Smart working, telelavoro e lavoro da casa in emergenza covid-19

MODALITÀ DI LAVORO DA REMOTO MOLTO DIVERSE TRA LORO CHE SPESSO VENGONO CONFUSE E SOVRAPPOSTE.
Spesso per semplificare si tende a confondere o peggio a sostituire il concetto di telelavoro con quello di smart working, traducibile in italiano con l’espressione “lavoro agile”.
In realtà i due approcci, sebbene resi possibili da strumenti informatici simili, differiscono molto l’uno dall’altro. Non solo sul piano teorico, ma anche nella prassi e specialmente nella normativa che regola i rapporti tra le aziende e i dipendenti che in pianta stabile lavorano al di fuori della sede aziendale.
Entrambe le modalità sono in fase di evoluzione e vengono adottate da un numero di aziende in costante crescita per risparmiare sui costi e per aumentare la produttività (sembra infatti che in media gli smart workers tendano a lavorare più ore rispetto ai colleghi in sede con conseguente aumento della produttività del 5-6%).
Cos’è lo Smart working o lavoro agile?
Introdotto dalla Legge numero 81 del 22 maggio del 2017 per regolare una pratica già esistente in molte realtà aziendali e per tentare di avvicinare l’Italia ad altri Paesi europei (soprattutto quelli del Nord Europa), questa tipologia di lavoro da remoto ha come scopo quello di “incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”.
Nonostante abbia maglie molto ampie e demandi gran parte delle condizioni alla contrattazione di secondo livello, la legge segna alcuni punti essenziali:
tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali. (art. 23, c.2)
tutela della salute e sicurezza del lavoratore (art. 22 c. 2)
responsabilità del datore di lavoro sulla sicurezza e il buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa (è previsto infatti che sia il datore di lavoro a fornire le apparecchiature al lavoratore, salvo accordi diversi).
divieto del controllo telematico a distanza al di fuori di quanto disposto nell’art. 4 della legge 300/70, lo Statuto dei lavoratori.
libertà per il lavoratore di scegliere il luogo di lavoro. La legge definisce infatti questa modalità di lavoro “senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro”
orario di lavoro autodeterminato: l’importante è raggiungere l’obiettivo prefissato.
E’ chiaro quindi che il Lavoro Agile è una modalità di lavoro pensata soprattutto per il lavoro autonomo, consulenziale, progettuale, anche se alle dipendenze di un’azienda/studio, è infatti definito dalla legge come attività con “forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro”
Cos’è il telelavoro?
La legge 191 del 1998 disciplina il lavoro a distanza per la pubblica amministrazione. Non esiste invece una legge per il settore privato, per questo si fa riferimento all’accordo interconfederale del 2004 che ha recepito l’accordo-quadro europeo del 2002, che definisce il telelavoro “una forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell’informazione nell’ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro, in cui l’attività lavorativa, che potrebbe anche essere svolta nei locali dell’impresa, viene regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa.” Il suo carattere è volontario e il lavoratore conserva gli stessi diritti e doveri del lavoratore in sede. L’orario di lavoro è fisso, le regole sulle pause e il riposo non cambiano rispetto al lavoro in sede.
La normativa prevede inoltre uno stanziamento di una quota del Fondo per le politiche della famiglia alle imprese che agevolano i propri dipendenti da un punto di vista di flessibilità oraria ed organizzativa.
I dipendenti impegnati nel telelavoro poi, possono essere esclusi dal computo dei limiti numerici previsti per l’applicazione di particolari normative (ad esempio quella sulla rappresentazione sindacale). Le aziende, infine, possono rispettare gli obblighi imposti sulle assunzioni obbligatorie utilizzando il sistema del telelavoro.
La normativa sul telelavoro elenca i principali diritti del lavoratore che svolge la sua attività da casa o da un altro luogo lontano dall’azienda. Viene riconosciuto il diritto:
di accettare o di rifiutare liberamente la scelta di lavorare a distanza
di fruire delle stesse condizioni dei colleghi di pari livello che lavorano in sede
di avere lo stesso trattamento collettivo dei colleghi che lavorano in sede
alla riservatezza: l’azienda non può installare strumenti che consentano un controllo diverso o sproporzionato rispetto all’obiettivo ed in violazione delle norme sui videoterminali
di essere tutelato dal punto di vista della salute e della sicurezza professionale
Premesso che qualsiasi aspetto che riguardi gli strumenti di lavoro va concordato al momento di sottoscrivere il contratto di telelavoro, in base a quanto stabilito dalla legge e dagli accordi nazionali di categoria, ci sono dei vincoli generali che impegnano sia il datore sia il lavoratore.
