Lettera di Khalida Jarrar dal carcere al Festival Palestine Writes

Lettera di Khalida Jarrar dal carcere al Festival Palestine Writes

Cari Compagni, qui a seguire, nella traduzione della Associazione di Amicizia Italo-Palestinese (link originale), la splendida
Lettera di Khalida Jarrar dal carcere al Festival Palestine Writes

Festival di letteratura palestinese Palestine Writes, 2-6 dicembre 2020

Al festival di Letteratura Palestinese, Khalida Jarrar riesce a far pervenire, facendola uscire clandestinamente dal carcere dove è detenuta, una lettera in cui parla del ruolo fondamentale che la letteratura e la cultura rivestono per i prigionieri politici palestinesi, per conservare la loro umanità e restare collegati al mondo esterno

Khalida Jarrar, carcere di Damon 

Dalla prigione di Damon in cima al Monte Carmelo ad Haifa vi mando un saluto da parte mia e da parte di altre 40 combattenti per la libertà, compagne detenute nelle prigioni israeliane. Ed estendiamo il nostro saluto a tutti gli scrittori, studiosi, intellettuali ed artisti che dicono la verità e chiedono libertà e giustizia per tutti coloro che si battono per il diritto del popolo all’autodeterminazione e al contrasto della dominazione coloniale e razzista.In questa occasione permettetemi anche di inviare il nostro saluto e sostegno a tutti gli scrittori arabi, studiosi ed artisti che rifiutano la normalizzazione con il sistema coloniale degli insediamenti e che hanno rifiutato di accettare gli accordi di normalizzazione dell’entità Sionista con gli Emirati, il Bahrein e il Sudan.

Sono queste prese di posizione che costituiscono il legame vero tra il nostro popolo e rafforzano noi che siamo in prigione. Anche se fisicamente siamo imprigionate tra inferriate e celle, le nostre anime restano libere e si librano nel cielo della Palestina e del mondo. Malgrado la durezza dell’occupazione israeliana e delle misure punitive che vengono imposte, la nostra voce libera continuerà ad esprimersi a nome del nostro popolo che ha sofferto orrende catastrofi, sfollamenti, occupazione e incarcerazioni. E continueremo a far sapere al mondo della forte volontà palestinese di lottare senza sosta per il rifiuto del colonialismo in tutte le sue forme. Noi lavoriamo per realizzare e consolidare i valori umani e lottiamo per per ottenere la liberazione economica e sociale per le popolazioni del mondo intero.

Letteratura e cultura in carcere

Noi mandiamo un saluto, in questa fase finale del Festival, ad Angela Davis, ai colleghi ed amici Hanan Ashrawi, Richard Falk, all’amatissima Susan Abulhawa, e a Bill V. Mullen.

E come nostro contributo a questa conferenza vorremmo tentare di comunicarvi le nostre attuali esperienze riguardo a letteratura e cultura mentre siamo nelle prigioni israeliane. La cosa più importante qui sono i libri. I libri costituiscono la base della vita in prigione. Essi mantengono il nostro equilibrio fisico e morale di combattenti per la libertà e che considerano la loro detenzione come parte della resistenza contro l’occupazione coloniale della Palestina. I libri hanno un ruolo fondamentale nel rapporto individuale di ciascuno con le autorità carcerarie. E ciò avviene quando i nostri carcerieri tentano di spogliarci della nostra umanità e tenerci isolate dal mondo esterno. Per le prigioniere si tratta di una “rivoluzione culturale” attarverso la lettura, la formazione e la discussione.

I prigionieri politici palestinesi incontrano molti ostacoli nell’accesso ai libri. I libri non ci arrivano nei tempi previsti in quanto sono sottoposti a controllo o vengono requisiti quando portati da un familiare. In teoria ogni prigioniera è autorazzata a ricevere due libri al mese. Però i libri sono soggetti a controlli che comportano spesso il rifiuto dell’amministrazione della prigione con il pretesto dell’”incitamento”(=incitamento alla ribellione, NdR). Privare le detenute dell’accesso ai libri è utilizzato come punizione, e alle prigioniere può venire impedito di ricevere libri per due o tre mesi, così come è successo a me nel 20217. Anche la modesta biblioteca usata dalle detenute è soggetta ad ispezioni costanti con la possibilità da parte delle guardie di requisire qualunque libro che sia stato introdotto a loro insaputa. Ciò induce le carcerate a modi diversi di proteggere i libri che sono a rischio di requisizione.

