Dal carcere di Viterbo

Dal carcere di Viterbo

di Davide Rosci -
Car* compagn* del «manifesto», nella lettera che vi scrissi da questa cella vi raccontai dei tre trasferimenti, del blocco della corrispondenza, degli isolamenti e degli altri abusi subiti. È stata dura, ma non mi sono mai lasciato andare. Vedere i tantissimi compagni e compagne che da ogni angolo d’Italia mi hanno sostenuto è stato commovente, ogni giorno ricevo lettere di sostegno. Sul mio caso sono state accese mille luci, per questo non è passato sotto silenzio. Sono molto fortunato ad avere voi, ma di molte altre storie che accadono tra queste mura nessuno ne viene a conoscenza. Ho visto coi miei occhi gente impiccarsi, tagliarsi, ingoiare batterie elettriche e cucirsi le labbra per far valere i più elementari diritti, ma a ogni rimostranza l’unica risposta che hai è il silenzio. E se provi ad alzare la voce «la squadretta» ti porta in isolamento e ti massacra. Se sei fortunato sopravvivi, altrimenti ti liquidano con la frase: «È caduto dalle scale» oppure «ha avuto una crisi cardiaca». (…) Parlano di riabilitazione, reinserimento e rieducazione (art. 27 della Costituzione), ma qui l’unico obiettivo che viene perseguito è l’annientamento fisico e psicologico. Possiamo e dobbiamo fare qualcosa, perciò noi compagni detenuti inizieremo il 22 maggio uno sciopero della fame, per dare forza alla manifestazione di Parma contro il carcere, sperando che abbia una risonanza nazionale. Ho saputo che un ragazzo marocchino, Camel Mahamdi, è morto qui in carcere, era un mio vicino di cella, ma se è vero che è morto vi dico che l’hanno ucciso loro, visto che da mesi era in sciopero della fame e si tagliava. Lo hanno ricoverato più volte e ultimamente lo hanno messo in isolamento. Potreste chiedere di aprire un’indagine?


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