Da parte sua, l’azienda:
risponde normalmente della fornitura, dell’installazione e della manutenzione degli strumenti che servono al regolare svolgimento dell’attività, a meno che il lavoratore decida di utilizzare quelli di sua proprietà;
se il lavoro a distanza viene svolto con regolarità, deve coprire o compensare i costi che direttamente ne derivano;
fornisce supporto tecnico;
copre i costi derivati dallo smarrimento o dal danneggiamento degli strumenti e dei dati utilizzati per il lavoro;
adotta ogni mezzo a sua disposizione per proteggere i dati utilizzati dal lavoratore per fini professionali;
informa il lavoratore circa le limitazioni d’uso delle apparecchiature, degli strumenti e dei programmi informatici (compreso l’accesso al web) e circa le sanzioni da applicare in caso di violazione di tali limiti;
informa il lavoratore circa le norme di lege e le regole aziendale sulla protezione dei dati.
Principali criticità del lavoro agile
In questi primi anni di utilizzo del lavoro agile si è verificato un fenomeno da non sottovalutare: il lavoratore ha vissuto come “gentile concessione” o addirittura un “privilegio” la possibilità di lavorare da casa. Questa narrazione da parte dei datori di lavoro, introiettata dai lavoratori ha determinato una condizione psicologica e socialmente accettata tale per cui il lavoratore spesso non ha ritenuto di dover rivendicare migliori condizioni di lavoro. Nonostante che le aziende con il lavoro agile beneficino di una significativa riduzione dei costi fissi di struttura nulla viene riconosciuto al lavoratore né come indennità di utilizzo di spazio privato e per i costi relativi, né come indennità per servizi ai dipendenti non fruiti (quali ad esempio la mensa).
Uno dei temi critici del lavoro da casa, ampiamente riconosciuto ma non scongiurato, è quello del “fine lavoro mai”, quella tendenza a voler terminare un lavoro anche oltre l’orario giornaliero e settimanale, a non staccare mai.
Un altro punto critico è la parcellizzazione e la solitudine dei lavoratori. Il lavoro da casa porta ad un’ulteriore (dopo i contratti precari) parcellizzazione della “massa lavoratrice”, alla rottura dei collegamenti fra i lavoratori, indebolendo la loro forza contrattuale e di reazione. Il lavoro agile regala infatti alle aziende un rapporto uno-a-uno con il lavoratore senza intermediari, senza confronto sindacale.
A quanto sopra va a sommarsi il sovrapporsi dei tempi di vita con i tempi di lavoro, di cura dei figli/anziani e della casa, del riposo e dello svago. Se pensiamo poi al combinato disposto “smart working – didattica a distanza”, risulta facile pensare come un utilizzo non consapevole e acritico di questa modalità di lavoro possa mettere a dura prova sia a livello fisico che psicologico soprattutto le lavoratrici, sulle quali ancora oggi grava il peso maggiore per quanto riguarda il lavoro di cura.

Lavoro da casa in emergenza Covid-19
Guardando alle condizioni effettive, risulta chiaro che la maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici che stanno lavorando da casa a causa della pandemia operano in una modalità più simile al telelavoro che allo smart working come invece genericamente si afferma, anche se in realtà nella maggior parte dei casi, non vengono garantite neanche le condizioni minime previste dalla normativa relativa al telelavoro.
La gran parte del lavoro trasferito nelle abitazioni delle lavoratrici e dei lavoratori a causa della pandemia è infatti rigido lavoro svolto a casa invece che in un ufficio.
Il DPCM dell’8 marzo 2020 concede però alle aziende di utilizzare le modalità del lavoro agile a prescindere dalla tipologia di lavoro, si legge infatti che “la modalità di lavoro agile (…) può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”. Questa è una deroga pesante per il lavoratore infatti l’accordo ha lo scopo di definire le “forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro” e individuare i “tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”. Tutto questo è stato sacrificato, senza ragione oggettiva (ma solo soggettiva per favorire le aziende), in nome dell’emergenza.
Tale disposizione ha ovviamente determinato un utilizzo massivo del “lavoro da casa” da parte di tutte le Aziende/Enti. E ha anche determinato il verificarsi di una giungla di comportamenti nella quale si sono verificate le condizioni più disparate. Alcuni lavoratori hanno dovuto utilizzare i propri dispositivi personali (PC, telefono) o dovuto acquistare apparecchiature non fornite dall’azienda e/o a dover attivare o potenziare un contratto di connessione ad Internet, per scongiurare di venir messi in cassa integrazione non potendo né lavorare in sede, per il distanziamento obbligatorio, né da casa. Hanno dovuto infine ricavare in casa uno spazio per poter svolgere le proprie mansioni, conciliando le esigenze degli altri componenti della famiglia, a loro volta in telelavoro o alle prese con la didattica a distanza. Nella maggior parte dei casi hanno dovuto dire addio ergonomia del posto di lavoro.