Libri amati e libri vietati

Le detenute riescono in questo modo a riuscire a fare entrare alcuni grandi libri. In aggiunta a testi di filosofia e storia, sono entrati libri di Ghassan Kanafani, Ibrahim Nasr-Allah e Suzan Abu-Alhawa. Il racconto “La Madre” di Gorky ha costituito un conforto per le prigioniere private della loro madri. I lavori di Mahmoud Darwish, Elif Shafak “Le 40 regole dell’Amore”, “I Miserabili” di Victor Hugo, Nawal El Saadawi, Sahar Khalifeh, Edward Said, Angela Davis e Albert Camus sono stati tra i libri che abbiamo amato di più e che sono riusciti a sfuggire alle ispezioni.

Tuttavia libri come “Scritto sotto la forca” di Julius Fucik e i “Quaderni dal carcere” di Gramsci non si è mai riusciti a sottrarli alle attenzioni dei guardiani. In realtà nessuno dei libri di Gramsci è permesso l’accesso, per una posizione particolarmente ostile a Gramsci da parte delle autorità di occupazione.

Libri che sono esposti nelle librerie di tutto il mondo sono soggetti a censura e requisizione da parte delle autorità carcerarie di occupazione israeliane se tentiamo di accedervi: i libri qui vengono arrestati così come la nostra gente.

Come dato positivo della nostra vita, alcuni libri scritti da prigionieri all’interno delle carceri siamo riuscite a farli arrivare fino a noi, uno dei quali parla delle esperienze di prigionia e interrogatorio nelle carceri israeliane, intitolato “Non siete soli”.

Misure punitive ed oppressive

L’accesso ai libri non è l’unica lotta che devono affrontare i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Cercherò di farvi conosce aspetti della nostra vita, ma tenete presente però che è nostra volontà quella di rimanere forti come l’acciaio.

Le autorità carcerarie israeliane impongono quotidianamente misure oppressive, in particolar e attraverso l’isolamento. Ci privano anche delle visite familiari, impediscono l’ingresso di libri culturali e letterari e vietano completamente i libri educativi. Inoltre vietano il canto in tutte le sue forme. Le canzoni rivoluzionarie e anche quelle popolari sono bandite.

Inoltre, non ci è consentito avere accesso a più di una radio. La radio è un’importante fonte di informazioni che ci collega al mondo esterno trasmettendo notizie dal mondo. Ma la radio è più di questo per noi, è uno strumento che ci collega con le nostre famiglie e amici mentre chiamano e inviano messaggi attraverso i vari programmi radiofonici palestinesi.

Le autorità carcerarie israeliane inoltre non consentono alcun tipo di riunione o riunione. Puniscono continuamente le donne detenute riducendo gli articoli che possono essere acquistati dallo “Spaccio”, che è l’unico “negozio” disponibile.

I prigionieri sono continuamente seguiti attraverso il controllo delle telecamere di sorveglianza che circondano ogni angolo della prigione, incluso il piazzale (Al-Forah). Questo piazzale è dove le donne detenute possono stare al sole per cinque ore intermittenti ogni giorno fuori dalle loro celle chiuse e dalle finestre sbarrate. Le nostre celle sono inoltre soggette a controlli rigorosi e provocatori a tutte le ore della notte o del giorno alla ricerca di un qualsiasi pezzo di carta su cui sia stato scritto qualcosa. Potete immaginare quanto sia stato difficile per me riuscire a farvi pervenire questo messaggio.

Tutto quanto sopra e altro ci costringe a utilizzare vari metodi per contrastare queste politiche. Vi sono piccole cose e oggetti che possono sembrare banali fuori dal carcere, ma rivestono una grande importanza per noi detenute all’interno. Ad esempio, la penna è importante, la carta è importante e i libri sono considerati un tesoro. Tutto ciò è quello che ci sostiene per la nostra sopravvivenza, la nostra maturazione, la nostra lotta contro l’occupazione.

