Pietro Ingrao: l’eccidio di Modena, 9 gennaio 1950

Pietro Ingrao: l’eccidio di Modena, 9 gennaio 1950

Il 9 gennaio 1950 a Modena la polizia sparò su lavoratori che protestavano contro i licenziamenti politici. Il questore mandò contro 1500 poliziotti con i mitra e gli autoblindo. Ci furono 6 morti, più di 50 feriti e 34 arrestati. Oggi alla commemorazione dell’eccidio hanno partecipato i nostri compagni Paolo Ferrero e Stefano Lugli, candidato presidente per la lista L’Altra Emilia-Romagna.
Teniamo viva la memoria delle lotte per conquistare quei diritti che nell’ultimo ventennio sono stati progressivamente sottratti a lavoratrici e lavoratori. E non dimentichiamo che le stesse libertà democratiche in Italia sono state una conquista delle classi lavoratrici pagata a duro prezzo prima, durante e dopo la caduta del fascismo. Vi riproponiamo l’editoriale che Pietro Ingrao scrisse sull’Unità del 10 gennaio 1950:

Premeditazione

Due anni di violenze, di illegalità senza pudori, di offese alla libertà e alla vita dei cittadini sono stati più che bastanti a rivelare il volto e l’animo degli sciagurati che detengono il dominio del nostro Paese. Le loro mani grondano ancora del sangue dei morti contadini di Melissa, degli uccisi di Torremaggiore, dei braccianti aggrediti nella notte a Montescaglioso. Abbiamo conosciuto il loro cinismo nel gettar fango contro i proletari senza terra del Mezzogiorno; li abbiamo visti ammanettare i cittadini colpiti e feriti, li abbiamo ascoltati in Parlamento difendere gli assassini e legittimare gli eccidi. Abbiamo assistito all’impudenza con la quale costruivano i loro castelli di menzogne e alla sfrontatezza con la quale li vedevano crollare senza batter ciglio. Li abbiamo veduti restaurare la uccisione dei lavoratori come metodo di lotta politica e chiamarlo costume cristiano e democratico. Li conosciamo. Eppure nemmeno l’odio verso i lavoratori che li ispira e i ciechi interessi che essi servono sembrano bastanti a spiegare l’efferatezza del delitto che è stato compiuto ieri a Modena. Sei morti e più di cinquanta feriti sono la strage disumana portata nella piazza di una città civile, sono la pazzia e la bestialità che si accoppiano alla morte. Fa orrore il modo in cui la strage è stata compiuta; e dall’orrore nasce un interrogativo grave. Abbiamo dinanzi i primi, tristissimi particolari del delitto. I sei operai di Modena sono stati assassinati da chi sparava al sicuro dall’interno della fabbrica. quasi tirando al bersaglio: uno dei sei è stato colpito da una scarica nel volto, le mani aggrappate a un cancello, quando non poteva nuocere a nessuno; gli altri sono stati freddati ancora più a distanza, dall’alto, probabilmente dal fuoco incrociato dei mitragliatori che sparavano dai tetti dello stabilimento. Tutti e sei sono caduti a distanza di tempo, durante una sparatoria micidiale che si è sviluppata nel corso di due ore e mezza. Quando già nella strada giacevano i cadaveri e il sangue già era stato versato, ancora il prefetto si rifiutava di dare l’ordine di cessare il fuoco: quasi che i morti non bastassero ancora… Le forze di polizia erano stato disposte nella fabbrica come per una lunga e importante azione di guerra: postazioni di mitragliatori erano state collocate in modo da poter battere con il fuoco fino a grande distanza. Da Bologna era stato fatto venire un battaglione di carabinieri con 13 autoblindo, oltre ai reparti corazzati di Cesena, ai carabinieri e alla Celere di Modena; si parla anche di rinforzi venuti da Ferrara, da Parma, da Forlì e da Reggio Emilia: tutto per consentire la illegale «serrata» di una fabbrica del signor Orsi Mangelli! Noi siamo convinti della importanza particolare che codesta illegale serrata e la volontà di tale padrone assumevano per gli uomini che rappresentano lo Stato di De Gasperi a Modena. Ma l’ampiezza della strage, la freddezza con cui è stata portata a consumazione, l’incredibile spiegamento di forze debbono far pensare a una ben più alta posta: ecco la domanda grave che si fa luce tra l’orrore dei fatti. Dati i fatti — fra i più gravi e atroci di questi anni pure così tempestosi — o gli uomini che rappresentano lo Stato a Modena sono pazzi da manicomio oppure quei mitragliatori piazzati sui tetti dello stabilimento puntavano a un obiettivo assai più largo, oltre la stessa città di Modena. Chi aveva stabilito questa posta e preparato tutto per il massacro? Modena è una grande città democratica, dove le masse popolari sono forti e organizzate e non sono use a tollerare le offese. Modena medaglia d’oro partigiana, è nel cuore dell’Emilia rossa, la regione più avanzata e combattiva del nostro Paese. Vi è qualcuno in Italia che ha sperato di far perdere la testa a questa città generosa e a questa regione? Qualcuno che aveva bisogno di sangue e di conflitti per nascondere in essi il proprio fallimento e nel sangue e nei conflitti cercare un alibi per la sua sciagurata avventura? Si svolge in questi giorni una «crisi» strana nel nostro Paese, o meglio nei corridoi e nei gabinetti dei massimi gerarchi del regime. Un governo, che si è mostrato incapace di risolvere i problemi di fondo della Nazione, un governo sciancato e mutilo dovrebbe, per dichiarazione stessa del suo Presidente, andarsene via; invece tarda e indugia. Vi sono alcuni — e sono molti nello stesso campo borghese, persino nel campo clericale — i quali chiedono che il nuovo governo faccia una politica diversa, che tenga conto dell’estremo disagio popolare; altri, la Confindustria per esempio, chiede invece che ci si inoltri ancora più a fondo bulla infausta strada già imboccata: chiede «una stretta di freni» . Bivio pericoloso e pericolosa tentazione per chi vede sfaldarsi giorno per giorno la formula ingannatrice su cui si era fondato il trionfo del regime del 18 aprile. Quella formula era stata cementata con le immonde menzogne sull’«idra bolscevica» e con il terrore. I reazionari d’Italia e degli altri paesi non hanno troppa fantasia, né vanno per il sottile: si è sperato di risuscitare da Modena gli spettri tramontati per puntellare un passato che vacillava? Qualcuno ha sperato nel solco di sangue e nella aggravata rottura per ridare fiato e legittimità ai «restauratori della patria» screditati? Si dirà che il disegno sarebbe troppo mostruoso. Ma di questi mostri è intessuta la storia della reazione italiana: di mostri e di cadaveri. In questa luce seria va considerata la protesta solenne che si leva dalla Nazione ferita nei suoi figli e offesa in una sua città gloriosa. Bisogna fermare la mano degli assassini e far intendere a chi ne fosse tentato che sulla strada di Crispi e di Mussolini non si torna. I pazzi sono avvertiti. Gli italiani gelosi della loro vita e delle loro libertà sanno che i pazzi vanno isolati e, in modo civile, saggio, ma energico, messi in condizioni di non nuocere alla pace di tutti. La crisi del 18 aprile non si risolve con i massacri.

PIETRO INGRAO


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