La settimana di Staffetta per l’Unità della Repubblica e le prospettive di una lotta fondamentale secondo Marina Boscaino

La settimana di Staffetta per l’Unità della Repubblica e le prospettive di una lotta fondamentale secondo Marina Boscaino

Stefano Galieni

Da poco tempo la compagna Marina Boscaino è divenuta ufficialmente portavoce del “Comitato per il ritiro di qualunque autonomia differenziata”. Le abbiamo posto alcune domande utili a fare un bilancio tanto sulla loro preziosa campagna quanto sulle prospettive di questo pericolosissimo impianto legislativo

 

Ci fai intanto un bilancio delle mobilitazioni che il Comitato nazionale per il ritiro di qualunque autonomia differenziata ha tenuto la scorsa settimana?

La settimana di Staffetta per l’Unità della Repubblica, promossa dal “Comitato per Il Ritiro di ogni autonomia differenziata, per l’unità della Repubblica e la rimozione delle diseguaglianze” si è conclusa qualche giorno fa: una mobilitazione per diffondere notizie, informazione, dissenso in merito ad una questione di rilevanza fondamentale per il nostro Paese, di cui quasi nessuno mostra di essersi accorto. Dal 9 al 14 dicembre, dal nord al sud del Paese, i comitati  locali di scopo Per il ritiro di qualunque Autonomia differenziata e l’unità della Repubblica - Brescia, Pisa, Viareggio, Roma, Bari, Torino, Padova,Bologna, Voghera, Lamezia Terme, Catania, Napoli… – hanno rilanciato nelle piazze un grido di allarme contro i progetti di Autonomia differenziata presentati da diverse Regioni e per il ritiro del disegno di Legge quadro, che renderebbe applicabile l’Autonomia differenziata. Un buon successo, considerate le nostre limitate forze e il silenzio che avvolge tutta la questione. Ci sono stati volantinaggi, presidi, sit-in, assemblee, con un buon ritorno rispetto alla sensibilizzazione delle persone.

Per chi non conosce ancora il vostro lavoro, quando è nato, da chi è costituito e come lavora il comitato?

Inizialmente si è trattato di un tentativo tutto interno al mondo della scuola, uno dei settori toccati dal progetto eversivo di autonomia differenziata. Alcune associazioni – tra cui la Lip scuola e il Manifesto dei 500 – dopo il fallimento di un tavolo congiunto tra associazioni e sindacalismo (confederale e di base) per tentare di sfilare l’istruzione dal progetto di autonomia differenziata – hanno capito che, poiché l’autonomia differenziata configura la rottura del patto repubblicano e la disgregazione della Repubblica stessa come garante della esigibilità dei diritti universali per tutte/i sul territorio nazionale, tenere fuori la scuola non sarebbe bastato. Non sarebbe altrettanto eversivo e contrario all’art. 3 della Costituzione prevedere la completa regionalizzazione della sanità o delle politiche ambientali, delle infrastrutture come dei beni culturali, della sicurezza sul lavoro quanto della ricerca e dell’università? Tanto più se affidare alle regioni la legislazione esclusiva di queste ed altre importanti materie passasse – come previsto – anche attraverso il trattenimento di gran parte dei tributi, con buona pace del principio di solidarietà, enunciato dall’art. 2 della Carta? L’Autonomia differenziata viene messa in piedi per liquidare, privatizzare, attaccare tutte le conquiste e i diritti democratici e sociali del Paese. Il Sud sarebbe il più colpito, ma tutti lo sarebbero e fin da subito. Possiamo immaginare con chiarezza, per esempio, cosa significherebbe l’Autonomia per la sanità, peraltro già in parte regionalizzata: un salto nel buio verso la privatizzazione, le assicurazioni, l’impossibilità di curarsi per milioni di cittadini. Ciò che oggi si vede con le liste di attesa e con i ricchi che possono curarsi, mentre i lavoratori e i poveri possono morire, verrebbe moltiplicato per mille. Non dobbiamo dimenticare che siamo il Paese in cui ci si ammala di cancro più al Nord, ma si muore più al Sud. Questo dato deve dirci qualcosa: è il segno di opportunità diverse che già ora rendono i nostri diritti fortemente diseguali e determinati dalla zona del Paese in cui ci è toccato in sorte di nascere. Analoghi discorsi potrebbero essere avanzati su molti altri aspetti della vita quotidiana e dei relativi diritti. Ora, chi può pensare che questo sia un problema di chi lavora nella sanità e non tocchi invece tutti? Chi può pensare che gli insegnanti possano essere disinteressati ad un simile disastro? Chi può pensare che la liquidazione, per esempio, della manutenzione delle strade in una parte del Paese possa non riguardare i cittadini di un’altra parte o l’economia generale? Forse i cittadini di una Regione possono essere “tranquilli” se in un’altra i tagli dei fondi per la manutenzione delle strade portano a far crollare un ponte, o a far franare colline e montagne, o a far straripare fiumi, o a svendere il territorio alla malavita? Come abbiamo detto e scritto tante volte “Chi può pensare di salvarsi da solo? Inoltre, se anche un settore (scuola) venisse preservato, in parte o totalmente, dalla prima ondata di Autonomia differenziata, il processo che verrebbe avviato trascinerebbe ben presto anche quel settore nel vortice distruttivo. È per questo che abbiamo proposto in giugno un documento che argomentava la necessità di essere solidali nel ripudio di qualunque autonomia differenziata; documento sottoscritto da 120 tra associazioni, sindacati, partiti. Abbiamo poi organizzato 2 assemblee nazionali – in luglio ed in settembre- che hanno messo a fuoco alcuni punti, primo tra tutti la necessità di continuare in una interpretazione del tema che non escludesse nessuna delle materie. È così che l’Esecutivo del Comitato – fino ad allora composto di soli docenti – si è allargato a rappresentanti della sanità, dell’ambiente, della ricerca. È così che si sono creati 36 comitati di scopo; è ancora così che abbiamo trovato la condivisione della nostra posizione da parte della Rete dei Numeri pari; sono le alleanze e i nessi nel lavoro quotidiano che si fa sui territori l’unico modo per sensibilizzare le persone. Abbiamo sempre meglio chiarito che non esiste un’autonomia differenziata “buona” e una no. Gli eufemistici aggettivi che si usano per indicare quella emiliano-romagnola – soft, solidale, equilibrata, ragionevole ecc. – sono artatamente usati per mascherare la intatta pericolosità di quel progetto rispetto a quello del Veneto e della Lombardia. E – analogamente – abbiamo compreso come la foglia di fico della determinazione del Lep – Livelli essenziali di prestazione – previsti dalla stessa Riforma del Titolo V e mai realizzati nei 18 anni che da essi ci separano – non è che un tentativo di edulcorare una situazione che renderebbe il Sud del Paese sempre più povero e deprivato, come hanno dimostrato “Zero al Sud” di Marco Esposito e la famosa “operazione verità” rivelata dal ministro Boccia: un ammanco di 61 miliardi ai danni del nostro Meridione. Quand’anche si trovassero le risorse per sanare le sperequazioni attualmente esistenti tra Nord e Sud del Paese (ma si parla di determinazione e non di realizzazione dei Lep), sarebbe giusto istituzionalizzare le differenze? Dire: a Crotone dò i Lep, Treviso intanto vada per conto suo fin dove riesce ad arrivare? Sarebbe forse questa la realizzazione della prima parte della Costituzione che abbiamo difesa nel 2016 e che chiedevamo, appunto, di realizzare?