Le produzioni del Movimento dei Prigionieri politici

La nostra lotta per la liberazione all’interno delle carceri inizia con la difesa della letteratura sulla resistenza. Possiamo anche dirci contente che molti prigionieri specialmente quelli con condanne elevate, hanno ampliato la gamma della letteratura disponibile pubblicando romanzi e racconti che spero attireranno l’attenzione di studiosi arabi e internazionali. Inoltre, il Movimento dei prigionieri ha pubblicato una serie di studi e ricerche che fanno luce sulla realtà delle condizioni nelle carceri israeliane. Io stessa ho condotto uno studio nel 2016 mentre ero in prigione sullo “Stato delle donne prigioniere nelle carceri israeliane”. Lo studio si è concentrato sugli effetti e sulle violazioni contro donne e bambini palestinesi detenuti all’interno delle carceri. Nel 2019, ho preparato un altro documento su “La formazione all’interno delle carceri israeliane”, che è stato pubblicato nel libro di Ramzy Baroud sull’istruzione e le donne detenute dal titolo “Queste catene verranno rotte”.

Sfortunatamente, non ho visto la versione pubblicata del libro a causa del mio attuale nuovo stato di detenzione. Nel documento che ho citato, ho presentato le difficoltà che l’istruzione deve affrontare in carcere, una delle quali è la tenacia di Israele nel impedirci di svolgere qualsiasi attività educativa in carcere. Il loro obiettivo è chiaramente quello di isolare i prigionieri, sia uomini che donne, e di spezzarci trasformandoci in individui senza speranza e senza futuro. I prigionieri, d’altra parte, danno il massimo per contrastare i tentativi delle autorità carcerarie attraverso metodi creativi innovativi per ottenere il diritto all’istruzione.

L’istruzione universitaria

Stiamo ora cercando di avviare l’istruzione universitaria per un primo gruppo di donne detenute, come secondo livello della nostra lotta per rivendicare il diritto all’istruzione. Questo segnerà la prima volta nella storia in cui le prigioniere palestinesi, specialmente quelle con condanne elevate, potranno conseguire un diploma universitario mentre sono in prigione. In seguito terremo aggiornati su questo argomento e sui problemi affrontati.

Parte del programma educativo universitario si basa sull’integrazione delle esperienze educative palestinesi, arabe e internazionali attraverso la letteratura sulla resistenza. Il programma include anche ricerche e studi scientifici a nostra disposizione in carcere nel tentativo di sviluppare le capacità intellettuali delle donne detenute e di riconoscere le loro attese per il loro futuro.

L’intera iniziativa mira a ispirare e rafforzare la fiducia in se stessi delle donne detenute incoraggiandole a considerare il carcere un luogo di sviluppo creativo, culturale e umano. Ci auguriamo che l’iniziativa rafforzi le convinzioni e le capacità delle donne detenute di creare un cambiamento nella società una volta che saremo liberate.

Questa iniziativa mira a contribuire alla lotta di liberazione globale contro l’apartheid israeliano e la disuguaglianza di genere consentendo alle donne detenute di migliorare la loro istruzione e di entrare nel mondo del lavoro al momento della loro liberazione.

Sessioni in inglese ed in arabo

Voglio sottolineare che durante la preparazione di questa mia lettera, abbiamo tenuto due sessioni educative per le donne detenute che si sono registrate per l’istruzione universitaria. Le due sessioni sono state una in lingua inglese e una in lingua araba.

Quello che ha attirato la mia attenzione è stato il fatto che durante la prima sessione in lingua inglese, ho chiesto a ogni detenuta di compilare una domanda proforma di ammissione all’Università specificando l’indirizzo di studio che si desiderava perseguire. Vorrei farvi conoscere alcune delle domande sono state compilate:

Shorouq: una prigioniera di Gerusalemme che è stata condannata a 16 anni di cui ne ha scontato sei. È stata arrestata mentre frequentava l’Università di Betlemme con una specializzazione in “Turismo”. Il sogno di Shorouq è diventare una guida turistica. Ha scelto la sua specializzazione in turismo perché vuole educare il mondo sui luoghi storici in Palestina. È particolarmente interessata a guidare tour a Gerusalemme a causa delle continue annessioni, furti, violazioni e distorsioni del paesaggio imposte alla città dall’occupazione israeliana.