I nostri obiettivi
L’utilizzo massivo del lavoro da remoto scatenato dall’emergenza sanitaria, apre un nuovo scenario sia per quanto riguarda l’organizzazione che relativamente alle condizioni di lavoro. Siamo infatti consapevoli che quanto adottato come prassi in questi mesi dalle aziende, probabilmente porrà le basi per il futuro di molte e molti di noi.
Occorre pertanto che il Partito si impegni in un serio lavoro di inchiesta, che sia il più largo possibile, in modo da conoscere e comprendere in modo puntuale le modalità e le condizioni in cui una vasta popolazione di lavoratrici e lavoratori si è ritrovata improvvisamente ad operare.
Un utilizzo corretto, consapevole e più rigorosamente normato del lavoro agile può infatti portare alcuni benefici per le lavoratrici e lavoratori, in particolare la possibilità di:
gestire meglio e in autonomia il proprio tempo, conciliando lavoro e vita privata
risparmiare sui costi di spostamento
La riduzione della domanda di mobilità lavorativa si traduce, in una riduzione di consumi energetici, emissioni inquinanti e di gas serra, tempi costi e infortuni legati agli spostamenti casa-lavoro.
Ma perché quanto sopra diventi la realtà di tutte e tutti i lavoratori da remoto, occorre conoscere cosa realmente si sia verificato, esaminarne le criticità, in modo da poter elaborare delle proposte puntuali che vadano a sanare le maglie troppo larghe della normativa in merito e a denunciare le situazioni in cui i diritti già previsti dalla legge vengano violati.
Non possiamo permetterci ulteriori arretramenti, non possiamo sacrificare altri diritti. Anzi, dobbiamo contribuire a promuovere un nuovo movimento delle lavoratrici e dei lavoratori per la rivendicazione di “diritti digitali” che abbia come obiettivo non solo che non si facciano passi indietro rispetto a quanto previsto per il lavoro in presenza, ma che si prefigga di migliorare le condizioni di vita e di lavoro da remoto.
Il lavoro agile non può essere un vantaggio solo per aziende, né un’occasione per esasperare la già troppo invadente flessibilità.
Un altro punto imprescindibile per orientarci all’interno del modo del lavoro digitale è lo studio approfondito del tema attraverso seminari, documenti e quant’altro riusciremo a produrre, anche con l’aiuto di esperti, che il Partito dovrà mettere in campo in modo da formare le compagne e i compagni, fornendo in questo modo gli strumenti per analizzare una realtà in continua evoluzione.
Inoltre la difesa delle lavoratrici, dei lavoratori e dell’occupazione passa in buona parte attraverso il condizionamento delle nuove forme di organizzazione del lavoro e l’applicazione delle leggi a garanzia di salute e sicurezza.
Già in tempi di normalità il tessuto produttivo italiano era caratterizzato da una forte frammentazione – con aziende di dimensioni medie, piccole e spesso piccolissime – e il contatto con le forze sociali, i rappresentanti sindacali e perfino con gli organismi istituzionali di vigilanza era estremamente difficile: l’organizzazione del lavoro rimaneva saldamente in mano ai padroni così come, di fatto, l’applicazione delle norme a tutela dei lavoratori; ora c’è la concreta possibilità che queste condizioni svantaggiose si estendano anche alle aziende di dimensioni maggiori.
All’avvio della “fase due”, partendo dalla necessità di evitare l’affollamento in particolare sui mezzi pubblici nelle ore di punta, ha preso corpo una discussione sulla necessità di riorganizzare i tempi della città: i tempi di vita, di lavoro, di svago, gli orari degli esercizi commerciali, la rimodulazione dell’offerta di trasporti. Quindi, di fronte alla forte spinta per riaprire tutto e per tornare alla presunta normalità, dobbiamo evitare che la vita delle persone sia incentrata esclusivamente sulle priorità della produzione: rischiamo di lavorare sempre e da ogni luogo, con orari spalmati su tutta la settimana e senza riposo, senza tempo per le relazioni e per lo svago, ben oltre le ore diurne.
Esattamente il contrario di ciò di cui c’è bisogno, come ci ha dimostrato la pandemia, ovvero piegare i tempi di produzione alle necessità delle persone.
Invece di lavorare meno per lavorare tutti potremmo trovarci con meno addetti che lavorano molto di più, senza aumenti salariali e senza diritti.
È necessario avviare la discussione su questi temi cruciali, per molti versi nuova e difficile, da un punto di vista di classe.

Rosa Perini De Angeli

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