 

A tuo avviso, quanto nel paese si sta comprendendo la gravità del percorso trasversale che partendo da alcune Regioni rischia di frantumare la stessa unità della Repubblica?

Poco o nulla. Ed è il fatto più incredibile. Nonostante la buona volontà e l’impegno di tanti, l’abnegazione prodotti in più di un anno di lavoro, le notizie che circolano sono pochissime. Misteriosamente, quella che sembra essere una insidia persino più pericolosa di quella che sventammo il 4 dicembre del 2016, non sollecita l’attenzione dei cittadini, ignari sostanzialmente di quanto sta per accadere. Siamo sull’orlo di un precipizio, destinato non solo a moltiplicare le diseguaglianze già pesantemente esistenti, a violare una serie di principi costituzionali, ad incidere in maniera drammatica sulla nostra esistenza quotidiana; ma – addirittura – a mutare l’assetto istituzionale del nostro Paese. Un ritorno al passato, con un sistema di signorie più o meno potenti (dalle regioni che hanno già chiesto l’autonomia, Emilia Romagna, Veneto e Lombardia proviene il 40% del Pil nazionale), in cui non sarà più “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (come recita il comma 2 dell’art. 3 della Costituzione), ma ognuno farà da sé; e chi non sarà in grado di farlo, si arrangi. Perché, si badi bene, l’autonomia differenziata dovrà essere, per disposizione della Ragioneria dello Stato, senza oneri ulteriori, a costo 0. E si sa bene, quando le condizioni sono queste, da quale parte la coperta corta tenderà a spostarsi. Combinata con il dettato dell’art 81 riformato in Costituzione nel 2013, la realizzazione dell’autonomia differenziata significherebbe la dismissione definita del welfare. Dal prima gli italiani, al prima i veneti, gli emiliani, i lombardi. Rischiamo un meridione popolato da figli di un dio minore, più di quanto non sia. La cittadinanza sarà su base regionale, e così i diritti che essa configura: cittadini di serie A, B, Z.