Maysoun: una detenuta di Betlemme che è stata condannata a 15 anni di carcere e ne ha scontati sei finora. È stata arrestata mentre frequentava l’università con una specializzazione in lettere. Maysoun è una avida lettrice anche in prigione. Ama la letteratura. Descrive la letteratura come un metodo per definire il proprio futuro. La letteratura, a suo avviso, richiede al lettore di pensare e rispondere a molte domande riguardanti un particolare argomento sollevato dal romanzo o da un’opera letteraria. Dice che questo stimoli il pensiero critico e lo sviluppo culturale.

Ruba: Ruba è una studentessa di sociologia del 3° anno che frequenta la Birzeit University. È stata arrestata tre mesi fa ed è ancora in detenzione. Ruba ha il desiderio e la determinazione di continuare i suoi studi dopo il suo rilascio. Secondo lei, la ragione per scegliere la sociologia come specializzazione è di sviluppare l’analisi delle strutture sociali e di classe nella società e la loro incidenza sulla condizio0ne della donna.

Ho cercato di comprendere le motivazioni alla base delle aspirazioni e dei sogni di queste donne, discutendone con loro stesse. Ho trovato che il denominatore comune tra loro fosse la ribellione. Ribellione contro l’oppressione e restrizioni imposte. Un netto rifiuto delle politiche di occupazione, degli impedimenti alla istruzione per le donne detenute. Ho visto in loro una grande forza interiore per sfidare il controllo usato contro le donne detenute con l’obiettivo di isolarle e trasformarle in donne disperate che non hanno sogni o progetti per il futuro.

Altri motivi includono la resistenza contro il piano dell’occupazione di cancellare l’identità e la storia palestinese. Queste donne vogliono anche rompere con le professioni stereotipate e di genere che la società designa per le donne. Ecco perché hanno fatto scelte come turismo, letteratura, sociologia e teoria critica.

Autobiografie

Per quanto riguarda la seconda sessione, quella in lingua araba, ci siamo concentrate sulle autobiografie e abbiamo lavorato sui diversi metodi di redazione delle autobiografie. Le detenute sono state divise in gruppi che hanno discusso varie biografie tra cui quella della leader sindacale boliviana e femminista Domitila Chúngara, “Fatemi parlare”, che parla delle esperienze e delle lotte dei minatori in Bolivia.

Inoltre, abbiamo studiato biografie e autobiografie di scrittori arabi affermati come “Al-Ayyam” di Taha Hussein e “Sono nato là,Sono nato qua” di Mourid Barghouti.

La sessione includeva anche l’analisi di testi letterari come il poeta palestinese Mahmoud Darwish intitolato “L’incertezza del Ritorno”, che è un discorso tenuto da Darwish alla Birzeit University in una celebrazione della liberazione del Libano meridionale nel 2000.

Le sessioni educative, le presentazioni e le discussioni hanno arricchito la conoscenza delle detenute e le hanno incoraggiate a continuare a leggere libri e romanzi. Stiamo trasformando la prigione in una scuola culturale in cui i detenuti imparano altre esperienze e dove combattiamo i tentativi dell’occupazione di isolarci dal resto del mondo.

In conclusione, la nostra lotta per la liberazione all’interno delle carceri inizia con la difesa della letteratura sulla resistenza. Trasmettiamo le nostre voci e le nostre storie mentre le scriviamo in circostanze molto difficili. Quando veniamo presi, il prezzo che paghiamo a volte è pesante, specialmente quando la nostra punizione è l’isolamento o il divieto di visite familiari.

Un esempio calzante è il prezzo pagato dal prigioniero Waleed Daqa che è stato messo in isolamento per essere riuscito a fare uscire il suo romanzo fuori dalla prigione, per essere poi pubblicato. Ciò costituisce un’altra sfida che dobbiamo affrontare nel quadro delle “Due volontà”: la volontà dei combattenti per la libertà e quella dei colonizzatori, così come espressa dalla combattente per la libertà Domitila Chúngara in “Lasciatemi parlare!”. Anche noi, le prigioniere palestinesi, diciamo “parliamo … sogniamo … liberiamoci!”

Grazie per l’ascolto e per avermi dato l’opportunità di partecipare a questa conferenza.

Khalida Jarrar, prigioniera politica, carcere di Damon, 17 ottobre 2020

Traduzione a cura di Associazione di Amicizia Italo-Palestinese

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