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia (iscritti INPS dopo il 01/01/1996)
20 anni di contribuzione e un montante che garantisca 1,5 volte la pensione sociale (oggi un montante di 155.000 euri) = almeno 7.750 euro all’anno di contributi x 20 anni pari (per coloro che pagano almeno il 33%) a una retribuzione annua di 23.500 euro;
Coefficiente di trasformazione in base all’ aspettativa di vita per requisito età anagrafica
Con il contributivo….La pensione di vecchiaia con il contributivo penalizza I bassi redditi a favore di quelli più alti e le carriere lavorative discontinue a favore di quelle in costanza di lavoro.
IN CONCLUSIONE
Quanti saranno le persone che non riusciranno a raggiungere il diritto (Montante – 20 anni di contributi) a 67 anni e 3 mesi e dovranno aspettare fino ai 70 anni e 3 mesi?
Nel frattempo il requisito dell’ età, dal 2016, già evolve verso I 70 anni minimi grazie all’ aggancio all’ aspettativa di vita(v. Tabella INPS).
Ad esempio, I nati a partire dal 1971 non potranno andare in pensione di vecchiaia comunque prima di avere compiuto 69 anni e 1 mese nel 2041(al 2015, in Italia, erano 30.708.551 – ISTAT ed il 68% iscritti INPS, oltre 8,9 ml).
Pensione anticipata con il contributivo : a favore dei benestanti
Requisiti :Compimento di 63 anni e 7 mesi nel 2015-2016-2016 (per gli anni successivi incrementa per aspettativa di vita )
Versati 20 anni di contribuzione “effettiva”
1a rata della pensione non deve essere inferiore a 2,8 volte dell’ importo mensile dell’ assegno sociale (1.255,80 EU pari ad una pensione annua di 16.326 con almeno 326.520 EU di contributi versati).
Marilde Provera