
“Non possiamo più aspettare!”
Pubblicato il 18 mag 2013
Alla testa del corteo, a tenere lo striscione ufficiale della manifestazione della Fiom, ci sono tutte donne. “Più che una scelta è un’urgenza”, ci spiega una di loro. “Le donne sono colpite da questa crisi quanto e più degli uomini: siamo meno pagate, meno tutelate, meno rappresentate”. Come le 18 lavoratrici della Aimeri di Ferrara, che dopo 25 giorni di lotta sono riuscite a far rinnovare il loro appalto per la raccolta differenziata del Comune e ad assicurarsi ancora un po’ di futuro: “Siamo sempre noi lavoratori a pagare, a perdere la dignità conquistata, l’identità e il rispetto verso noi stesse. Ma unite non ci siamo fatte piegare e siamo qui in solidarietà di migliaia di persone con la voce spezzata dalla fame e dal dolore”, Jessica, 46 anni, finisce di parlare e prende il fischietto. Le altre donne cominciano a cantare: “Siamo noi, siamo noi, che non ci arrendiamo mai…”.
E dietro le metalmeccaniche altri centinaia di lavoratori e pensionati, esodati, precari, disoccupati. “Questa crisi ci sta mangiando vivi”, Fabrizio ha 53 anni ed è un “giovane” esodato della Unilever. “Lavoro da quando sono piccolissimo e ho già quasi 40 anni di contributi. L’azienda mi aveva proposto di andare via per lasciare il posto a un collega più giovane, con mutuo e figli da mantere. Ho accettato, ma ora, dopo la legge Fornero, sono in mobilità fino al 2014 e poi a casa senza pensione”.
Come lui ce ne sono tanti in questo corteo colorato di rosso. Come Maurizio Tassoni, 61 anni, 37 di “onorato” lavoro alle spalle e un futuro da esodato IBM insieme ad altri 100 colleghi: “L’azienda ci ha dato la possibilità di uscire in aspettativa nel 2010/11 dal lavoro per poi licenziarci ed andare in pensione nel 2013. Ma il Governo Monti ha cambiato le carte in tavola e io che sono del 1952 dovrò aspettare altri 3 anni. Mentre alcuni miei colleghi dovranno atttendere i 67 senza un soldo. Eppure avevamo firmato un accordo al tavolo delle trattative che nessuno è più disposto a onorare”.
In questa giornata di sole, insieme ai lavoratori ci sono i pensionati dello Spi e i giovani partigiani dell’Anpi, che ricordano come la solidarietà non conosca barriera: “Bisogna lottare ora, tutti uniti, perché i valori della resistenza sono gli stessi di chi lotta per il lavoro”; il “partigiano” Luigi ha 47 anni e viene dalla Valconca. È bello vedere sfilare tra tutti giovani, ma circondato da bandiere dello Spi: “Lavoro e pensione vanno di pari passo – dice Marcello dello Spi di Firenze, 69 anni e un passato da operaio – non è solo solidarietà tra generazioni: l’intera società non può reggere se i lavoratori, i bambini e gli anziani non hanno la dignità e il livello minimo di sussistenza assicurato”.
“Sono qui per i miei figli e nipoti – gli fa eco Monica , 65 anni, pensionata e pasionaria con un cappellino immancabilmente rosso e la pettorina della Fiom -. Sono io il pilastro della mia famiglia, ma non per i motivi giusti, cioè per la saggezza di madre e nonna, ma solo perché ho la pensione e due figli uno disoccupato e l’altra in cassaintegrazione. Ma ti sembra giusto?”. Impossibile risponderle di sì.
Un altro manifesto un’altra storia di lotta e lavoro. Manrico ha 52 anni, è in mobilità e lavora per la Berco di Copparo, a Ferrara, costruisce cingoli per sottocarri di macchine agricole insime a 2mila colleghi: “Ora sono arrivati i tagliatori di teste e hanno annunciato 611 esuberi. La Thyssenkrupp, a cui appartiene la nostra azienda ha deciso di venderci e mandarci a casa, ma non lo permetteremo”. Manrico tiene in mano un cartello: “Lucia (Ndr: Morselli, una delle “tagliatrici” di teste) ripensaci 611 volte. Fiom di Berco”. Una richiesta lanciata forte insieme a tante altre in questa giornata di tutte blu e pettorine rosse. Ma non tutti sono venuti solo per raccontare le loro storie e gridare le loro proteste: “Siamo qui in solidarietà dei tanti interinali che lavorano nella nostra azienda, che per onorare le tante commesse abusa della precarietà”, dice Matteo, 54 anni, storico delegato Fiom della Brevini Power Transmission di Reggio Emilia.
Il rosso si tinge di giallo e dietro un grande manifesto con su scritto “Metalmeccanici contro il razzismo”, ci sono operai e operaie di ogni nazionalità e provenienza geografica. “Vogliamo dire no alla guerra tra poveri che questa crisi sta inasprendo”, dice Claudio, 49 anni, argentino di Parma. Insieme a lui Dany, 27 anni dalla Nigeria che fa parte della rete Ciak per l’inserimento lavorativo dei migranti e contro i centri di identificazione ed espulsione, CIE.
I disoccupati tengono i conti di questa carneficina sociale e si sostengono in una lunga catena di braccia che procede fiera: “In 4 mesi ho mandato 371 curriculum senza mai risposta”, dice Claudio Crotti, 60 anni, troppo vecchio per lavorare. Troppo giovane per andare in pensione, che appartiene allo sportello esodati, mobilitati e disoccupati di Milano: “la mia impresa edile è fallita nel 2009 e da allora ho sempre fatto il precario per pochi mesi di lavoro. L’ultimo contratto è scaduto il 3-12-2011 e da loro non ho più lavorato”. Come lui tanti operai del Nord-Est, ci dice Marco, 38 anni, “io lavoro, ma dal 2008 i metalmeccanici a Verona sono ridotti alla disperazione e i più fortunati sono in cassa integrazione a rotazione. Il settore delle fonderia di Verona vive una situazione terribile di crisi”. Dal Nord al Sud.
Pochi passi più in là ci sono gli operai di Gioia Tauro , come Rozzo Politanò: “Siamo qui per denunciare il deserto di un’area industriale come la nostra in cui doveva nascere un porto e 3 aree industriali… invece a oggi sono fallite oltre l’80% delle imprese nate nel polo e la nostra zona registra tassi del 60% di disoccupazione”. Un’altra promessa fallita che non può più aspettare per essere esaudita.
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