XI Congresso del PRC: risparmiateci l’ennesima conta sulla linea politica
Nei giorni scorsi è arrivata la convocazione del Comitato Politico Nazionale che darà il via alla fase pre-congressuale di Rifondazione Comunista, per i prossimi 30 novembre e 1 dicembre.
Peccheremmo di ingenuità però, se non ci dicessimo che l’aria pre-congressuale nel partito si respira già da un po’.
Dal rimpasto della segreteria nazionale a fine luglio fino al recente dibattito del partito che riguarda le elezioni regionali, fino al nervosismo che attraversa una parte del gruppo dirigente.
Chi scrive, a discapito dell’età, i congressi del partito se li è vissuti tutti quanti da Chianciano in poi, votando sempre documenti di minoranza ma adoperandosi affinché, prima di tutto, il partito si sviluppasse a prescindere nella propria organizzazione e visibilità politica.
Questa lettera aperta alle compagne e ai compagni del PRC nasce dall’esigenza, avvertita da molti, di avere per il 2020 un tipo di congresso diverso da tutti gli altri.
Non un congresso dove si vada, per l’ennesima volta, ad una conta sulla linea politica sul tema delle alleanze, pur importante, ma su cui dovremmo già da tempo aver fatto chiarezza nell’impostazione del partito.
È mia impressione, infatti, che dietro alla forte discussione avuta dal partito in questi mesi sul tema delle elezioni regionali, si nascondesse il tentativo di orientare il dibattito interno facendo fare ad alcuni regionali fughe in avanti, derubricando all’ultimo posto le due esigenze che per i comunisti dovrebbero avere le competizioni elettorali: incidere nei rapporti di forza tra le classi e rafforzare il partito.
A scanso di equivoci, ciò è avvenuto su opzioni politiche diverse, ma in ogni caso il risultato ottenuto è stato il medesimo: la mancata presentazione del partito alle competizioni regionali.
Se quindi vogliamo che Rifondazione Comunista torni ad avere compattezza ed efficacia, dovremmo avere il coraggio di non impostare il prossimo congresso come un braccio di ferro analogo ai precedenti, tra presunte “destre” e “sinistre” interne.
Non è accettabile che, ancora, i gruppi dirigenti (di maggioranza e di minoranza) si inventino un “nemico interno” per poter legittimare la propria perenne immutabilità di fronte ad un quadro politico italiano che è in continuo rinnovamento.
I nemici non sono i nostri compagni che la pensano diversamente, ma sono i fascisti e i liberisti ovunque collocati!
Così come non è accettabile che il “nemico interno” lo si trovi facendo leva su elementi di cultura politica, perché la forza storica di Rifondazione Comunista è proprio quella di aver saputo fare sintesi tra culture politiche differenti nell’ambito del comunismo.
Un congresso senza conte è anche la condizione necessaria (ma non sufficiente) per potersi dire apertamente cosa in questi anni non ha funzionato della nostra azione politica.
Credo che nessuno nel partito pensi che la situazione sia idilliaca, né che ci siamo mossi bene.
E l’unico modo per affrontare i problemi e risolverli, è che essi non vengano strumentalizzati né negati.
Occorre che al centro della discussione poniamo il ragionamento su come la nostra azione politica torni ad essere efficace e gratificante per i compagni che faticosamente resistono sul territorio: perché la politica, soprattutto quando fatta senza soldi, non può essere solo fatica e frustrazione, ma deve essere prima di tutto entusiasmo.
Dell’entusiasmo che possiamo (e dobbiamo) tornare a sprigionare possiamo vedere qualche piccolo seme nella nostra organizzazione giovanile, i Giovani Comunisti/e, che seppur non sempre con logiche diverse da quelle del partito adulto, mette faticosamente in campo un rilancio a livello politico e generazionale.
Quindi intanto il congresso dovrebbe essere aperto da una bella inchiesta sociale sulla percezione che i nostri referenti sociali hanno di noi, per misurare punti di forza e di debolezza.
E una volta individuate le direttrici politiche su cui lavorare, possiamo con serenità pensare ai migliori gruppi dirigenti per svilupparle.
È noto che dentro il partito quello del gruppo dirigente è sempre un tema che suscita reazioni contrastanti, tra difensori e detrattori, tra apocalittici e integrati.
La cosa più saggia e lungimirante quindi in questa fase, più che chiedere improbabili epurazioni o riconferme, è quella di consegnare agli iscritti con la massima democrazia interna possibile, la possibilità di scegliere il prossimo gruppo dirigente:.
Occorre quindi che nel su undicesimo congresso, il Partito della Rifondazione Comunista adotti come normale metodo di lavoro e di elezione l’utilizzo delle liste aperte.
Fin dall’elezione delle commissioni pre-congressuali, all’interno del CPN, per poi proseguire con commissione per il congresso, delegati e nuovi organismi dirigenti: viene eletto chi prende più voti dai compagni di base, non chi dà più garanzie al capo-corrente.
Peraltro, in un contesto di partenza come il nostro, la tutela delle diverse sensibilità politiche è garantita dal fatto che i documenti congressuali uscenti sono due, ciascuno con una quota prefissata per statuto.
Non ci sono quindi alibi per non praticare uno degli strumenti più avanzati di democrazia interna a nostra disposizione: e può sicuramente chiederlo 1/5 del CPN, ma sarebbe un segnale politico importante se la proposta arrivasse direttamente dalla presidenza.
Il XI congresso del PRC ci mette di fronte una opportunità enorme per riflettere sulla nostra società e sul nostro ruolo storico nella sua trasformazione in senso socialista: non sprechiamola!
Nicolò Martinelli
Collegio Nazionale di Garanzia