L’ indifferenza generale è probabilmente dovuta ad una serie di fattori, non ultima la pesante congiuntura politica che il Paese sta attraversando. E all’ambiguità dei maggiori protagonisti della vita sociale e politica rispetto ad una materia che, se per la maggior parte dei cittadini avrà esiti pesantemente negativi, per molti rappresenta un piatto ricco, un vero e proprio affare.

Come l’informazione mainstream sta raccontando questa ridefinizione dell’assetto statuale?

L’informazione main stream è – appunto – main stream. E poiché la maggior parte dei poteri forti sono sostenitori espliciti o no dell’autonomia differenziata, la “narrazione” che ne viene fatta è naturalmente prudente, rispettosa, gentile, misurata. E a piccoli spot. E’[sg1]  normale che – dopo la rivelazione di ben 98 incontri segreti tra le 3 regioni e il governo, che hanno portato avanti un progetto destinato a mutare il volto del paese- nessuna delle principali testate  abbia pensato di informare i cittadini di cosa stia succedendo? E’ normale che oggi, mentre stiamo parlando, dobbiamo improvvisarci segugi o investigatori provetti per comprendere che il la legge quadro del ministro Boccia, che impone un’accelerazione a tutto l’impianto, dopo aver rischiato di essere un emendamento alla legge di Stabilità ne sarà un collegato? Certo, giocano in questa partita una serie di elementi molto particolari: in primo luogo la trasversalità del gradimento dell’autonomia differenziata. La Lega, si sa, vede in questo provvedimento una condizione identitaria. Il PD, articolazione successiva di quei DS che fecero la Riforma del Titolo V insieme a Forza Italia nel 2001, peraltro, hanno oggi l’ulteriore pungolo delle elezioni in ER, dove il presidente di Regione uscente e candidato alle imminenti elezioni regionali del 26 gennaio, Bonaccini, è uno dei tre richiedenti. Il M5S ha contribuito alla approvazione delle intese presso i consigli regionali delle 3 regioni che per il momento hanno chiesto l’autonomia. Dico per il momento, perché – oltre al Piemonte, che sta per chiedere ufficialmente l’autonomia – tutte le regioni italiane tranne due hanno fatto passi più o meno ufficiali in questa direzione. Continuiamo a muoverci in un terreno viscoso, fatto di rimozione, edulcorazione, vie traverse: le voci chiare e forti sono pochissime; l’ambiguità trionfa. Il cittadino comune ha estrema difficoltà ad orientarsi in un panorama così complicato su una materia peraltro molto complessa, perché frutto della riforma costituzionale del 2001. I media mainstream stanno facendo un pessimo servizio al diritto all’informazione.

 

Quali saranno le prossime iniziative per contrastare il Ddl del Ministro Boccia in materia? Avevamo riposto qualche speranza nel cambio di governo, augurandoci che l’allontanamento della Lega potesse in qualche modo prefigurare maggiori trasparenza ed interlocuzione su un tema tanto delicato. La serrata interlocuzione del ministro Boccia con le 3 regioni e la legge quadro ci hanno spiegato che le nostre speranze erano mal riposte. Se il governo giallo verde aveva al punto 20 del “contratto” l’autonomia differenziata, l’attuale governo ha ereditato il tema infliggendogli – addirittura – un’accelerazione. Ho affermato in precedenza che i Lep non sono in alcun modo né la soluzione, né una parziale attenuazione della gravissima situazione nella quale rischiamo di piombare. La legge quadro del ministro Boccia non solo non vincola l’inizio dell’autonomia differenziata alla realizzazione dei Lep, ma afferma che, qualora i Lep non dovessero essere definiti entro un anno, l’autonomia differenziata potrebbe partire ugualmente. È per questo che già ci stiamo organizzando per rilanciare una settimana di mobilitazione in gennaio, che culminerà in presidi contemporanei sotto le prefetture e le sedi regionali; ma riteniamo indispensabile l’allargamento del numero dei comitati di scopo e la costruzione di alleanze per arginare la (dis)informazione che allontana i cittadini dalla comprensione e dalla consapevolezza di quanto sta accadendo. In questo senso lanciamo un appello a tutte le forze democratiche che abbiano a cuore l’unità della Repubblica. Mettiamo a disposizione la nostra energia e tutto il patrimonio di documenti e conoscenze che abbiamo accumulato in questo anno di studio e operatività sui territori. L’impegno nostro e di altre/i su questa partita è essenziale: non bisogna dimenticare che – una volta ratificate dal Parlamento – le intese governo-regione hanno durata decennale e non sono reversibili, se non per un recesso da parte delle regioni stesse. Siamo letteralmente sull’orlo di un baratro profondissimo: potenzialmente 20 sistemi scolastici, 20 sistemi sanitari, 20 normative ambientali e di sicurezza sul lavoro, 20 gestioni delle infrastrutture. Fine della Repubblica una e indivisibile Indietro non si potrà tornare. Non c’è tempo da perdere.

 

Nel nostro blog e sulla pagina FB potete trovare informazioni e approfondimenti.

 

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